Prima Guerra Mondiale: guerra aerea totale – aprile-agosto 1916

La guerra aerea che si svolse nel biennio 1916 – 1918 è contrassegnata oltre dalle epiche battaglie e all’introduzione della mitragliatrice di bordo, anche dalla fama dei piloti, i quali si resero celebri per la loro abilità nei duelli. Le imprese di questi “Assi dell’aviazione”, furono un crescendo costante di notorietà. Il velivolo, al di là della funzione di combattimento, ricognizione, e lanci di bombe, fu anche impiegato nei mitragliamenti in picchiata e radente sui campi di battaglia, e ancora tra le trincee, causando morti e distruzioni. Il nostro corpo aeronautico, nelle offensive aeree, utilizzò altresì un nuovo modello d’aereo, il biplano Voisin III. Mentre sugli altri fronti di guerra si distinsero per la loro idoneità tecnico-operativa i biplani: Nieuport 17, Royal Aircraft Factory B.E.2, SPAD S.VII, Sopwith 1½ Strutter, Albatros D.II e D.III e il monoplano Fokker Eindecker. Nel 1916 iniziarono le imprese eroiche degli “Assi” italiani della caccia. In realtà, il 7 aprile il Nieuport di Francesco Baracca (di cui quest’anno ricorre il centenario della morte), abbatté il suo primo aereo nemico, un Aviatik austriaco. Ciò nonostante i caccia italiani non furono i soli protagonisti della guerra nei cieli, a loro si unirono i bombardieri: celebre il biplano trimotore Caproni Ca.33. Tuttavia, dopo la breve parentesi di stallo, causata dalle rigide condizioni meteorologiche, ripresero alacremente le attività operative dei dirigibili italiani. Infatti, l’8 agosto un nostro dirigibile sorvolando il nodo ferroviario austriaco di Opicina, vi sganciò circa 880 kg di bombe. Abbiamo chiesto allo storico aeronautico Francesco Fortunato (1) di parlarci degli eventi bellici che hanno caratterizzato i mesi di aprile-agosto del 1916.

«Il ritorno della primavera significò una ripresa “in grande stile” delle attività belliche. Crebbe, in questo periodo, la fama degli “assi dell’aria”. Il termine, introdotto inizialmente da un giornalista francese, si diffuse progressivamente. La narrazione, a volte romanzata, delle imprese dei piloti da caccia risultò utile per sollevare il morale delle popolazioni civili e consentiva ai giornalisti di “alleggerire” le grame cronache di guerra. I piloti di maggior successo divennero delle vere e proprie “star” nei rispettivi paesi. Il concetto di “asso” non è mai stato definito in modo rigoroso, normalmente un pilota era considerato tale dopo cinque vittorie aeree confermate, ma i parametri, il rigore nell’assegnare le vittorie e il modo di considerare le “vittorie condivise” variarono fortemente da stato a stato e anche da reparto a reparto. Ad aprile fece il primo volo, lo SPAS S.VII, destinato a diventare uno dei caccia più significativi della guerra, anche sul fronte italiano. Si trattava di un robusto biplano monoposto, armato di una mitragliatrice sincronizzata con l’elica, decisamente più grande dei Nieuport e che, rispetto a questi, privilegiava la velocità sulla manovrabilità assoluta.

Il 1 luglio scoppiò la tremenda battaglia della Somme, destinata a durare fino a novembre. Nel suo corso, francesi e inglesi subirono perdite terribili ma riuscirono sempre a conservare la superiorità aerea. Ad agosto la Germania creò i primi reparti specializzati di caccia monoplani, i Fokker E. Il primo di essi, denominato Jagdstaffel 2 (o Jasta 2) era comandato dal celebre asso Oswald Boelcke. Nel reparto entrò il giovane pilota Manfred von Richthofen, che fino ad allora aveva pilotato solo velivoli biposto e che aveva dichiarato di aver abbattuto due aerei francesi: le vittorie non gli erano però state riconosciute perché gli apparecchi erano caduti in territorio nemico. Questo pilota sarebbe diventato l’asso degli assi della Grande Guerra e universalmente noto come “Barone Rosso”. Anche sul fronte italiano le offensive ripresero vigore. Dopo le disavventure dell’inverno, il bombardiere trimotore Caproni Ca.3 fu dotato di una torretta posteriore, il cosiddetto “pulpito”, su cui era montata una mitragliatrice in grado di fare fuoco in tutto il settore superiore, al di sopra di ali, eliche e impennaggi. In questo modo aumentava molto la capacità di auto difesa del mezzo, pagando un piccolo scotto in termini di velocità, e una più grave riduzione del carico di bombe che era possibile trasportare. Iniziò allora la ricerca di motori più potenti rispetto ai Fiat da 100 CV di cui era dotato. In Italia il potenziamento della componente aeronautica passò per una riorganizzazione delle squadriglie, ora suddivise in bombardamento (numerate da 1 a 24), ricognizione (da 25 a 40), servizio d’artiglieria (da 41 a 69) e da caccia (da 70 in poi). Oltre a una razionalizzazione organizzativa, ciò rispondeva a una chiara identificazione delle specialità e quindi dei ruoli delle squadriglie. I reparti su Caproni, destinati al bombardamento pesante e alla ricognizione lontana, restavano alle dirette dipendenze del Comando Supremo. Le regole d’impiego rispondevano ai criteri sviluppati sul fronte occidentale, pur in presenza di una mole d’attività decisamente inferiore. In particolare si riconosceva il ruolo dell’aereo nel corso degli attacchi, sia come “appoggio ravvicinato” come si direbbe oggi, ovvero mitragliamento e bombardamento delle trincee nemiche e immediate retrovie, sia come unico strumento valido per seguire il reale sviluppo degli eventi, riconoscendo subito il nuovo percorso del fronte e la dislocazione delle forze.

