Giornata in ricordo delle vittime della mafia, ecco la storia di ‘Turiddu Carnevali’

L’associazione Libera di don Luigi Ciotti organizza a Padova la XXIV edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno, tra le vittime della mafia ecco la storia di Salvatore Carnevale

La XXIV edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, organizzata dall’associazione Libera di don Luigi Ciotti, quest’anno si svolgerà a Padova, ma iniziative simili sono previste in tante altre città italiane. Tra le oltre 1000 vittime della mafia che saranno ricordate c’è quella di Salvatore Carnevale. La sua vicenda è simile a quella di Placido Rizzotto, Epifanio Li Puma e di tanti altri sindacalisti e contadini siciliani che sono stati assassinati dalla mafia nel secondo dopoguerra. I tentativi di emancipazione del popolo siciliano sono sempre stati soppressi nel sangue e, in molti di quegli episodi, è stata assai probabile la partecipazione diretta o indiretta di apparati delle istituzioni pubbliche. Un comportamento che ha favorito il radicamento del fenomeno mafioso e che ha impedito lo sviluppo economico e sociale dell’isola.

Era l’alba del 16 maggio 1955 quando il bracciante e sindacalista, Salvatore Carnevale, venne assassinato a colpi di lupara. Quella mattina si stava recando al lavoro presso una cava di pietra gestita dall’impresa Lambertini. I killer lo uccisero in contrada ‘Cozze secche’, una trazzera nelle campagne di Sciara, che si trova in provincia di Palermo. Il motivo fu il suo impegno sociale e politico a difesa degli interessi dei lavoratori.

Nel 1951 il giovane sindacalista organizzò la Camera del lavoro e la sezione del Partito socialista italiano di Sciara. L’attivismo di Carnevale dava molto fastidio ai proprietari terrieri. Nell’ottobre di quell’anno organizzò ‘un’occupazione simbolica delle terre’ in contrada ‘Giardinaccio’ di proprietà della principessa Notarbartolo. Arrestato, quando usci di galera preferì trasferirsi per due anni in Toscana, a Montevarchi. Lì scoprì la cultura della legalità e dei diritti dei lavoratori. Quando, nell’agosto del 1954, tornò in Sicilia tentò di applicare nella sua terra gli stessi principi e gli stessi valori. Nominato segretario della Lega dei lavoratori edili di Sciara era riuscito, tre giorni prima di essere assassinato, ad ottenere il pagamento delle paghe arretrare e la riduzione della giornata lavorativa ad otto ore. Ma questo era troppo per i latifondisti ed i gabelloti di Sciara.

Ad essere accusati dell’omicidio di Salvatore Carnevale furono i dipendenti della principessa Notarbartolo: ‘l’amministratore del feudo Giorgio Panzeca, il magazziniere Antonio Mangiafridda, il sorvegliante Luigi Tardibuono e il campiere Giovanni di Bella’. I quattro furono condannati all’ergastolo dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere dove, per legittima suspicione, si svolse il primo grado del processo. In quel procedimento a rappresentare la parte civile, che era costituita dalla madre del sindacalista assassinato, Francesca Serio, fu il futuro presidente della Repubblica, Sandro Pertini, mentre nel collegio difensivo c’era Giovanni Leone anch’egli futuro e discusso capo dello Stato ed unico presidente della Repubblica costretto alle dimissioni perchè travolto dallo scandalo Lockeed.

In appello e, successivamente, in Cassazione il verdetto fu ribaltato e gli imputati assolti per insufficienza di prove. Una storia che si ripeterà tante volte, almeno fino alla sentenza storica di condanna nel maxiprocesso voluto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, altri due eroi siciliani assassinati dalla mafia.

Fonte wikipedia.org e libera.it 

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