Avrei tanto da imparare e invece…

Ieri sera, un amico ci ha augurato sul web la buonanotte con un’interessantissima frase di Franz Kafka: «Un cretino è un cretino. Due cretini sono due cretini. Diecimila cretini sono un partito politico.»
Il mio desiderio è non nascondere l’intento di pungere chi si troverà a leggere le mie parole e probabilmente si riconoscerà in queste stesse per il semplice fatto che ormai qualunque cosa si scriva, si dica, si accenni ha come fine ultimo l’obiettivo di entrare in campagna elettorale e di farsi strada nel mondo del lavoro con cattiveria. E, siccome la notte porta sempre consiglio –  fa sempre bene alla salute dell’anima e del corpo concedersi qualche ora di riflessione notturna! – ho deciso di esaminare il significato del termine che ormai si è soliti sostituire al concetto di associazionismo: “setta”. Avendo una conoscenza piuttosto acerba del vero significato di questa parola, ho ritenuto opportuno approfondire l’argomento, servendomi di questo spazio, che ancora si crede io detenga in maniera del tutto illegittima (vorrei capire chi dall’altro lato avrebbe maggiori competenze, linguistiche e culturali, per poter eventualmente offrirmi delle lezioni di grande spessore intellettuale). Per questo vi riporto una serie di mie annotazioni al riguardo.
L’origine del termine deriva dal latino secta, a sua volta derivato dal verbo sectari, ovvero seguire. Dunque, se la mia mente non mi inganna, è chiaro il riferimento a un leader, a un esponente di spicco all’interno di un’associazione più o meno ampia, in grado di poter invogliare altri a seguirlo. Fin qui nulla di complicato. Resta che il suo riferimento storico crea un ponte di collegamento diretto con momenti di opposizione ad un dottrina politica, religiosa, filosofica o culturale, creando dei precedenti a cui oggi è impossibile non pensare e che, per quanto mi riguarda, non hanno nulla a che vedere con quello che accade ogni giorno tra le mura normanne. Mi è assolutamente incomprensibile parlare di “setta” se l’argomento verte sull’ambito politico, a meno che non si pensi che non si stia organizzando una rivoluzione.
Continuando con il mio ragionamento, mi ritrovo a fare i conti con una connotazione dispregiativa del termine, nata in seguito a una serie di dibattiti, sulla quale vorrei puntare l’attenzione: setta acquisirebbe un valore negativo a partire dal momento in cui gruppi di piccola consistenza si distaccano dal ceppo originario, dal quale partirebbe di conseguenza un atteggiamento violento, intimidatorio e persecutorio con conseguenze di difficile risoluzione. Generalmente questo accade quando si ha a che fare con la religione: le diverse interpretazioni dottrinali fungono da movente per dare vita a vere e proprie lotte.
A questo punto mi vien da chiedere: se un esempio di significato prettamente negativo riesco a rintracciarlo nell’opposizione che la Chiesa di Roma mostrò nei confronti del protestantesimo, della chiesa valdese, degli infedeli nel corso del Medioevo, non riesco a capire la sua valenza negativa riferita ai giorni nostri. E pur volendo offrire il beneficio del dubbio a chi contesta il nostro modo di operare, mi domando ancora: perché un piccolo gruppo dovrebbe stare attento alle conseguenze delle proprie azioni se dall’altra parte il gruppo più forte e numeroso non ha nulla di che temere, di che lamentarsi, di che giustificarsi?
A me dispiace dover utilizzare questo angolo per difendere l’operato di quanti si spendono per realizzare eventi di qualsiasi tipo. Mi dispiace che le offese gratuite vengano urlate in pubblica piazza nei confronti dei giovani, di amici. Mi dispiace che queste offese siano l’ennesima dimostrazione che queste sette pungono, fanno male, ledono il tessuto di rapporti in bilico. E ancora di più mi dispiace dovermi ricredere, parlando di onestà e maturità intellettuale, quando le parole, pesanti e volgari, hanno l’obiettivo di ferire, di frenare, di umiliare.
Ho meditato se scrivere o no, se mostrare la mia solidarietà a questo giovane amico sarebbe servito a qualcosa, e alla fine ho pensato che è inutile continuare a passarci sopra, non è giusto nei riguardi di chi tutti i giorni si alza e va a lavoro, torna a casa e continua i suoi progetti di vita, cerca di crearsi un futuro pur trovando milioni di impedimenti, si sbilancia per dimostrare che i suoi pensieri non sono mossi da un burattinaio, e che tutti, laureati o no, esperti in linguistica italiana o meno, abbiamo qualcosa da lasciare di buono a questo mondo, nel bene o nel male, cullati da un’offesa che suona tanto come un pugno nello stomaco, mentre il mondo che ti ascolta urlare impara a capire chi sei veramente.
Ognuno continui lungo la propria strada, senza bisogno di mezzucci ignobili, di risatine di contrabbando, di scenette napoletane o di grandi capovolgimenti di pensiero.
E mentre incasso i commenti e i sermoni risposta a queste mie parole, mi consolo continuando a pensare che il tempo è un gran signore, come mi insegna un amico: ci saprà ricompensare.
Ad maiora.
  

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