Il ruolo delle Ferrovie dello Stato nella Prima Guerra Mondiale (terza parte)

Terminiamo con questa terza e ultima parte, l’excursus storico che ha proposto ai lettori, la breve sintesi della conferenza “Il ruolo delle Ferrovie dello Stato nella Prima Guerra Mondiale” (a cura del Colonnello Mario Pietrangeli e dell’Ingegner Michele Antonilli), tenutasi nel capoluogo lombardo, lo scorso 18 settembre, presso la Fondazione Cesare Pozzo.

«Il Genio Ferrovieri nella Prima Guerra Mondiale: «Prima di passare al Genio Ferrovieri nella Grande Guerra descriviamo il ruolo dei militari nella gestione delle linee Preunitarie. Notizie di impiego di militari nella gestione delle linee ferroviarie preunitarie si hanno nel Regno delle Due Sicilie. Infatti, nella tratta Napoli – Caserta dal 24 aprile 1844 fu impiegata una compagnia cantonieri (Corpo Militarizzato). La compagnia pur impiegando maestranze civili, si cateterizzava per la disciplina e l’organizzazione militare. Nella sua massima estensione la Compagnia era così strutturata: al vertice vi era un Ispettore, col compito di vigilarne l’operato e di apportarvi eventuali modifiche organizzative ed operative; al comando operativo, come diremmo oggi, vi era assegnato un capitano. La struttura operativa della Compagnia, suddivisa in quattro “sezioni”, era composta da: quattro sergenti addetti a capo-sorveglianza e quattro caporali addetti a capo-cantoniere, tutti scelti tra sottufficiali o artigiani specializzati.  Centocinquantotto cantonieri, scelti tra sottufficiali e soldati congedati o tra gli addetti ai lavori ferroviari, erano assegnati all’armamento ferroviario, alla mannara dei passaggi a livello e degli eccentrici (scambi a mano e circolazione), alla guardia notturna. Infine, un chirurgo del Servizio Sanitario militare era addetto al controllo medico giornaliero del personale che “marcava visita”, mentre, occorre considerare alcuni conduttori di locomotiva preparati alla “scuola fuochisti” di Pietrarsa. In tutto la Compagnia Cantonieri comprendeva, quindi, oltre 171 persone per assicurare la gestione e l’esercizio di 56 Km di linea e degli impianti annessi; considerato che l’altra strada ferrata in esercizio, la Napoli-Nocera-Castellammare data in concessione a privati ed estesa per 44 Km., prevedeva 119 persone addette (compreso l’Ispettore) oltre ad un numero imprecisato di facchini, guardiaporte ed operai, si può ritenere che l’organizzazione ferroviaria statale borbonica fosse del tutto comparabile a quella privata tenuto conto anche della circostanza che sulla Regia Strada Ferrata si andavano ad aggiungere, oltre a quelli previsti per i traffico civile, i convogli speciali per il trasporto militare e quelli imprevisti per soddisfare le esigenze private di trasferimento della corte da una reggia all’altra. Questa particolarità di impiego della ferrovia procuravano maggior impegno occasionale di personale e certamente un aggravio sulla regolarità di gestione e circolazione, tanto che da parte del governo borbonico si decise subito per la realizzazione a doppio binario della linea. Il personale alla Compagnia Cantonieri, aveva un trattamento retributivo di poco inferiore a quello privatistico (le paghe oscillavano dai 15 ducati mensili dei sergenti ai 6 ducati mensili dei cantonieri contro i 18 ed 8,5 ducati dei corrispondenti livelli presso la Società Bayard-De Verges) ma in più godeva dei privilegi derivanti dall’appartenenza ad un corpo militarizzato (e cioè la stabilità del rapporto di lavoro ed il supporto assistenziale e previdenziale dell’istituzione militare borbonica, che non aveva pari presso gli altri Stati italiani). Da non trascurare poi il fatto che il personale operativo della Compagnia, fosse accasermato nelle stazioni o fabbricati limitrofi (idea ripresa nel secondo dopoguerra quando il personale militare del genio ferrovieri impiegato sulla Chivasso – Aosta viveva nelle Stazioni FS con le proprie famiglie) con i vantaggi che questo comportava sia per il personale stesso e per le loro famiglie sia per la Compagnia che in tal modo si assicurava la “reperibilità” del personale che, per effetto della militarizzazione, non poteva abbandonare il posto. Naturalmente era previsto che il personale della Compagnia Cantonieri fosse equipaggiato di “vestiario uniforme”. Il regolamento del 18 maggio 1844 ne descrive le caratteristiche in una tabella. Essendo la compagnia, un Corpo militarizzato, la divisa dei suoi appartenenti non poteva che emulare quella dei militari. Ma la storia come si sa, e un succedersi di continui mutamenti per cui nel 1861, venuto a cessare il Regno delle Due Sicilie, la Regia Strada Ferrata entrò a far parte del gruppo di linee possedute e gestite dallo Stato italiano mentre la Compagnia cantonieri, il cui ultimo Comandante fu il capitano Lorenzo Perris, cessò definitivamente di esistere.

