Le battaglie di Imera del 480 e 409 a.C.

La Sicilia fu per i Punici (Cartaginesi) una terra molto rilevante dal punto di vista strategico. In realtà la nostra Isola fu molto ambita come territorio di conquista, non solo perché relativamente poco distante da Cartagine, ma altresì, perché caratterizzata dall’ottima posizione geografica (al centro del Mediterraneo), essendo una tappa obbligata per i navigatori, impegnati questi ultimi a intraprendere le rotte commerciali da est verso ovest, in particolar modo verso la penisola iberica. Già intorno al XII sec. a.C. un popolo di navigatori e mercanti, i Fenici, avevano iniziato a muoversi su nuovi percorsi commerciali in direzione del Mediterraneo, alla ricerca di nuovi e fertili lidi da colonizzare ed anche per assicurarsi le necessarie materie prime per il loro fabbisogno: l’argento, l’oro, lo stagno, il rame e il ferro. Tra la fine del XII sec. a.C. e il secolo successivo, questo “popolo del mare” giunse in Sicilia. In un primo momento “le genti di Tiro” (così furono denominati dai Greci i Fenici) crearono delle colonie emporio e in seguito, istituirono dei veri e propri centri urbani. Della loro presenza in Sicilia significativo fu il racconto dello storico ateniese Tucidide, nel suo libro “La guerra del Peloponneso (VI,2)”, il quale affermava: “Anche i Fenici abitavano qua e là per tutta la Sicilia, dopo aver occupato i promontori sul mare e le isolette vicino alla costa, per facilitare i rapporti commerciali con i Siculi. Quando poi vennero d’oltremare in gran numero i Greci, essi sgombrarono la maggior parte del paese e si concentrarono a Mozia, Solunto e Panormo, vicino agli Elimi dove abitarono, rassicurati dall’alleanza degli Elimi stessi e dal fatto che da quel punto della Sicilia distava pochissimo da Cartagine”. Dal racconto dello storico greco si deduce quindi che dopo la fase precoloniale che vide i Fenici stanziarsi a oriente, e occupare i promontori e le isole vicino alla costa; sempre gli stessi coloni, sul finire dell’VIII sec. a.C. con l’arrivo dei Greci nell’Isola, abbandonarono le sedi precedentemente popolate per concentrarsi nella parte occidentale, ossia nelle città di Palermo, Solunto e Mozia. Non molto tempo dopo, questi centri, passarono sotto la protezione di Cartagine. Da questo momento l’antica colonia fenicia situata in Africa settentrionale la “Qart Ḥadasht”, fondata nel IX sec. a.C., diventerà la spina nel fianco dei sicelioti. Infatti, i Cartaginesi, dopo aver posto sotto il proprio dominio tutte le isole del Mediterraneo occidentale ad eccezione della Sicilia, bramosi per un’ulteriore espansione, affrontarono la prima vera e propria campagna militare a Imera (sulla costa tirrenica, a circa dieci chilometri a est dell’odierna Termini Imerese) nel 480 a.C. L’assedio della città, la più occidentale delle colonie greche, si concluse con un insuccesso per Cartaginesi. In realtà, nella battaglia tra gli eserciti greci congiunti (Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento) perse la vita, il generale cartaginese Amilcare Barca.  La seconda battaglia (quella decisiva e vittoriosa per i Cartaginesi) avvenne sempre a Imera, circa settant’anni dopo, cioè nel 409 a.C. Questa volta Annibale Magone (nipote di Amilcare), insieme ai suoi uomini invase la città, saccheggiandola e distruggendola completamente.  Abbiamo formulato al dottor Ferruggia (1) alcune domande inerenti alle due epocali battaglie avvenute nella piana di Imera nel 480 e 409 a.C.

Dottor Ferruggia, innanzitutto grazie per averci concesso l’intervista, le poniamo la prima domanda: quali furono i motivi che spinsero i Cartaginesi nel V sec. a. C. a tentare la presa di Imera?

