Non più «piccoli», non ancora «grandi»

Delineare il tema introdotto la scorsa volta, impone una sintesi poiché il “quadro” è variegato, rimanda alle esperienze di ciascuno e non ultimo si tratteggia di profonde sfumature affettive; così senza pretesa di completezza, condividerò alcuni punti suggeriti dalla mia esperienza professionale.

Una prima considerazione è che “cambiamento”, è la parola d’ordine che si impone in adolescenza (come in ogni momento di “passaggio” della vita) e questo riguarda non solo il giovane, ma anche i genitori poiché tutti fanno parte di un sistema che in psicologia si definisce “famiglia adolescente”.  

Una cosa che noto, traspare dal linguaggio usato dai genitori quando parlano di un figlio adolescente: spesso infatti dicono “il bambino”, anche se si tratta ad esempio di un 14enne. Sembra banale, ma questo può indicare una difficoltà a “vedere” che il figlio non è più fermo alla fase precedente, ma in transito verso il diventare “grande”. Così ad esempio, può esserci l’aspettativa che egli debba “raccontare” tutto ciò che gli accade proprio come quando era piccolo, che possa accettare le “regole” (se ne vengono date) senza discutere, che debba essere “protetto” da ogni esperienza deludente o negativa e di conseguenza “gratificato” con immediatezza soprattutto nei suoi bisogni o esigenze materiali.

Quando un ragazzo non fa più il “resoconto” delle sue giornate, si è portati a credere che voglia “nascondere” qualcosa, che abbia perso la fiducia o ancora che sia avvenuto qualcosa di grave; al di là di quanto ciò talvolta possa essere vero, credo sia fondamentale mostrare più interesse per le sue emozioni ed i vissuti, che non per sapere dei “fatti” accaduti. In più teniamo presente che in questa fase, l’introversione e la riservatezza sono in risalto ed esprimono spesso una confusione di stati d’animo, non facili da capire o accettare anche per il giovane che li sperimenta.    

A proposito di regole, già in preadolescenza non dovrebbero essere imposte, ma negoziate o meglio “ri-contrattate”. Ciò significa discuterne insieme, coinvolgere l’altro dicendo ad esempio «cosa ne pensi; come possiamo accordarci; secondo te, è giusto quello che ti chiedo?». In questo modo ci si relaziona con, e si fa emergere la “parte adulta” del ragazzo, lo si porta ad assumersi delle piccole responsabilità e soprattutto lo si rende partecipe di qualcosa che lo riguarda.

Proteggere ad ogni costo significa poi, non tenere conto che le frustrazioni sono esperienze della quotidianità che servono per “crescere”, col rischio di trasmettere scarsa fiducia nelle capacità che i ragazzi possiedono. Infine, accontentare qualsiasi richiesta (spesso materiale) sembra un modo di veicolare affettività, comprensione o disponibilità, ma può alimentare la tendenza all’impulsività del volere “tutto e subito”, tipico dei bambini e non degli adulti che “sanno aspettare”; ancor più, invalida quel confrontarsi col “senso del limite” che è indispensabile per diventare “grandi”.

So di avere aperto delle parentesi, so che non ci sono “ricette pronte”, ma spero sia utile conoscere qualche “ingrediente” …, ad ogni modo vi anticipo che tornerò sull’argomento.      

Nel salutare, ci tengo a ringraziare calorosamente quanti hanno espresso consenso all’articolo precedente.

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