Il 2016: anno nero della politica democratica europea

Il 2016 è un anno nero per i politici europei. In Francia crisi sociale, declino industriale, tensioni etniche ed economiche tra banlieues e centri dei ceti alti, hanno esasperato la mancanza di leadership di François Hollande che era stato eletto come presidente della speranza dopo gli anni di Sarkozy. Il presidente delle scappate in vespa dall’amichetta ha gettato la spugna.

Nel Regno Unito, invece, David Cameron aveva scommesso tutto sul referendum della Brexit legando il suo destino ai risultati. Ha sottovalutato i veri umori popolari: paura dei migranti, impoverimento nelle periferie. In Spagna, Mariano Rajoy, leader del Partito popolare alle elezioni, ripetute due volte, non è riuscito a vincere. In Germania Angela Merkel ha deciso di ripresentarsi ma rischia grosso. In Austria è volata la destra per la paura dei migranti. Sono stati spazzati via alle presidenziali i partiti storici che governavano insieme col cancelliere socialdemocratico Werner Feymann da decenni, cioè appunto socialdemocratici stessi e cristiano popolari. In Olanda le elezioni saranno ad aprile ed è forte il rischio di un volo dei populisti di Geerd Wilders. In Ungheria nazionalconservatori populisti ed euroscettici come il polacco Jaroslaw Kaczynski e l’ungherese Viktor Orbàn hanno approfittato dell’aria generale per consolidare le loro tendenze autoritarie: chiusure di giornali, linea ancor più dura sui migranti. In Polonia sono arrivate leggi durissime contro le manifestazioni di piazza e controllo in stile turco, iraniano o cinese su chiunque usi internet.In Scandinavia i populisti fin dal 2015 sono in ascesa ovunque. In Norvegia e Finlandia i partiti xenofobi sono junior partner dei governi conservatori rispettivamente guidati da Erna Solberg e Juha Sipila. In Danimarca i populisti antimigranti del Dansk Folkeparti condizionano dall’esterno al Folketing (Parlamento) le scelte del centrodestra guidato dal premier Lars Lokke Rasmussen.

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