Devo anche io ringraziare, perché è un piacere ritornare a puntare i riflettori su avvenimenti del passato dell’Occidente ingiustamente dimenticati, tanto più importanti in quanto antichissimi, quindi dalle ripercussioni inestimabili sul nostro pensiero e sulle nostre abitudini. Circa la strategia che avevano in mente i Cartaginesi va detto che fu diversificata nelle due situazioni: mentre nel 480 si trattava di riportare l’Occidente isolano ad una dimensione di “addomesticazione filo-punica”, nel 409 l’assedio di Imera faceva parte di un più sistematico piano di sottomissione dei Greci di Sicilia.

Nel 480 a.C. di fronte le mura di Imera si combattè l’epica battaglia che vide contrapposti i Greci di Sicilia ed i Cartaginesi, può parlarci di questo epocale primo scontro?

Fa bene a considerarlo epocale in quanto avvenne in un momento in cui la grecità tutta era accerchiata da quelli che gli stessi Greci chiamavano “Barbaroi”: a Oriente i Persiani (con flotta fenicia) ed ad Occidente i Cartaginesi, superpotenze di prima grandezza nel panorama mondiale di allora, decisero, forse concordando la simultaneità delle spedizioni, di farla finita con la scomoda presenza ellenica nel Mediterraneo. Tra le memorabili sconfitte che li fermarono, quella di Imera ha un posto di rilievo. Vorrei però sottolineare che la grecità isolana e peninsulare non si riunì tutta sotto il vessillo antipunico: almeno altre due città, Selinunte e Reggio, avevano deciso di supportare i Cartaginesi, attenuando così la dimensione di scontro di civiltà dell’evento bellico.

Quale fu lo stratagemma militare che utilizzò Gelone per sconfiggere il suo avversario Amilcare?

Secondo Diodoro Siculo fu proprio Amilcare a fornire allo stratega siracusano il modo di entrare nel suo stesso accampamento: i Cartaginesi avevano patito la perdita della cavalleria nella traversata per la Sicilia. Amilcare quindi inviò dei messi a chiedere un contingente di cavalieri all’alleata Selinunte. Questi messaggeri però caddero in mano greca. In quattro e quattr’otto Gelone pensò di camuffare i suoi cavalieri alla maniera selinuntina per infiltrarli nel campo nemico. Non abbiamo un resoconto preciso, ma sappiamo che dopo la loro missione le navi puniche furono avvolte dalle fiamme e dello stesso Amilcare si persero per sempre le tracce. Morirono probabilmente tutti questi arditi Elleni, e forse sono proprio loro gli scheletri ritrovati dopo duemilacinquecento anni in fosse comuni, nella cosiddetta necropoli occidentale di Imera, con a fianco gli scheletri dei cavalli che avevano montato.

La prima battaglia di Imera ebbe particolari sviluppi storici?

Enormi, epocali, come lei ha sottolineato. Se abbiamo una cultura classica prodotta direttamente in suolo siciliano lo si deve alla vittoria di Imera. I Cartaginesi ne uscirono talmente bastonati che passarono sette decenni a leccarsi le ferite. Invece i Sicilioti, i Greci di Sicilia, ebbero il tempo di dedicarsi alla poesia, alla filosofia, alla scienza ed alla costruzione di grandi città coronate templi immensi. Questa indelebile eredità campeggia ancora oggi nei libri di testo di ogni ordine di scuola dell’Occidente.

Quali motivi spinsero Annibale ad attaccare nel 409 a. C. l’antica città greca?