La perdita di contatto fra i reparti era infatti un problema serio nel corso delle azioni. La crescita numerica delle forze in campo fu notevole ma inferiore ai desideri, a causa della carenza di materie prime, di personale specializzato e anche di rallentamenti delle forniture dalla Francia. Un problema, che non sarebbe mai stato del tutto risolto, era la carenza di prodotti nazionali validi. Si sperava molto in nuovi modelli in via di sviluppo ad opera di Caproni, Fiat e Savoia Pomilio, speranze che saranno spesso deluse. Ad esempio il 3 aprile cadde il prototipo del trimotore di Luigi Bresciani, uccidendo il progettista e gli altri membri dell’equipaggio e ponendo fine al progetto. Si trattava di un aerosilurante ispirato al Caproni Ca.3. Tra la fine di marzo e i primi di aprile era stata l’aviazione austro-ungarica a prendere l’iniziativa, con una serie di attacchi mirati alle stazioni ferroviarie nella pianura veneta. Gli austriaci non erano però dotati di aerei specializzati nel bombardamento, come i nostri Caproni, ma di monomotori multi-ruolo come i biplani Brandenburg C.1 e gli idrovolanti tipo L e tipo K. Ciò, in aggiunta a avverse condizioni metereologiche, rese minimi i risultati pratici delle incursioni. In questi giorni, tuttavia, si fece luce un pilota destinato a far parlare di se, quel Francesco Baracca che sarebbe diventato l’asso degli assi italiano. Il 7 aprile, con il suo Nieuport 11, costrinse all’atterraggio un Brandenburg C.1. Lo stesso giorno, un aereo dello stesso tipo fu abbattuto nei pressi di Udine. Si trattò delle prime vittorie della nostra caccia. L’iniziativa passò quindi sul lato italiano, con una serie di incursioni finalizzate a rallentare l’afflusso di uomini e materiali verso il Carso. Maggio vide poi un nuovo impiego dei grandi Caproni, impiegati a più riprese anche a lanciare manifestini. Il fine era di esaltare i risentimenti e le tensioni indipendentiste delle diverse nazionalità che componevano la variegata compagine austro-ungarica. Era un primo tentativo di “guerra psicologica” e non sarebbe rimasto isolato. Dalla seconda metà di aprile il centro delle operazioni si spostò dall’Isonzo al Trentino, dove l’esercito austro-ungarico stava preparando un tentativo di sfondamento delle linee italiane, ovvero la famosa “Spedizione punitiva”. Le squadriglie d’aviazione italiane furono impiegate a fondo sia nella ricognizione, per scoprire i movimenti di truppe e materiali nemici, sia nel bombardamento per tentare di rallentare i preparativi. L’attacco austriaco iniziò il 15 maggio, superò le difese italiane e avanzò fino al 4 giugno, quando fu arrestato su una nuova linea difensiva. Gli scontri continuarono intensi fino al 18. La notte del 25 giugno iniziò la controffensiva italiana, che proseguì, con piccoli risultati, fino al 28 luglio. Lo sforzo dei reparti aerei italiani fu concentrato su ricognizione, tentativi di ostacolare l’afflusso di materiali e rifornimenti verso il fronte e, quando la situazione tornò a stabilizzarsi, mappatura della nuova prima linea austriaca. Il 5 luglio fu abbattuto, nei pressi di Ospitaletto, dopo un lungo combattimento, il Farman pilotato dal sottotenente Ugo Niutta e con osservatore il tenente Cesare Franceschini. A Niutta fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, la seconda massima onorificenza concessa a un aviatore italiano dopo quella a Oreste Salomone. A Niutta è stato dedicato nel 1921 l’aeroporto di Napoli Capodichino. Dopo questo grande sforzo l’Austria-Ungheria non sarebbe più stata capace di grandi azioni offensive senza il supporto tedesco, ivi compreso lo sfondamento di Caporetto. Relativamente pacificata la situazione in Trentino, il centro delle operazioni si spostò nuovamente sull’Isonzo. Qui furono trasferite molte delle forze svincolate dal Trentino. L’aviazione fu impegnata principalmente nel complicato e rischioso ruolo di preparare un grande assalto, tramite assidue ricognizioni e aggiustamento del tiro dell’artiglieria. Fu impegnata anche la caccia nel tentativo di dissuadere i ricognitori nemici, ma con poco successo: gli austriaci effettuavano solo brevi sortite al di qua del fronte, sufficienti a fotografare le installazioni italiane, senza dare tempo sufficiente ai nostri Nieuport per intervenire. Mentre questi preparativi procedevano, i comandi italiani decisero di autorizzare un ambizioso progetto di attacco alla città di Fiume, al di là dell’Adriatico, con bersagli prioritari sul silurificio e secondari sul cantiere navale e il porto.

