E la sottosegretaria chiedeva l’aliscafo a Cafalù

“E la sottosegretaria chiedeva l’aliscafo a Cafalù”. E’ il titolo, con il nome sbagliato di Cefalù, dato da Repubblica ad un suo articolo per raccontare quanto si trova nell’atto d’accusa della procura contro Morace, 2.000 pagine in tutto, che proprio Repubblica ha potuto leggere dopo il deposito in cancelleria. «Un romanzo della corruzione », lo hanno definito il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Dino Petralia. Un sistema di potere che si alimentava di relazioni inconfessabili e favori, piccoli e grandi. Per consolidare l’impero imprenditoriale della “Liberty lines”, questa l’accusa della procura e dei carabinieri, che ha portato Morace in carcere.

«Molto vicino a Morace – scrive Repubblica – era la sottosegretaria Simona Vicari. I carabinieri la intercettano al telefono mentre chiede all’imprenditore un favore davvero particolare, uno scalo degli aliscafi a Cefalù, la sua città. Morace le spiega: «Serve la Regione ». Le due linee di aliscafi (la Palermo-Cefalù-Eolie e la Cefalù- Eolie) erano saltate a seguito dei tagli. Chiedeva Simona Vicari: «Eventualmente per metterlo ci sono dei costi che devono aggiungere oppure voi fate una rimodulazione, come funziona?» Morace quantificava la somma necessaria in un milione di euro. «Rimanevano d’accordo di vedersi nei giorni a seguire per parlarne di persona », annotano i carabinieri».

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