Cartina delle linee ferroviarie in zona di guerra, da Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra (1915-1918).

Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale ogni Compagnia del Reggimento ferrovieri disponeva di un parco costituito da 2 carri merci modello A e B ed una “carretta” (carro merci per trasporto di vario materiale) da Battaglione. Il caricamento dei carri a mod. A e B era pressoché lo stesso ed era costituito da strumenti e materiali per armamento ferroviario. I carri mod. A avevano anche strumenti per tracciamento e livellazione delle ferrovie, mentre quelli mod. B materiali per mine e demolizioni. Alle Compagnie potevano inoltre essere assegnati materiali del magazzino di reggimento per la costruzione e l’esercizio di linee a scartamento ridotto, per ponti metallici, piani caricatori scomponibili, apparati per l’illuminazione, battipali, argani, etc. Qualora necessari, tali materiali venivano caricati su carri ferroviari, per la costituzione di un “treno parco” o di “sezioni di treno parco”. Con i ponti metalli scomponibili potevano essere realizzate strutture di lunghezza multipla di m. 3, sino ad un massimo di 45 m. Per la lunghezza massima, le due travi realizzate, a doppia parete, potevano raggiungere l’altezza di 5,90 m.. La posa in opera di tali pareti veniva in genere effettuata per varamento, con l’impiego di un apposito avambecco.  Nel primo anno di guerra i ferrovieri operarono nel basso Isonzo per il ripristino di ponti ferroviari, per il potenziamento di stazioni, tramite la posa di scambi e binari, per la costruzione di piani caricatori, edifici e baracche, inerenti al servizio ferroviario. Particolarmente significativi i lavori per l’ampliamento della stazione di Tolmezzo e, soprattutto, quelli effettuati nella stazione di Chiusaforte, che consentirono di “avvicinarsi” al ponte del Ferro, utilizzando la ferrovia; le artiglierie di grosso calibro, precedentemente venivano, infatti, scaricate presso la stazione della Carnia, proseguendo, poi, per via ordinaria, con tempi assai lunghi. Ma spesso i ferrovieri furono anche impegnati in attività di competenza delle altre specialità: i ferrovieri della 2^ Compagnia, in Val Fella, all’inizio della guerra, effettuarono perforazioni e sistemazioni di opere in caverna nonché tracciamento di mulattiere; inoltre, in occasione di un violento attacco austriaco a Sella di Solagna, imbracciarono le armi, costituendo l’unico reparto a disposizione del comando di settore.

