Il regista di matrimoni. Note a margine di Angela Di Francesca

(Articolo di Angela Diana Di Francesca pubblicato su cefalunews il 25 aprile 2005) Il film di K.M. Brandauer, “Mario e il Mago”, girato nel 1994, fu per Cefalù un evento particolare. La presenza della troupe incideva fortemente nella vita cittadina, anche dal punto di vista del cambiamento fisico dei luoghi. Il centro storico sembrava uscito da una “macchina del tempo”, trasformato dagli arredi e dalle insegne I° Novecento (che poi sarebbero rimaste a far parte del paesaggio urbano); si coinvolsero maestranze locali e centinaia di figuranti. La realizzazione del film non era sentita come qualcosa di estraneo, tutti c’erano dentro come in un grande gioco collettivo, e nessuno si lamentava dei disagi al traffico, dei “cordoni” che bloccavano il centro per intere giornate. Non era raro al contrario vedere i cefaludesi spiegare, con tono intransigente, a qualche turista perplesso di fronte a quei blocchi: “Si sta girando un film!”
Si lavorava al film, e il film era anche nostro, apparteneva a tutti noi, “ci riguardava”.

Con il film di Bellocchio, “Il regista di matrimoni”, si è determinata una situazione più tradizionale. Il grande evento collettivo non c’è stato, c’è stata curiosità, disponibilità, animazione, ma non partecipazione, coinvolgimento, entusiasmo. E’ stato certamente un momento bello, un elemento di novità e di stimolo intellettuale, ma vissuto ognuno dalla sua parte. Del resto, Brandauer era l’eccezione; è questa la condizione normale.

L’arrivo di una troupe cinematografica è, in fondo, un’invasione. Inizia psicologicamente-desiderii di provini e riflettori si accendono, le ragazze preparano foto che le ritraggono con espressioni sensuali e misteriose, gli attori dei gruppi teatrali mettono in ordine book e curriculum, e si aspetta, con la mente invasa da ansie e aspettative-gli esami non finiscono mai.

Ai provini per i ruoli vengo scartata regolarmente per incompatibilità tipologica. I film fatti qui in Sicilia prevedono siciliani classici, di aspetto mediterraneo, e io ho colori nordici e “erre” francese. Però mi propongo comunque come comparsa, per il piacere di vedere dall’interno come nasce il film, di respirare l’aria del set.

Quando cominciano le riprese, nel paese c’è l’invasione degli spazi. Si passa da una strada, ed ecco i camper, i camioncini, le strisce bianche e rosse a delimitare il territorio. Ci si muove timidamente, da stranieri, a disagio, mentre “loro” con sicurezza tracciano segnali, confini, architetture per le loro cattedrali che durano un giorno. “Di qui non si può passare, si sta girando” “Ma io sono una figurante!” “Allora prego, di qua”. Ed eccomi all’interno del cerchio magico, guardare serena e sicura gli stranieri a disagio al di là delle strisce bianche e rosse. “Posizione, motore, azione”. Non dovendo fare niente di impegnativo, la mia mente spazia libera, e posso osservare i particolari, i comportamenti, i personaggi, i caratteri.

E’ interessante vedere da vicino persone lontanissime da noi, che per caso, per qualche giorno, incrociano le nostre vite. E’ interessante osservare Marco Bellocchio, con giaccone impermeabile blu scuro e cappuccio, gentile, sorridente, positivo. E’ diverso da come lo immaginavo vedendo i suoi film, a volte duri, scomodi, provocatorii. Non segue il metodo della “sceneggiatura di ferro”, ma più un metodo da nouvelle vague, lasciando una certa flessibilità, modificando o tagliando scene sul posto, spesso ascoltando il parere di Castellitto.

Ed è interessante vederlo trasformarsi da dr Jekyll in Mister Hyde, e urlare parolacce a un tecnico delle luci che non ha capito le indicazioni, per poi rasserenarsi subito dopo e spiegare la scena con appassionata serenità. In genere lascia agli attori una certa libertà nell’interpretazione, nel modo di “sentire” il personaggio, ma se si mette in testa qualcosa a cui tiene particolarmente, è irremovibile. Ci sono state mattine in cui si è cominciato a girare a mezzogiorno perché gli era venuta in mente una diversa impostazione della scena, o magari si doveva assolutamente trovare un certo oggetto secondo lui indispensabile, ed ecco i responsabili della scenografia sguinzagliati qua e là per il paese per cercare di risolvere il problema.

Su una panchina in un momento di pausa può capitare di scambiare due chiacchiere con Castellitto, e coglierne un momento di tenerezza mentre parla al telefonino e raccomanda al figlio di fare gli esercizi di matematica prima di andare in palestra. Ed è bello stare 10 ore a rifare 20 volte ogni scena, perché dentro il cerchio magico il tempo si dilata e sfuma fino a scomparire, si vive in una dimensione altra, e non importa se fa un freddo glaciale e noi figuranti donne siamo in tailleur primaverile leggero e sono le 11 di notte, e se di questa scena che giriamo 20 volte si vedrà forse solo una panoramica sfuocata sullo sfondo. Gli addetti ai lavori non vogliono che si conosca la trama del film, e così si susseguono ipotesi e ricostruzioni sulla base di stralci della sceneggiatura e delle scene a cui ciascuno ha partecipato, e che si tenta di ricomporre come un puzzle.

