Lo chiamano miracolo, ma si chiama coraggio

Mentre le temperature cominciano lentamente a risalire, ma le previsioni meteo lanciano una nuova allerta “neve” per l’Italia centro-settentrionale, sul Gran Sasso la lotta contro il tempo toglie il sonno e la stanchezza alle centinaia di forze dell’ordine, che da più di quarantott’ore scavano con tutti i mezzi a loro disposizione, persino con le mani, in attesa di quello che tutti chiamano il “miracolo”.
A destare enormi paure non sono solo i dispersi sotto le macerie e i cumuli di neve di Rigopiano, ma anche tutte le altre persone delle quali non si hanno notizie ormai da giorni, finite magari in qualche scarpata, murate vive dentro le loro abitazioni, travolte chissà dove.
Sono ore di speranza e di preghiera, rallegrate ogni tanto da qualche sorriso, da quei tiepidi abbracci che riscaldano il cuore e dalle timide e innocenti richieste di una dolce bambina che, scampata al disastro, cerca i suoi biscotti al cioccolato. E le parole di conforto del vigile del fuoco che solleva la bambina e la saluta:”Ciao, bella mia. Hai visto che ti abbiamo tirato fuori?” E nonostante tutto, si continua a scavare, a chiedere quel rigoroso silenzio, necessario per individuare anche un flebile vocio e spostare così le operazioni di salvataggio da un punto all’altro di quel mortale candore.
In Italia l’INGV non aveva mai misurato eventi sismici così violenti e così ravvicinati. La neve, che non cadeva così abbondante dagli anni ’60, ha fatto il resto: il peso degli accumuli, uniti agli scuotimenti, ha permesso che la slavina scendesse verso l’albergo senza freno alcuno, trascinandosi dietro tutto ciò che le ostacolava la caduta. Qualcuno ha definito questo disastro uno “tsunami” di neve provocato dal terremoto, come per dire non c’è pace né in terra né in mare, considerate pure le condizioni della costa adriatica, dove numerosi fiumi sono esondati provocando alluvioni spaventose.
Quello di Rigopiano lo chiamano “miracolo”, a me piace definirlo “coraggio”.
C’è chi loda il coraggio dei vigili del fuoco, pronti a sfidare la bufera di neve, scalando per più di nove ore la montagna del disastro e ritrovandosi dinanzi a uno scenario pauroso. Alcuni di loro non avevano mai fatto i conti con ciò che una slavina e un terremoto possono creare: il nulla, il deserto del silenzio.
C’è chi guardava con apprensione, pregando perché dentro l’albergo i quattro bambini, poi tratti in salvo, fossero ancora vivi: nessuno avrebbe retto un nuovo “Alfredino”.
Ci sono i superstiti, che si scaldano con ciò che trovano, che continuano a comunicare con i soccorritori, dando la precedenza ai feriti, ai bambini, a chi ha più paura. Con tanto coraggio, non si arrendono, si aggrappano a quello spiraglio di luce verso la libertà, la vita.
E poi c’è Charlie Hebdo, il satirico giornale francese, in grado di pungere, nel profondo, al punto da offendere addirittura la morte. Ma esiste anche questo, fa parte dei disastri e l’uomo non sempre vince d’intelligenza.
E resta l’Abruzzo, in ginocchio, stremato e distrutto, coccolato da un’Italia che ciò che può fare è osservare, senza parole, mentre i nostri angeli continuano a lavorare senza guardare orari, freddo o stanchezza.
In tutti questi casi, c’è solo il coraggio: il coraggio di continuare a sperare, di andare avanti anche se la forza manca, di non mollare. Perché i miracoli accadono solo se siamo noi a crederci e a tenere duro.

Forza, Abruzzo!

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