Carro armato di cannone da 152/40

Nel 1916 la 13^ cp. del Reggimento, assegnata al Corpo di Spedizione Italiano in Albania, dopo aver superato notevoli difficoltà, riuscì a risalire con zattere il corso della Voiussa, spingendosi fino a Ciflik Idris, ove trasse in salvo alcune unità dell’Esercito serbo, giunte ormai allo stremo delle forze. Fino alla ritirata del 1917 continuarono i lavori di armamento e di ripristino dei binari, di ampliamento delle stazioni, di prolungamento dei piani caricatori. Il personale di esercizio di linee ordinarie e Decauville fu impiegato a mantenere l’esercizio di alcuni tratti di linea della zona di operazione. Due Compagnie furono impiegate, in Albania, nell’esercizio di 60 km di binario Decauville.  Nel 1917, nel pieno della Bainsizza, i ferrovieri costruirono ponti metallici sull’Isonzo, meritando l’encomio del Comandante della 2^ Armata.  Nella ritirata del 1917 i ferrovieri furono impiegati nella distruzione degli impianti fissi e delle maggiori opere d’arte ferroviarie sull’Isonzo, sul Tagliamento e su altri corsi d’acqua, nelle zone cedute agli austriaci. Lavori particolarmente impegnativi di ricostruzione di binari e di impianti ferroviari furono affidati alle truppe del Genio Ferrovieri, sulla base di un programma della Direzione Trasporti. Fra questi lavori citiamo la progettazione e la costruzione della linea Castalfranco-Asolo, di oltre 10 km, che fu intrapresa dall’8^ Compagnia ferrovieri a ritmi assai sostenuti, con impiego di materiali di recupero e mezzi speditivi. Nello stesso periodo fu dislocato a Castel Maggiore, presso Bologna, un distaccamento dell’8^ Compagnia ferrovieri per la costruzione di un fascio di 15 binari per il parco ferroviario delle truppe inglesi. In tale occasione, fu messo in opera materiale d’armamento costituito da rotaie e scambi speciali a suola larga, arrivato direttamente dall’Inghilterra. La stessa 8^ Compagnia fu altresì impegnata a San Cataldo (Modena) per l’armamento di fasci di binari per il progetto parco ferroviario dell’Intendenza Generale del Comando Supremo. Il materiale d’armamento utilizzato in questi casi era spesso costituito dalla demolizione di binari non indispensabili, esistenti nelle stazioni della linea Bologna-Milano. Per le notevoli esigenze di movimento dei treni connessi con la ricostituzione delle Armate depauperate durante la ritirata del 1917, numerose aliquote di personale delle Sezioni Esercizio Linee del Genio Ferrovieri furono date in rinforzo alle Ferrovie dello Stato. L’opera svolta dal personale del genio ferrovieri a fianco dei ferrovieri civili nei grandi trasporti strategici fu notevolissima.  Dopo lo scioglimento delle unità mobilitate, al termine della grande guerra, il Reggimento venne ricostituito con la denominazione di Reggimento Genio Ferrovieri».

Treni Armati Della Regia Marina: «L’esigenza di dotare le nostre coste di una difesa costiera era nota al nostro Regio Stato Maggiore della Marina, soprattutto per la potenza di fuoco della Marina avversaria che pertanto costituiva un notevole pericolo per le nostre forze. Ma malgrado la consapevolezza dell’efficienza incisività e efficacia del nemico ci furono notevoli ritardi nell’organizzazione di una valida difesa costiera adriatica. Infatti, l’inizio delle operazioni nell’Adriatico da parte della Marina austro-ungarica era stato caratterizzato da una serie di pesanti azioni contro obiettivi costieri italiani, portati nella notte del 24 maggio 1915. Il piano, studiato dall’ammiraglio Haus, risultò ben concepito, organizzato in tutti i dettagli e finalizzato a ottenere soprattutto un effetto negativo sul morale delle popolazioni costiere. In base alle sue disposizioni, la sera del 23 maggio 1915 uscì dalla base di Pola il grosso della Flotta, che era destinata a suddividersi in gruppi navali. Di questi, all’alba del giorno 24, tre gruppi navali principali, che raggruppavano la quasi totalità delle navi di linea, preceduti da unità leggere in esplorazione e scortati ai fianchi da numerose torpediniere, dovevano bombardare le sistemazioni militari e ferroviarie di Ancona, oltre che quelle esistenti in altre località costiere in un raggio di una decina di miglia dal capoluogo marchigiano. Altri due gruppi dovevano invece bombardare rispettivamente le installazioni ferroviarie di Rimini e quelle portuali di porto Corsini, che venivano erroneamente ritenute un punto d’appoggio per siluranti. Un altro gruppo rappresentava la prima linea di vigilanza lungo la congiungente Pedaso-Porto Tajer (Isola Grossa) per contrastare eventuali provenienze dall’ Adriatico meridionale. Da Sebenico erano invece partiti altri due gruppi navali, che rappresentavano la seconda e la terza linea di vigilanza lungo le congiungenti Pelagosa-Gargano e Pelagosa-Lagosta. Il primo gruppo aveva anche il compito di bombardare i porti di Vieste, Manfredonia e Barletta, mentre il secondo, le isole Tremiti, Torre di Mileto, le foci del Sinarca e Campomarino. L’azione maggiore ebbe luogo su Ancona, città peraltro dichiarata “indifesa” e come tale ufficialmente segnalata per via diplomatica a Vienna. Il bombardamento navale provocò 68 vittime e 150 feriti, oltre che ingenti danni materiali. Danni minori si ebbero in altre località della costa adriatica e qualche limitata interruzione subì la rete ferroviaria, mentre andò perduto il cacciatorpediniere Turbine, affondato dalle unità nemiche, impegnate anche nel bombardamento degli impianti ferroviari di Barletta e Manfredonia e della stazione semaforica di Vieste. Questa prima azione rese evidente a quale minaccia fossero esposte le città e le cittadine adriatiche. Non era infatti stato possibile subito predisporre una difesa costiera adeguata, data anche l’estensione della costa stessa e le sue caratteristiche peculiari, che avrebbero richiesto risorse economiche, oltre che materiali, piuttosto cospicue. Era inoltre mancato il tempo per predisporre postazioni fisse in numero sufficiente, mentre la Regia Marina non poteva offrire una copertura adeguata visto l’alto numero di località da proteggere, ma data anche la ridottissima disponibilità di basi nell’Alto e Medio Adriatico, il che avrebbe significato un sicuro logoramento per il naviglio e gli equipaggi impiegati.

