Quando finisce una storia …

«Come porre termine, come chiudere: è su questo e non certo su come iniziare o aprire qualcosa, che chi vive la vita liquido-moderna ha urgente bisogno di istruzioni …» (Z. Bauman, “Vita liquida”, Laterza, 2008); prendo spunto dalle parole del famoso sociologo polacco, per introdurre un tema spiacevole eppure comune a tutti: come gestire la fine o la chiusura di una relazione.

Mi occorre premettere che l’immagine della “liquidità” -termine coniato per definire la vita e la società postmoderna- denota inconsistenza, provvisorietà o incertezza in contrapposizione alla “solidità” come compattezza e stabilità. La precarietà che oggi avvolge gli individui nel loro vivere personale e sociale, permea gli affetti, i legami e i sentimenti, segna passaggi rapidi e frettolosi da un’esperienza all’altra, passaggi privi del “fermarsi” e del “saper stare” quasi come in un consumismo dei rapporti (sentimentali ma anche amicali) che infatti sono sempre meno duraturi.       

L’Autore ancora dice: «Tra le arti del vivere liquido-moderno e le abilità che esse richiedono, sapersi sbarazzare delle cose diventa più importante che non acquisirle» e forse su questo dovremmo riflettere … ma sarebbe un altro tema.

Così e ad ogni modo le storie finiscono, lasciamo o veniamo lasciati e viviamo il tempo dell’andare via.

Purtroppo quasi sempre l’attenzione, la cura, l’accudimento investiti nella costruzione di una relazione non sono i medesimi nel momento della separazione che assume i tratti di un distacco immediato e come un lutto lascia sentimenti di vuoto, dolore, rabbia, non accettazione; la fine è spesso vissuta come un evento brusco anche quando si era percepito lo sfibrarsi del rapporto.

Inoltre quasi mai “conserviamo” ma “buttiamo”; forse sostenuti dal bisogno di dimenticare o dalla volontà di stare meglio, crediamo che disfarsi di tutto -l’altro e la relazione vissuta- sia la migliore cosa da fare senza focalizzare che così perdiamo anche una parte di noi. Infine, raramente o forse mai pensiamo di poter “ringraziare” l’altro per quello che abbiamo potuto scoprire o imparare su noi stessi nel confrontarci con lui/lei. Fantascienza? Sentimentalismo? Non direi. Sebbene possa sembrare qualcosa impossibile da raggiungere nell’immediato, gestire con equilibrio le separazioni è possibile e significa riuscire a “salutarsi bene”, a custodire nel ricordo il senso di quel pezzetto di strada fatta insieme, a salvare entrambi da inutili e sterili sensi di colpa accettando che noi, così come le cose, cambiamo.

E però per riuscirci … bisogna essere ancora una volta in due, occorre cioè che ognuno sappia fare la propria parte con maturità, autenticità, “intelligenza emotiva” (D. Goleman), rispetto per se stesso, per l’altro e per la relazione.

Poter chiudere veramente il cerchio è evolutivo e, poiché «Ciò che non si completa, si perpetua …» (P. Goodman), vuol dire poter andare più serenamente e consapevolmente verso il rapporto successivo.

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