Catarinicchia: compie 92 anni il vescovo profeta della città di Cefalù

Compie oggi novantadue anni il vescovo Emanuele Catarinicchia che a Cefalù è ricordato ancora per le sue profetiche parole e per i suoi gesti di presule povero e vicino al popolo. E’ nato a Partitico, infatti, il 12 luglio 1926. Negli otto anni che lo hanno visto reggere la diocesi di Cefalù ha mostrato il volto di un vescovo forte, vitale, coraggioso, fermo e dolce. Per dirla con una parola: ha mostrato il viso di un vescovo profeta le cui azioni ancora oggi fanno sentire l’eco. 

Fin dal suo arrivo a Cefalù, era il gennaio del 1979, Catarinicchia abbandona l’idea del vescovo chiuso in episcopio e apre le porte della sua casa a tutti. La forza per il suo ministero la prende all’interno di una cappella dove si ferma per diverse ore al giorno a pregare. La vitalità del suo insegnamento l’assume in una stanza del piano terra, al confine fra l’episcopio e piazza duomo, dove si riunivano quotidianamente i giovani dell’azione cattolica della Cattedrale e lui si ferma a giocare ma anche a chiacchierare per ascoltare quanto accadeva a Cefalù. Il coraggio del suo ministero lo prende in quella stanza dove riceve tutti, e ascolta chiunque, seduto su uno dei due divani giallastri che vi aveva fatto collocare. La fermezza della sua parola l’assume ogni giorno in quei trenta minuti che, fra le 8:30 e le 9:00, lo vedono telefonare ai suoi parroci per informarsi di ciò che accadeva in diocesi. La dolcezza del suo dialogo la costruisce giorno per giorno in quella stanza da pranzo del piano terra dell’episcopio, che confina con il giardino, dove era solito consumare i pasti. Il suo sedersi a tavola, infatti, si trasformava sempre in un momento nel quale ascoltare gli amici su ciò che di lui si diceva in giro. 

Nell’aprire le porte dell’episcopio a tutti, Catarinicchia annuncia il Vangelo dell’ospitalità e apre la diocesi al rinnovamento conciliare e al dialogo con la società. Il centro diocesi diventa luogo di comunione. Alle parrocchie il giovane vescovo chiede il coraggio del dialogo, la fedeltà al Vangelo e la povertà nella testimonianza. Lui, vescovo povero, si presenta con semplicità offrendo a tutti la sua amicizia. Rifiuta la macchina lussuosa per andare in giro. Al baciamano della gente preferisce l’abbraccio fraterno. Al filtro della segreteria, nel contatto con le persone, sostituisce il suo rispondere direttamente al telefono ma anche l’aprire con le sue mani la porta di casa a chiunque vi bussava. All’abbondanza di cibo a tavola sostituisce la sobrietà del mangiare. Catarinicchia rifiuta tutti quei segni che avrebbero potuto far pensare al vescovo potente. Vive i suoi giorni all’ombra della cattedrale ruggeriana da pastore povero che non accetta compromessi per il Vangelo. Il suo parlare è schietto e semplice anche quando deve intervenire per fermare la religiosità che si trasforma in paganesimo.

In procinto di lasciare Cefalù il vescovo Catarinicchia pronuncia parole profetiche nei confronti della città nella quale aveva vissuto. Per la prima volta nella storia della cittadina normanna un Vescovo alza la voce per descrivere i problemi della comunità. «La classe dirigente di questa città – dice – è stata sempre più attenta al bene personale, particolare o di gruppo, che non all’interesse generale. Questa città ha una componente mafiosa non di stampo tradizionale ed una prepotenza oscura capace di manovrare e di riuscire a qualunque costo, che lascia molto pensierosi. E poi c’è la massoneria che era in sonno e che ora si è svegliata».

Catarinicchia descrive nei dettagli quanto accade a Cefalù. «Qualcosa di pauroso. C’è un tale imbroglio di potere da mandare in svendita Cefalù. La città sta per essere svenduta. Ci pensino i cittadini, perché sui poteri occulti, comunque essi si chiamino, si gioca sempre l’interesse della comunità. Non è mia competenza individuare come, dove, di che cosa si sono impadroniti o come sono riusciti a farlo. Non fatemi passare per coraggioso, quanto dico è sotto gli occhi di tutti ogni giorno. Solo chi non vuol vedere non vede». Per il giovane vescovo bisognava azzerare tutto e ci voleva un ricambio perché proprio questi poteri rischiavano di schiacciare la città. Ci voleva un ricambio totale in tutte le istituzioni: dalla magistratura, al Comune, persino alle unità sanitarie locali.

Catarinicchia lascia Cefalù la mattina del 30 gennaio del 1988. Da allora di quelle sue parole è rimasto l’eco di una verità: in trenta anni non è cambiato molto perché a Cefalù da un trentennio si è finto di cambiare tutto per non cambiare niente.

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