Nell’inferno di Stoccolma c’era anche un architetto cefaludese

Nell’inferno di Stoccolma, che ha visto piombare in centro un camion sulla folla, c’era anche un cefaludese. L’architetto Francesco Abbate quella mattina era andato a prendere il figlio di cinque anni dalla scuola materna. All’inizio non capisce quanto stava accadendo. «Nelle vicinanze – racconta – si stava girando un film. Vedevo poliziotti ovunque, dato che le scene vedevano pure la presenza di alcuni poliziotti, pensavo di trovarmi in mezzo alle riprese, ho pensato che si trattava di una scena del film. Quando ho capito il dramma mi sono gelato. L’asilo di mio figlio era a poche centinaia di metri dal luogo dove è piombato il camion».

Abbate racconta quegli attimi e prova ancora tanta paura. «Quando ho preso mio figlio dall’asilo erano circa le 14.50. Gli stessi momenti in cui c’era l’attentato». Erika, la madre del suo figlioletto, era stata bloccata dalla polizia, insieme a tantissime altra gente che faceva shopping, in un centro commerciale che si trovava in un’altra zona vicino all’area dell’attentato. Si udivano degli spari e sembrava vi fosse in corso una sparatoria. Arrivato a casa si è reso conto della gravità di quello che stava accadendo. Non poteva comunicare con nessuno per un blackout delle comunicazioni che è durato una trentina di minuti. «Dopo diversi tentativi – racconta – sono riuscito a collegarmi su Facebook ed ho pensato di lanciare un messaggio avvisando familiari e amici che io e Sebastian stavamo bene». Era sempre più difficile, però, comunicare con chi si trovava nel centro di Stoccolma.

«Per oltre un’ora non sono riuscito a mettermi in contatto telefonico con Erika – continua Abbate – e quando con mio figlio siamo arrivati a casa mi sono subito sintonizzato con la televisione per capire cosa fosse successo. Mio figlio, già a quell’età ha capito il dramma, tanto che quando volevo spegnere il televisore mi ha impedito di farlo perchè non avendo notizie della madre pensava fosse fra quelle macerie e voleva informazioni dal telegiornale».

Abbate ricorda ancora i momenti drammatici del suo rientro a casa. «Subito dopo l’attentato fra le strade non c’erano più mezzi pubblici. Niente taxi e nemmeno bus. La metropolitana è stata fermata tanto che lo stesso terrorista, che era sceso per prenderla proprio sotto il luogo dell’attentato, è dovuto risalire per andare a prendere il treno nella vicina stazione ferroviaria. Le strade del centro di Stoccolma si sono subito svuotate». Abbate racconta di non avere preso solo per caso, quella mattina, la metropolitana la cui uscita porta proprio nel luogo dove hanno trovato la morte quattro persone. «Ho telefonato ai miei genitori che si trovano a Cefalù – racconta – e sono rimasto più tranquillo quando mio padre, dall’altro lato della cornetta, mi ha detto che ancora non aveva saputo dell’attentato».

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