Schema del carro Poz armato nelle due versioni con un pezzo da 152 40 e con due pezzi da 76 40, da Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra (1915-1918).

Rimaneva ancora da prendere in considerazione l’utilizzo della linea ferroviaria e di treni appositamente armati, ipotesi che era già stata sottoposta al Parlamento nel 1891, quale soluzione alla difesa delle coste siciliane, ma che era poi caduta nel disinteresse più completo. In sostanza, i treni armati della marina operarono nell’arco di costa compreso tra lo stretto di Otranto e Ravenna. Erano numerati dall’1 al 12 ed il loro comando operativo era situato ad Ancona. Essendo armati con pezzi che provenivano dai magazzini della R. Marina e operando lungo il litorale erano alle dipendenze dirette dello Stato Maggiore della Marina. Essi costituirono l’unica difesa costiera mobile possibile a quei tempi (soprattutto per le scarse risorse disponibili e per i citati ritardi organizzativi). Il grande protagonista di questa nuova mobilità, il treno, veniva usato prevalentemente per i grandi trasporti strategici e logistici, cioè per trasferire soldati, quadrupedi, generi vari e munizioni, in grandi quantità e su lunghe distanze. Le “tradotte” militari erano di solito formate da vagoni ferroviari chiusi a pavimento libero, atti al trasporto di persone, animali e di materiali vari, ma talora erano attrezzate in modo speciale – con vagoni blindati o armati – per la difesa contro i sabotatori.

Direzione Armi e Armamenti Navali, Spezia. Carro armato di cannone da 152/40.

Vennero impiegati anche veri e propri treni armati, come quelli della Marina Militare Italiana (muniti di artiglierie da 76 mm e 152 mm) che operarono lungo il tratto di costa tra il Canale d’Otranto e Ravenna e che costituirono un’efficace difesa litoranea mobile. Sul fronte orientale, anche l’Esercito utilizzò treni armati con pezzi da 152/40 mm per bombardare le zone operative nemiche del Carso Triestino. I treni sanitari e ospedale contribuivano intanto allo sgombero di migliaia di feriti e ammalati. Nella 2^ guerra mondiale, quando l’avvento del carro armato e dell’aereo consentì un incremento della mobilità tattico-operativa sufficiente per un ritorno al combattimento manovrato, ai treni rimase il compito dei grandi trasporti strategici e dello sgombero dei feriti e/o malati con i treni ospedale. I movimenti ferroviari potevano però svolgersi quasi soltanto nella Zona Territoriale, a causa dell’incombere della minaccia aerea e quindi della possibilità di essere colpiti, dall’alto, anche in profondità dietro le linee amiche. L’evoluzione tecnologica delle armi moderne, per le quali le linee e le installazioni fisse della ferrovia sono divenute facili bersagli, relega ormai il treno – sempre di più – a compiti prevalentemente logistici nelle retrovie sempre importanti e nell’attualità dei nostri giorni come mezzi di supporto in gravi calamità nazionali».

Si ringrazia per le indicazioni documentarie e iconografiche il Colonnello Mario Pietrangeli, del Comando Militare Esercito Lombardia.

Foto di copertina: Direzione Armi e Armamenti Navali, Spezia. Carro armato di cannone da 152/40.

 

Bibliografia e sitografia:

Michele Mario Elia, Luigi Cantamessa, Ernesto Petrucci. “Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra (1915-1918)”. La Tecnica Professionale n. 10 – ottobre Roma, 2015.

Michele Antonilli, Mario Pietrangeli, “Il ruolo delle Ferrovie nella Prima Guerra MondialeAmarganta 2018.

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

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