Prima di tutto è meglio chiarire che questo Annibale Magone era solo omonimo di Annibale Barca, quello degli elefanti per intenderci, e che precedeva il secondo di quasi tre secoli. Abbiamo già detto poi, che nel secondo assedio, quello fatale per la città tirrenica, la strategia era di più ampio respiro: la sottomissione dell’intera isola al gigante punico. Imera ne era sicuramente una tappa, ma la particolare tempistica ed il fatto che il condottiero punico facesse marciare il suo esercito contro la città subito dopo avere espugnato Selinunte, rende plausibile l’ipotesi secondo la quale Annibale coltivava un odio personale. Certo, Imera era la più occidentale delle città greche della costa nord isolana, era quindi logico abbatterla subito dopo Selinunte, ma il punico era nipote di quell’Amilcare che proprio ad Imera aveva tirato le cuoia. Probabilmente, quindi, Annibale cercava anche la vendetta. Lo dimostrerebbe la particolare crudeltà dimostrata nei confronti dei prigionieri e la continuazione della campagna punica nella costa meridionale sicula e non in quella settentrionale.

Prima di parlare della seconda battaglia di Imera che determinò la devastazione della città per opera dei Cartaginesi, può fornirci esaurienti informazioni su questa colonia greca fondata nel VII sec. a.C. ?

Di etnia prevalente calcidese, al confine fra le due sfere d’influenza, punica ad ovest e greca ad est, sorse su un sito perfetto per una colonia ellenica: una piana fertile per l’agricoltura, un’ampia costa sabbiosa per i commerci, ed un fiume che la lambiva ad est. La sua posizione abbastanza “isolata” nel contesto siceliota, la portava ad intrattenere rapporti commerciali, non solo col mondo punico e filo-punico, ma anche con Etruschi, genti dell’Iberia, della Sardegna, dell’Egeo, di Cipro. Crebbe velocemente arrivando a contare diverse decine di migliaia di abitanti: entro le mura ad Occidente del Fiume Grande la città alta  (sul piano d’Imera e del Tamburino, con i templi dell’acropoli) e quella bassa, nei pressi del porto e della foce del fiume (con l’agorà ed il tempio della Vittoria); un quartiere extraurbano, ad est del fiume con la necropoli orientale davanti alla spiaggia; verso sud  una necropoli nei pressi di Cozzo Scacciapidocchi. La grande necropoli occidentale, nella piana di Buonfornello, poco al di là delle mura di ponente. Buoni i rapporti con i Sicani dell’interno. Insomma, pacifica, ben posizionata e dinamica. Dobbiamo trovarle un difetto? Troppo vicina all’area d’influenza punica.

Quali conseguenze ebbe la seconda battaglia di Imera sotto il profilo politico ed economico?

I Greci ebbero la prova dell’intento che animava l’avanzata punica: l’eliminazione dell’elemento ellenico sull’isola. La Sicilia occidentale divenne una vera epicrazìa punica, una sorta di provincia direttamente controllata dagli Africani, comprendente più popoli di fatto sottomessi a Cartagine. I Greci persero un emporio chiave per i mercati tirrenici e di ponente. Imera scomparve per sempre, pur rimanendo nei secoli successivi la piana abitata da piccoli insediamenti agricoli.

Nello scontro tra Greci e Cartaginesi del 480 e 409 a.C. quali armi furono utilizzate da ambo le parti?

Furono molto diversificate. Si consideri infatti che, mentre i Greci portarono sul campo di battaglia un arsenale abbastanza omogeneo, i Cartaginesi trasferirono ad Imera mercenari da ogni dove: genti isolane come Sicani Elimi e Siculi, ma anche Libici, Fenici, Iberi, Liguri, Campani, Etruschi, Elisici, Sardi, Corsi, Cirnei, genti che, almeno in parte, portarono con sé armi ed armature proprie. Se fossimo stati lì, quel giorno di venticinque secoli fa, avremmo visto elmi crestati, lance e scudi della possente falange agrigentina e siracusana, con tanto di nutrita cavalleria, schermagliatori ed arcieri. In campo punico avremmo ammirato i grossi elmi “Negau” etruschi, le falcate iberiche, gli spadoni celtici, scudi e lance di ogni tipo, frombolieri, qualche carro da guerra, arieti d’assedio e… pale e picconi. Sì perché nel secondo assedio di Imera i Cartaginesi tentarono di abbattere le mura con gli arieti, appunto, ma anche scavando cunicoli sotto di esse.

