Educare: non si finisce mai di imparare …

In occasione delle giornate di studio organizzate dalla manifestazione Ventodamare, da poco trascorsa, ho avuto l’opportunità di trattare il tema dell’educazione come processo che, contemplando la necessità delle regole, non mortifichi la libertà di essere se stessi.

Oggi voglio condividere alcuni punti del mio intervento, perché credo che l’informazione sia una prima forma di sostegno alla genitorialità e agli adulti che, nel ruolo di educatori, si confrontano sempre con il  dubbio e le perplessità.

Una domanda metaforica che ho posto al pubblico, è stata: l’educando, il bambino o soggetto in crescita, è “creta” da plasmare o … “pianta” da curare e nutrire?

Il plasmare rende l’idea dell’“apporre/imporre” qualcosa di proprio sulla creta a cui dare forma, creta peraltro inanimata; ciò fa pensare a una manualità guidata da un progetto, da un’ideale, dalla voglia di ottenere come prodotto finale, qualcosa che rispecchi l’aspettativa di partenza in una visione unidirezionale. Nutrire e aver cura di una pianta, invece, vuol dire creare le condizioni a che essa possa crescere sana e rigogliosa, nel rispetto delle sue caratteristiche ed esigenze; così ci sono piante che hanno bisogno di molta acqua, altre a cui ne basta poca, alcune che necessitano di luce diretta, altre di una luminosità diffusa.   

Chiarendo ulteriormente la metafora, possiamo dire che scopo dell’educazione è che l’altro diventi se stesso. Il processo educativo, deve creare i presupposti a che ogni individuo possa svilupparsi, secondo la sua natura/struttura originaria; questo avviene all’interno di una dimensione relazionale e nella prospettiva che «educare vuol anche dire venire educati» (V. Andreoli), ovvero che nell’“insegnare” all’altro, impariamo tanto anche su noi stessi.

Sembra difficile conciliare la necessità di dare regole ai figli, con il rispetto della loro naturalezza o spontaneità; si pensa infatti, che applicando le une si pregiudichi l’altra e viceversa. Credo che all’origine ci sia l’errata convinzione che le regole significhino “controllo” e che la spontaneità indichi “assenza di controllo”. La regola è uno strumento, un metodo o criterio che ordina una molteplicità di stimoli provenienti dall’esterno, crea abitudini, mette confini, trasmette il senso del limite, aiuta il bambino e l’adolescente ad orientarsi. In tal senso, dare regole è opportuno quanto necessario e vuol dire prendersi cura dell’altro, non lasciarlo “da solo”, “esser-ci” come punto di riferimento, nel suo percorso di crescita.

Non sono le regole a compromettere la spontaneità, … quanto le “ingiunzioni”; esse sono divieti o non-permessi che intaccano il diritto ad esistere e che veicolano un meta messaggio del tipo: “non essere te stesso”.

Il tema necessita di approfondimento  e, a chi fosse interessato, anticipo che sarà oggetto del mio prossimo contributo.

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