Messa del Crisma: Omelia del Vescovo

Percorrendo le strade del territorio di questa amata Chiesa Cefaludense lo sguardo spazia su splendidi panorami che si prestano a collegamenti straordinari con i paesaggi di molte pagine evangeliche. Possiamo godere della dorsale montuosa delle Madonie che, dopo il vulcano Etna, comprende le più alte vette della Sicilia, zona di abbondanti pascoli. Inoltrandoci nella Valle del Torto, lo sguardo si distende sulle valli che ad ogni stagione cambiano colore e dove l’attività prevalente è l’agricoltura. Scendendo sulla costa vedi e senti respirare il Mar Tirreno «pizzicato dall’aria, mordicchiato dal vento nella verde-azzurra pelle»[1]. Da questo splendido panorama vedo uscire tre personaggi che questa sera ci parlano del sacerdote: il pastore, l’agricoltore e il pescatore. Dietro ogni immagine c’è sempre l’ombra del servo per amore. Siamo “pastori”, guide esperte, in assidua cura del gregge, in perenne ricerca delle pecore smarrite. Gesù stesso si è proposto come modello e ha detto di sé: «Io sono il buon pastore»[2]. I testi evangelici sottolineano, con l’immagine del pastore, la ricchezza e la profondità delle relazioni umane e soprannaturali che legano il sacerdote ai suoi fedeli: conoscenza, affetto, premura anche per uno solo, gioia e festa per ogni fratello ritrovato. Sono tutti segni di una paternità che vince ogni tentazione di comportarsi da mercenari o da funzionari. La profondità delle relazioni tra il pastore e i suoi fedeli genera la disponibilità al dono di sé, fino ad offrire la propria vita, come Gesù: non ci siamo noi al primo posto, non la difesa dei nostri diritti, ma il bene loro, dei fedeli, del “gregge” che Gesù buon Pastore ci affida. Non manca il rischio della lotta, perché il “lupo” è sempre all’opera per rapire e disperdere le pecore. Quanta necessità di preghiera, e quanta vigilanza, per difendere i nostri bambini, i giovani, le famiglie e le comunità a noi affidate dalla fame del “lupo”!

E quale splendida visione di Chiesa da quelle parole di Gesù: «Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore»[3]. La passione per l’unità della Chiesa deve caratterizzare il ministero di ciascuno di noi: guai a chi pensa di potere camminare per conto suo, credendosi autosufficiente, senza riferimento al Vescovo, alla Chiesa, ai confratelli. Papa Francesco ha regalato a noi vescovi quella bella immagine del pastore che cammina avanti, sta in mezzo e dietro il gregge. Davanti per segnare la strada, in mezzo per condividere i bisogni del popolo di Dio, dietro per difendere, ma anche per farsi condurre dal gregge.

Andiamo ora all’immagine dai lavoratori agricoli: il seminatore, il vignaiolo, il mietitore e i braccianti agricoli. Ritorniamo così alle diverse parabole evangeliche con la mente rivolta al nostro ministero. I lavoratori della terra (γεωργοὶ) svolgevano un lavoro diuturno e faticoso, in terreni spesso aridi e sassosi, con scarsi mezzi e frutti spesso precari. Così è il nostro lavoro di ogni giorno nel campo della Chiesa: assiduo, vario e faticoso. C’è tanto da dissodare prima di poter seminare; c’è tanto da lavorare per aiutare e difendere la crescita del seme; tanto da attendere prima che venga il tempo dei frutti, attraverso stagioni lunghe, con disagi diversi e spesso gravi. Anche il sacerdote conosce, nel suo ministero, i rigori e il freddo dell’inverno, le piogge e i venti della primavera, il caldo torrido dell’estate. Quanto ai frutti, quante volte abbiamo speso energie, forse per anni, poi la nostra attesa è rimasta delusa! Quel giovane, dal quale ci attendevamo tanto, ha preso un’altra strada; quella famiglia, che avevamo preparato così bene, non ha retto; quella vocazione, che sembrava così sicura, non ha perseverato; la comunità, costruita con pazienza e fatica, si è dispersa. Come il lavoro dell’agricoltore, la missione del sacerdote, sa di dover fare i conti con un severo realismo: i terreni spesso sono ostili e aridi; gli uccelli portano via il buon seme; il maligno semina la zizzania. Ma la speranza vince su tutto. È la speranza che sorregge nella fatica; che fa spargere il seme della Parola con generosità e quasi senza misura anche su terreno meno fertili; che fa attendere i tempi lunghi della crescita e della maturazione. Speranza che fa guardare, al di là della nostra fatica, all’opera della grazia, e ci fa vedere Dio stesso, divino Agricoltore: è lui che fa crescere il seme. «Dorma o vegli il contadino, il seme germoglia e cresce; come egli stesso non lo sa»[4].

Nella parabola dei lavoratori della vigna presi a giornata: emerge la misericordia di Dio e non la nostra meritocrazia. Siamo tutti umili operai nella vigna del Signore come ci ha ricordato Papa Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato. In una catechesi sulla Santa Pasqua, attribuita a San Giovanni Crisostomo, siamo così esortati: «Chi ha lavorato fin dalla prima ora, riceva oggi il giusto salario; chi è venuto dopo la terza, renda grazie e sia in festa; chi è giunto dopo la sesta, non esiti: non subirà alcun danno; chi ha tardato fino alla nona, venga senza esitare; chi è giunto soltanto all’undicesima, non tema per il suo ritardo. Il Signore è generoso, accoglie l’ultimo come il primo, accorda il riposo a chi è giunto all’undicesima ora come a chi ha lavorato dalla prima. Fa misericordia all’ultimo e serve il primo»[5]. La misericordia infinita del Signore, che ci è donata in modo totalmente gratuito, sia condivisa tra noi, senza fare alcun paragone, ma entrando nella sua logica, rivelataci una volta per tutte da Gesù Cristo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date»[6].

Infine l’immagine del pescatore e l’invito così evocativo del Signore: «Prendi il largo»[7]. Un’immagine che indica la disponibilità anche a cambiare luogo o specifico servizio. Lo stile sinodale nell’esercizio del ministero. Ma, più in profondità, indica il coraggio dell’annuncio evangelico; la creatività e la disponibilità a percorrere, nella fedeltà alla Chiesa, anche vie nuove; la disponibilità ad accogliere le “novità” che la Chiesa stessa propone; la prontezza a ricominciare: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti»[8]. Nell’immagine suggerita vi è anche un chiaro invito all’umiltà di fronte al successo nel ministero: un successo, quando c’è, sempre inatteso e superiore alle nostre capacità, ai nostri meriti, alle nostre risorse umane: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore. Grande stupore infatti li aveva presi per la pesca che avevano fatto!»[9].

Dalle immagini che ho richiamato emergono dunque suggestive e feconde dimensioni spirituali ed operative. Esse suggeriscono, tra l’altro, adeguati ritmi di lavoro, di preghiera, di studio, di riposo; ritmi che nascono dal ministero al quale siamo chiamati, con spirito di agricoltori pazienti, di pastori generosi e di pescatori coraggiosi.

✠ Giuseppe Marciante

[1] Mario Luzi, Tutte le poesie, Il mare, Garzanti.
[2] Gv 10, 11.
[3] Gv 10, 16.
[4] Mc 4, 27.
[5] Pseudo-Giovanni Crisostomo, Catechesi sulla Santa Pasqua, III, 2.
[6] Mt 10,8.
[7] Lc 5, 4.
[8] Lc 5, 5.
[9] Lc 5, 8.

Gandolfo Albanese: