“Childfree”: una scelta tabù?

Cosa vuol dire childfree? Letteralmente “liberi dai figli”, significa aver scelto la non genitorialità.

 La questione è molto delicata e nel decidere di affrontarla ne sento tutta la responsabilità e anche il rischio, ma credo che alcuni temi sociali abbiano intensità e ricaduta culturale non trascurabile; spesso sono temi scomodi, di cui si parla poco, gravati da pregiudizi o oggetto di aspre critiche.

Alcuni riferimenti attestano la diffusione tutta occidentale del voler essere “non madri” e la sensibilità del mettere parole ai vissuti molto intimi e privati di alcune donne:  ricerche Eurisko evidenziano l’intensificarsi del fenomeno; a gennaio di quest’anno è stato realizzato da M. Piga e N. Nesler un documentario che raccoglie testimonianze e monologhi al femminile (www.lunadigas.com); ancora un testo della F. Angeli “Perché non abbiamo avuto figli” (2009), è un’intervista rivolta a 13 donne famose che raccontano la loro scelta di non maternità.

Childfree è il neologismo anglosassone che descrive una preferenza non solo delle donne ma anche di molte coppie; eppure la coppia resta sullo sfondo e l’incomprensione, l’accusa di egoismo e di mancanza dell’istinto materno, l’essere giudicate “contro natura”, la sindrome da Peter Pan rivolta al gentil sesso, il preferire la carriera alla famiglia, sono solo alcune delle opinioni negative rivolte a chi afferma una propria “diversa” volontà, difficilmente intesa come atto responsabile e consapevole; forse è il prezzo da pagare per la non convenzionalità e per una decisione vista ancora come un tabù.

Le ragioni a fondamento di tale scelta possono essere svariate e riferibili a fattori individuali quanto sociali: molte donne non vedono nella maternità un veicolo di realizzazione di sé e si sentono ugualmente integre perseguendo altri obiettivi e progetti di vita; non assimilano la loro femminilità solo al ruolo materno; possono non dare per scontata l’accettazione di tutte le implicazioni fisiche di una gravidanza; consapevoli dei propri timori e limiti faticano a riconoscersi nella delicata e complessa identità genitoriale; ancora la precarietà di un’epoca come la nostra, in cui anche le politiche sociali non brillano certo per efficienza del sostegno e dei servizi rivolti all’infanzia, può essere ulteriore e non secondario deterrente.

Per diventare ed essere madre non basta partorire un figlio, direi che è come ri-partorire se stesse a partire dal proprio essere state figlie. La nascita di un bambino ha il valore di metterci di fronte a una nuova creatura, a un corpicino inerme e dipendente in tutto dall’adulto, la cui più grande responsabilità sarà quella di prendersene sempre cura soprattutto rispetto alla formazione e allo sviluppo della sua psiche.

La maternità e la non maternità dovrebbero essere sempre scelta e desiderio liberi e consapevoli, nella considerazione che entrambe sono il riflesso di peculiarità emotive e psichiche costitutive della soggettività e non di un ruolo spesso imposto o non accettato dalla società.

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