Le battaglie combattute dai cartaginesi sul suolo imerese furono mosse attraverso un piano strategico prestabilito? Di contro i greci si prepararono adeguatamente per ricevere l’assalto nemico?

Ho almeno in parte già risposto sull’atteggiamento cartaginese. Circa i Greci, del 480 erano pronti allo scontro in quanto la coalizione tra Agrigento e Siracusa aveva esteso la sua influenza sulla città, cacciando il tiranno filo-punico Terillo. La risposta cartaginese era scontata ed attesa. Nel 409 invece i Greci furono presi alla sprovvista: non immaginavano un attacco alla grecità isolana messo in atto da chi era stato precedentemente pesantemente bastonato. Inoltre, la vittoria siracusana su Atene di pochi anni prima, avrebbe dovuto, nell’immaginario del Siceliota medio, scoraggiare qualsiasi malintenzionato Barbaro. Ma gli elleni non avevano fatto i conti con l’oste punico: caddero Selinunte, Imera, Agrigento, Gela e Camarina e, dopo il disastro, la stessa democrazia siracusana cedette il posto alla dittatura, ritenuta strumento più efficace a contrastare il gigante cartaginese. E la storia cambiò.

Dottor Ferruggia un’ultima domanda: nello scritto più importante del Barone Montesquieu “De l’Esprit des Lois” “Lo spirito delle leggi” (1748) il filosofo francese afferma che l’accordo stipulato da Gelone con i Cartaginesi è “Il trattato più bello di pace, di cui abbia fatto menzione l’Istoria…” lei condivide la sua dichiarazione?

Montesquieu si riferiva alla clausola secondo la quale i Cartaginesi avrebbero dovuta farla finita col vizio di sacrificare fanciulli agli dei. Pare infatti, che la influente first lady siracusana, mal sopportando l’inumana pratica, abbia costretto il marito ad inserire nel trattato la sua cancellazione. Si discute ancora oggi se quanto asserito circa questi sacrifici dagli storici greci corrispondesse al vero. Di certo c’è che Demarete, così si chiamava la moglie di Gelone, finì sui conii della prima moneta commemorativa della storia, e che i Greci furono di mano particolarmente leggera coi Cartaginesi, al di là del sacrificio degli infanti, vicenda alla quale la propaganda anti-barbara non pare essere completamente estranea. E quando mai? Non discutiamo ancora oggi di scontro di civiltà tra la sponda nord e sud del Mediterraneo?

(1) Aldo Ferruggia, è nato a Palermo nel 1966; diplomato al Liceo Classico, ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1994.  Si appassiona alla storia antica davanti alle rovine del tempio “G” di Selinunte. Crea la voce di Wikipedia Italia, Guerre Greco-Puniche e Greek Punic Wars nella versione inglese. Viene incoraggiato dallo storico Michele A. Crociata a pubblicare la sua opera prima, “Le guerre senza nome” (Neos Edizioni) pubblicata nel luglio 2014. Per la sua stesura è stato necessario un certosino lavoro di ricerca nelle fonti antiche e nelle pubblicazioni dei maggiori esperti del settore.

Si ringrazia per le fonti iconografiche, il dott. Aldo Ferruggia e l’architetto Roberto Tedesco.

Foto 1 Giuseppe Sciuti, Rappresentazione della Battaglia di Imera

Foto 2 e 3 Tempio di Imera

Foto 4 Bronzetto

Foto 5 Vaso con giovane con lance, vecchio con lance ed oplita con panoplia

Foto 6 Tempio di Imera

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

 

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