Prima Guerra Mondiale: Francesco Baracca la fine del “Cavallino Rampante”

Il 19 giugno di cento anni fa l’asso dell’aviazione militare italiana Francesco Baracca, nel corso di una missione nei cieli del Montello, in piena “Battaglia del Solstizio”, non rientrava più alla base aerea di Quinto di Treviso.  Il Maggiore Baracca, proveniente dall’arma della cavalleria, faceva parte dell’allora nascente Corpo Aeronautico dell’Esercito, e apparteneva alla 91ª Squadriglia aeroplani da caccia denominata la “Squadriglia degli Assi”. Baracca, mentre sorvolava con il suo SPAD S VII il rilievo montuoso del colle Montello, durante un’azione di mitragliamento a volo radente, venne colpito dal fuoco nemico. Il corpo con il suo aereo su cui era dipinto un “cavallino rampante”, fu ritrovato casualmente alcuni giorni dopo, il 23 giugno, dall’ufficiale di artiglieria Ambrogio Gobbi, alle pendici del Montello (Nervesa della Battaglia), in località “Busa delle Rane”. Abbiamo chiesto allo storico aeronautico Francesco Fortunato (1) di parlarci dell’ufficiale di cavalleria Francesco Baracca, l’Asso degli Assi, della caccia italiana (34 vittorie riconosciute), nel centenario della sua morte, avvenuta sul fronte occidentale, nei momenti cruciali delle furibonde battaglie del Grappa del Montello e del Piave.

«Nell’estate del 1918 l’esito della guerra sembra ancora appeso a un filo. Sono i giorni decisivi della “Battaglia del Solstizio d’estate” del 1918. Alcune formazioni austriache sono riuscite a passare il Piave, dove si è assestato il fronte dopo la disfatta di Caporetto. In aria l’esercito italiano vanta, finalmente, un riconosciuto dominio, che rende difficile e pericolosa ogni azione di ricognizione austriaca. Gli assi dell’aria ne sono il simbolo: Piccio, Ruffo di Calabria, Keller e alcuni altri, tutti raccolti nella 91ª squadriglia a capo della quale c’è il più grande e famoso di tutti: Francesco Baracca. Gli assi non sono soltanto soldati di valore: sono preziosi per il loro significato simbolico, oggi si direbbe mediatico. Sono emblemi, eroi e punti di riferimento per l’orgoglio e il morale dell’intera nazione.

Francesco Baracca era tornato in azione a maggio, dopo un periodo di riposo, e aveva conseguito due vittorie in un solo giorno, il 15 giugno, portando il suo totale a trentaquattro. Il 19 giugno decollò dalla base di Quinto di Treviso, con l’ordine di mitragliare alcune postazioni nemiche sulle pendici del Mondello. Queste missioni di appoggio alla fanteria erano ormai abituali, rischiose ma necessarie allo sforzo bellico. Il caccia SPAD XII su cui l’asso volava abitualmente era tornato danneggiato da una precedente missione, per cui dovette ripiegare su un più vecchio ma comunque affidabile SPAD VII. Inoltre uno dei tre piloti della pattuglia decollò in anticipo, lasciandolo con la scorta di un solo compagno, per di più alle prime armi.

L’asso degli assi non tornò da quella missione. Una vampata in cielo, in lontananza, fece sperare che egli avesse aggiunto un’altra vittoria alla sua raccolta, ma era accaduto ben altro. Le autorità italiane sperarono a lungo che Baracca si fosse salvato in un atterraggio d’emergenza e rigettarono la tesi austriaca, pure circostanziata e avallata da testimoni, che l’asso fosse stato abbattuto dalla mitragliatrice difensiva di un loro ricognitore. Il cadavere fu poi trovato qualche giorno dopo, il 23 giugno, parzialmente carbonizzato e con un foro nella testa, fra l’occhio destro e il naso. Il fatto fece nascere successivamente il sospetto che il pilota si fosse suicidato, per non morire carbonizzato nell’aereo, ma non esistono prove decisive a riguardo. Una tesi alternativa ha identificato invece il foro come ferita da impatto, o successiva alla morte e dovuta ai bombardamenti di granate avvenuti nella zona.

La tesi ufficiale italiana fu che Baracca non fosse stato colpito da un aereo nemico ma da fuoco di terra: lo scopo di questa presa di posizione era essenzialmente politico e di morale, perché così non si riconosceva una vera vittoria sul campo al nemico, ma solo un successo fortuito, e non si intaccava la fama di asso infallibile del pilota italiano.

Così si chiudeva la vicenda umana di Francesco Baracca, nato il 9 maggio 1888 a Lugo di Romagna, da famiglia ricca e formatosi militarmente in cavalleria. Nel 1912 aveva optato per l’aviazione, allora parte dell’esercito, dopo essere rimasto affascinato da un’esercitazione a cui aveva assistito al campo di Roma Centocelle.

A lui si deve la prima vittoria aerea italiana nella guerra, il 7 aprile 1916, su Gorizia, contro un ricognitore austriaco che aveva costretto all’atterraggio. Successivamente aveva voluto incontrare e stringere la mano al suo avversario, con un atteggiamento cavalleresco che lo contraddistinse sempre. Egli sostenne sempre, tra l’altro, di mirare all’aeroplano, non agli uomini».

(1) Francesco Fortunato, è nato a Napoli nel 1971. Ingegnere Aeronautico lavora dal 1999 alle dipendenze di una grande impresa in qualità di specialista nel calcolo numerico. Impegnato nel volontariato, è appassionato di musica, tecnologia e storia, in particolare storia dell’aeronautica. Ha aperto e gestisce il blog “Fremmauno”, un sito di “storia aeronautica meridionale”. Collabora con l’Università Federico II di Napoli (Facoltà di Ingegneria) e altri studiosi di aviazione. Scrive articoli e organizza conferenze.

Foto a corredo dell’articolo: Francesco Baracca accanto al suo caccia SPAD S  VII

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

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