L’attacco scattò la notte del 31 luglio. Con l’aiuto della luna piena, i dirigibili di marina M1 e M6, quest’ultimo comandato dal capitano di corvetta Giulio Valli, partirono da Ferrara e Iesi ma incontrarono forte vento contrario e pesante copertura di nubi, che li costrinsero a rientrare. Riuscì invece, in buona parte, la seconda parte dell’attacco, effettuata alle prime luci dell’alba da 24 Caproni. Tra di essi c’erano uno dei primi esemplari in cui il motore centrale Fiat era stato sostituito da un più potente Isotta Fraschini, consentendo un maggior carico di bombe. Cinque trimotori furono costretti a rientrare da problemi meccanici e di navigazione mentre gli altri, seppure sparpagliati, portarono a termine l’attacco. Ampie colonne di fumo si levarono dai bersagli. La reazione austriaca fu tardiva e solo un trimotore fu costretto a un atterraggio di fortuna perché colpito dalla contraerea e poi finito da un caccia, pilotato dall’asso austriaco Gottfried de Banfield. Costui dopo la guerra, prese la cittadinanza italiana diventando direttore di un’impresa di trasporti e recuperi marittimi. L’attacco su Fiume suscitò molta impressione presso le autorità austro-ungariche. Preceduto da alcune azioni diversive, il 6 agosto iniziò l’attacco dell’esercito italiano sull’Isonzo, destinato a conquistare la testa di ponte di Gorizia. Di nuovo le componenti da ricognizione e da bombardamento furono pesantemente impegnate, con il supporto della caccia di protezione. L’offensiva proseguì fino al 16 agosto. Il dirigibile di marina M4 fu distrutto nella sua prima missione, nelle prime ore del 4 maggio. Colpito da artiglieria e caccia nemiche, prese fuoco e precipitò presso Gorizia, uccidendo tutto l’equipaggio. Il 3 giugno il dirigibile M5 fu distrutto a Mirafiori, in un incidente con un dirigibile d’addestramento. I dirigibili italiani superstiti furono modificati per migliorarne le capacità di salita. Nella notte fra il 7 e l’8 agosto l’M1, reduce dalla tentata impresa di Fiume, fu impiegato contro la stazione ferroviaria di Opicina. Sulla via del ritorno riuscì a sfuggire a un attacco di caccia avversari con le armi di bordo e una rapida salita a 4000 m, dimostrando la validità dei miglioramenti. In questo periodo la marina italiana, prendendo esempio da quella britannica, iniziò a impiegare piccoli dirigibili per il ruolo di ricognizione marittima in funzione antisommergibile e anti mine. Questa rete di sorveglianza si sarebbe progressivamente estesa fino a coinvolgere tutti i principali porti e rotte nazionali».

(1) Francesco Fortunato, è nato a Napoli nel 1971. Ingegnere Aeronautico lavora dal 1999 alle dipendenze di una grande impresa in qualità di specialista nel calcolo numerico. Impegnato nel volontariato, è appassionato di musica, tecnologia e storia, in particolare storia dell’aeronautica. Ha aperto e gestisce il blog “Fremmauno”, un sito di “storia aeronautica meridionale”. Collabora con l’Università Federico II di Napoli (Facoltà di Ingegneria) e altri studiosi di aviazione. Scrive articoli e organizza conferenze.

Foto a corredo dell’articolo: Nieuport-Ni-11, Dirigibile tipo M in hangar, foto notturna, Dirigibile M5 torretta, Dirigibile M6 navicella 1916.

Giuseppe Longo
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@longoredazione

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