Beata solitudo, sola beatitudo

In quali casi la solitudine si accompagna ad uno stato di beatitudine?

Traendo spunto da una massima latina, riflettiamo su qualcosa che a prima vista può sembrare un ossimoro.

Pensare alla solitudine come benessere può apparire contraddittorio perché siamo soliti accostarla a un vissuto di sofferenza e ad uno stato cagionevole dei rapporti umani, oggi sempre più frequente.

Eppure in psicologia è storica l’affermazione “sapere stare da soli” (Winnicott D.W., Sviluppo affettivo e ambiente, 1965), intesa come una specifica capacità dell’individuo e indicativa della maturità acquisita dal bambino nel suo sviluppo emotivo.

Tale maturità è raggiungibile quando si sono ricevute -fin dai primi anni di vita-, amorevoli cure, fiduciose rassicurazioni e conferme, attenzioni costanti e sicure, ovvero quando nelle relazioni primarie si è percepita la presenza stabile, affidabile e serena dell’altro; ciò consente di interiorizzare tali vissuti e di provare una fiducia in se stessi tale da rendere poi possibile, l’andare verso gli altri e verso il mondo sostenuti da un proprio senso di integrità e completezza.

Così lo stare da soli può avere una valenza molto positiva e non essere affatto un vuoto da colmare, ma diventare uno stato dell’animo apprezzato e perfino ricercato.

In altri termini, poter fare affidamento su un proprio equilibrio fatto di sicurezza, autonomia, autostima, rende la solitudine una risposta al bisogno interiore di calma e di silenzio, grazie ai quali è possibile stabilire un contatto intimo e autentico con se stessi.

Questo tipo di solitudine -non subìta ma scelta- non è arida o infruttuosa e non fa paura, al contrario è una condizione necessaria per “ritrovarsi”, riflettere, creare, rilassarsi; lontani dal caos che spesso ci circonda, dal frastuono emotivo che la vita di ogni giorno ci riserva, finalmente un po’ di pace e quel silenzio in cui non ci sono parole o chiacchiere e che pure non è muto, ma cadenzato dalle vibrazioni del respiro e dai ritmici battiti del cuore.

Pensiamo a quanto sia rigenerante e nutriente crearsi dei momenti di puro silenzio, in cui ascoltare solo se stessi e poter godere di una pausa, magari immersi nelle bellezze della natura.

Ancora, essere in grado di stare da soli è presupposto per essere davvero capaci di stare insieme agli altri. Infatti poter scegliere liberamente quando e se stare in compagnia oppure da soli, vuol dire non avvertire l’esigenza di una presenza altrui per sentirsi meglio o più completi, come se senza l’altro ci mancasse qualcosa. Quel qualcosa occorre trovarlo dentro si sé.

Quando ciò accade si scopre che stare in compagnia di se stessi può essere molto piacevole; tale  condizione rende capaci di scegliere “con chi” stare e soprattutto dà significato al “come” stiamo insieme agli altri.

«L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo» (E. Fromm).

 

La Dott.ssa Giuliana Cardinale è Psicologo, Psicoterapeuta. Riceve a Cefalù in C.da S. Barbara. Iscritta all’Albo degli Psicologi della Regione Sicilia n° 2505 sez. A, è abilitata all’esercizio della Psicoterapia.

 

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