Di sicuro si sa che si tratta di un regista (Sergio Castellitto) in crisi, che va a trovare un amico che abita in Sicilia e vive realizzando video per matrimoni. Proprio in quel periodo dovrà svolgersi un matrimonio in grande stile tra Bona, (Donatella Finocchiaro), la figlia di un principe decaduto, e un giovane avvocato molto ricco. Ma qualcosa di imprevisto succede, il regista e Bona si innamorano… Come finirà? Qualcuno che ha girato sul treno la scena del ritorno di lui a Roma giura che finisce male, perché lui è solo sul treno e piange. Altri sostengono che hanno invece girato una scena alla stazione dove lui e lei corrono insieme verso il treno, quindi ci dovrebbe essere il lieto fine. Probabilmente è stato girato un doppio finale. Già, perché il film si gira a spezzoni e non c’è uno sviluppo ordinato, si comincia dalla fine, dal centro, da dove si vuole. E c’è di tutto, in questo film… Una festa popolare, la corsa dei sacchi, la processione, gli artisti girovaghi, una canzone d’amore, un delitto durante il matrimonio (ma forse è una scena onirica),- si parla di una scena hard in una chiesa, che naturalmente ha dovuto essere girata in una chiesa sconsacrata. Ci sono parecchie figure caricaturali; dall’ apparenza si potrebbe sospettare il solito film che dà una visione grottesca della Sicilia. Ma Bellocchio non è il tipo di regista che indulge ai luoghi comuni.

Tra le esperienze fatte durante la permanenza della troupe, una tra le più interessanti è stata quella di aver potuto assistere alla “visionatura del girato”. E’ un grande privilegio, perché, come il prestigiatore non mostra gli attrezzi di scena che racchiudono il segreto delle sue magie, così il regista non permette che a pochi elementi dello staff di essere presenti a questo delicato momento, dove la magia è ancora da costruire, dove il film è ancora informe e indifeso, senza ordine, senza logica, senza struttura. Le scene si susseguono separate e individuate dai ciack che ne indicano il numero, assieme al momento della giornata in cui sono state girate (giorno, sera, tramonto…). Non c’è sonoro, si sentono solo i rumori di fondo del nastro, i fruscii, che riportano alla mente ricordi di filmini familiari di tanto tempo fa. La mancanza del sonoro permette di concentrarsi di più sui visi, sulle gestualità, sulle espressioni.

Noto che Bellocchio non fa osservazioni sulla recitazione, ma è molto attento alla luce. Chiede a Pasquale Mari, il direttore della fotografia, se una particolare scena potrà essere resa più luminosa in laboratorio, ma poi conclude : “è meglio girarla di nuovo”.

Ad una scena di interno che si svolge in chiesa, con la luce delle candele, si entusiasma: “Guarda quella luce delle fiammelle sui visi…è perfetta..”.

Usa molto i primi piani. C’è una lunga scena con Donatella Finocchiaro;è seducente ed intensa, ma mi sembra un po’ trattenuta e controllata nel gesto e nella mobilità del viso, e questo le sottrae naturalezza. Quando ci sarà il sonoro non si noterà.

Resto impressionata dai primi piani di Castellitto. Il suo sguardo può mutare di espressione molte volte nello stesso piano sequenza, con un effetto di assoluta autenticità. E’ uno sguardo che sgorga dal profondo, regalando sfumature e sensazioni, di volte in volta inquietante , curioso , sprezzante, dolente, stranito. Sergio Castellitto è uno speciale mix di sensibilità e ombrosità, è simpatico e gentile ma “non lascia entrare”; in genere quando si trova sul set e non gira se ne sta in disparte, e quando finisce va subito a rifugiarsi nella roulotte. Ma sullo schermo comunica senza diaframmi, è come se in quella dimensione trovasse uno spazio psicologico dove potersi aprire all’altro senza paura. Il girato s’interrompe d’improvviso, la pellicola diventa di un verde brillante, poi di un bianco lattiginoso, si accende la luce nella sala.

Bellocchio è di buon umore, fa qualche commento sul tempo, un po’contrariato per la sua variabilità- perché lui, domani, ha bisogno assolutamente del sole, per continuare una scena. E dopodomani sera non deve piovere, perché ci saranno i fuochi d’artificio. In questo universo parallelo i fatti dell’attualità e della storia non contano, e la notte di questo aprile cefaludese sarà illuminata da uno splendido e varipinto “gioco di fuoco” anche se, nel mondo reale, sono i giorni di lutto nazionale per la morte di Giovanni Paolo II.

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