Riflessione sulla giornata contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre contiene in sé una triste constatazione, cioè il permanere della violenza contro le donne, nonché un intenso auspicio, quello del superamento quanto mai urgente di tale tragedia ancora attuale nel 2016, anche nel nostro Paese. L’Onu e i Paesi civili, sostenitori della dignità della donna, hanno posto l’accento su questo drammatico problema, che getta una pietosa ombra sulla qualità della relazione uomo-donna.
I dati statistici sono angoscianti: in Italia da gennaio a novembre sono state 116 le vittime del femminicidio e nel mondo il 35% delle donne ha sperimentato una forma di violenza. Persino il Papa è intervenuto a riaffermare la dignità delle donne e tutte le massime autorità dello Stato danno il loro contributo in questa battaglia culturale, oltre che legislativa. Tuttavia la società sembra impotente dinanzi a questo male incurabile dell’animo maschile, anche le forme di violenza sia fisica che psicologica sono sempre più sottili e diversificate ed avvengono in molteplici ambiti: da quello familiare a quello lavorativo e più in generale ai vari angoli della dimensione sociale.
Intellettuali di ogni categoria intervengono nel dibattito pubblico, esecrando tutti il femminicidio e lo stalking, nonché cercando di incoraggiare il diffondersi della coscienza di tale fenomeno tra le donne stesse e nella società. Anche l’arte appoggia questo cammino di consapevolezza e di difesa del corpo e dell’animo femminile con varie manifestazioni, che si uniscono agli innumerevoli cortei e incontri di questo periodo su tale argomento di attualità.
Peraltro questa brutale tendenza, in agguato nelle relazioni affettive, appare ancora più assurda in un’epoca come la nostra di grande e costante sviluppo scientifico, tecnologico e genericamente culturale. Purtroppo la sfera irrazionale dell’essere umano è assai difficile da controllare; bisognerebbe imparare a gestire le emozioni fin da piccoli, soprattutto quelle negative come la frustrazione, la sconfitta o l’abbandono, per evitare di scadere nella violenza. Comunque la sfera dei sentimenti è così complessa, che per ognuno di noi risulta a volte impossibile da decodificare: infatti tante sono le donne che faticano ad ammettere la loro infelice e talvolta violenta realtà familiare e coniugale, sentendo di non possedere la forza per analizzarla e superarla. Anche l’uomo non riesce ad effettuare una profonda autocritica e nega a se stesso la natura del proprio comportamento, in quanto spesso manca un’educazione sentimentale fin dall’infanzia e dall’adolescenza in seno alla famiglia e nella scuola.
Già G. Flaubert aveva posto l’accento su questo tema nel suo romanzo “L’educazione sentimentale” nella seconda metà dell’Ottocento (1869); il nostro governo ha pure annunciato fondi per l’educazione nelle scuole contro la violenza di genere, ma ci vogliono anche altri interventi concreti e urgenti richiesti dalle varie associazioni in difesa delle donne. Inoltre l’iter legislativo contro i trasgressori delle norme di un sereno evolversi dei rapporti affettivi dovrebbe essere più veloce nell’affrontare le varie sfaccettature del problema, con una pena certa per chi viola la dignità e la vita di una donna di qualsiasi età. In questi giorni si sono svolte grandi manifestazioni contro gli abusi e il femminicidio, come quella di Roma, per richiamare l’attenzione di tutti i cittadini e del mondo politico; ma ciò non è sufficiente, in quanto occorre un percorso costante di sensibilizzazione in varie forme.
Ad esempio la scrittura può aiutare una donna a liberarsi della sofferenza vissuta, come è accaduto a S. Aleramo con il romanzo “Una Donna” del 1906 e come ci ha sottolineato la dott.ssa Elena Cerutti, autrice del romanzo “Lo sconosciuto” (Golem edizioni-2014), impegnata in un discorso educativo contro la violenza di genere. La scrittrice ha risposto ad alcune nostre domande alla fine di un incontro pubblico per la presentazione del suo libro con la partecipazione di molte donne, che in qualche modo hanno sperimentato l’esistenza di tale tematica, o semplicemente sono sensibili a quest’ultima. Secondo la dott.ssa Cerutti: “In Italia siamo all’avanguardia nel percorso di liberazione da questa forma di violenza a livello legislativo, ma c’è uno iato tra la legge e la sua applicazione, perché la giustizia è troppo lenta nell’intervenire. Bisognerebbe soprattutto rafforzare l’educazione, sia a livello femminile che maschile. La letteratura può avere una funzione liberatoria, perché scrivere è terapeutico, serve per vivere l’esperienza con lucidità e uscirne fuori, prendendone le distanze. Si tratta quindi di una funzione catartica, da integrare comunque con un’analisi psicoanalitica”.
Noi ci auguriamo che con il supporto giuridico e con l’aiuto di associazioni le donne, che vivono questa triste realtà, possano uscire dal tunnel e ritrovare la necessaria forza d’animo, confortate anche dalla cultura e dall’arte, in particolare dalla letteratura, nonché soprattutto dall’empatia con ogni persona che voglia un mondo più sereno e libero in ogni sfera, come l’espressione degli affetti.

Giuseppina Vitale

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