I terremoti della storia: quando il tempo passa, ma la paura è sempre la stessa

Lo sciame sismico che da giorni colpisce il centro Italia sembra che non voglia fermarsi e insieme a questo continuano a circolare voci, più o meno attendibili, sull’evento, di fronte al quale, tuttavia, gli esperti non mostrano nessuna meraviglia, avendo, da tempo ormai, appurato come tutti gli Appennini siano zone ad alto rischio sismico. È di dominio pubblico, infatti, la notizia dell’apertura di una possibile faglia su questa catena montuosa, la cui presenza fisica si avvertirà, però, solo in futuro.
Di fronte a queste notizie quello che possiamo fare è solo prendere atto delle difficoltà che ancora oggi si incontrano nel momento in cui ci si trova ad affrontare un terremoto. Le grandi scoperte scientifiche e i suoi passi da gigante non permettono, ad oggi, di poter anticipare le catastrofi, al fine di limitare i danni che purtroppo la lentezza burocratica non sarà in grado di riparare, almeno non in tempi brevi. Ecco perché sembra di rivivere ogni volta lo stesso terribile scenario di morte, desolazione e abbandono: la terra trema, la gente perde i propri punti di riferimento e nessuno è in grado di trovare una soluzione; il passato si ripete.
Era l’8 settembre del 1694, quando una fortissima scossa sulla dorsale appenninica irpino-lucana sconvolse tutto il centro-sud della nostra penisola. Furono anni di declino culturale, economico e demografico, accompagnati da continue rivolte popolari, tra cui si ricordi quella innescata a Napoli da Masaniello nel 1647. Le ricerche condotte attraverso le fonti archivistiche hanno dato luce a diverse notizie: si tratta per lo più di scambi epistolari tra l’Italia e la Spagna, tra cui rilevanti risultano la corrispondenza tra il viceré Francesco de Benavides de Simancas e il re spagnolo Carlo II d’Asburgo, e tutta una serie di lettere, conservate presso l’Archivio Segreto Vaticano, nelle quali è possibile ricostruire l’entità dei danni subiti dagli edifici ecclesiastici; per esempio, presso il Duomo di Napoli furono riportate ampie lesioni nel soffitto e lungo le pareti, per non parlare di molti danni presenti all’interno della cappella del Tesoro di San Gennaro. La scossa dell’8 settembre, avvenuta in piena notte e della durata compresa tra i 30 e i 60 secondi, rase al suolo ben quattordici paesi e provocò la morte di un numero elevatissimo di abitanti (una cifra sovrastimata parla addirittura di circa 4820 morti). A ciò si uniscano le difficoltà nei collegamenti, resi impraticabili a causa di frane e smottamenti, dei crolli degli edifici e degli incendi scoppiati successivamente alla fuoriuscita di gas.
Più recente e sicuramente più deleterio fu il terremoto del 28 dicembre 1908: il XX secolo si apriva in nome della sciagura, con un sisma che aveva danneggiato gravemente le città di Reggio Calabria e Messina, a seguito di un terremoto dell’intensità pari o superiore a 10 della scala Mercalli. Nella sola Messina il 90% degli edifici crollò; per la verità, Messina finì per pagare il doppio delle conseguenze perché nell’immediato una frana marittima, verificatasi nei pressi di Giardini Naxos, generò un maremoto, che uccise quanti avevano deciso di spostarsi verso il mare per allontanarsi dal cumulo di macerie delle abitazioni crollate, altro terreno di morte per chi, invece, aveva deciso di rimanere nel vano tentativo di salvare le vite umane rimaste intrappolate: nel giro di poche ore Messina si trasformò in un inferno di fuoco e fiamme. Reggio, dal canto suo, vantò un numero considerevolmente alto di morti, che, secondo il parere dei giornali dell’epoca, si sarebbe potuto evitare se gli aiuti e i rinforzi del Regno fossero arrivati per tempo.
Un breve accenno rivolgo a un altro terribile evento sismico, quello che colpì la zona del Belice, cioè l’area compresa tra le province di Trapani e Palermo, avendone già ampiamente parlato in un precedente articolo, nel mese di Gennaio, “La valle del Belice e gli effetti di un terremoto senza fine”, dove le conseguenze del terremoto sono ancora ben visibili, come un monito perenne pronto a non distogliere l’attenzione da ciò che rappresenta l’arretratezza del nostro sistema di soccorso.
E facendo un piccolo salto indietro nel tempo, anche Cefalù entra nella storia, non tanto per la violenza del terremoto che la colpì il 5 marzo 1823, ma quanto per le anomalie riscontrate dagli studiosi: il terremoto era stato anticipato da alcune attività sismiche nel corso del mese di Febbraio, verificatesi in modo piuttosto regolare, tanto da non destare particolari paure, essendo questa un’area particolarmente sismica; durante il pomeriggio del 5 febbraio la scossa (pari al X grado della MCS), però, si propagò in modo irregolare, intensificando la sua forza verso occidente, mentre nella zona orientale si assistette a un’incredibile smorzamento degli effetti. Diversi studi condotti su quest’area permettono oggi di poter imputare quest’asimmetria a fattori di natura topografica e geologica.
Purtroppo la mia recensione su quelli che sono stati i terremoti più distruttivi di sempre in Italia non può dilungarsi ulteriormente, non permettendomi di ricordarne tantissimi altri, ma tutti dimostrano come sia difficile riuscire a gestire uno stato di emergenza come quello di un post terremoto: non esiste un piano di soccorso adeguato ai nostri tempi, tutto viene limitato all’improvvisazione, mentre si corre per riparare l’irreparabile quando alle porte l’inverno comincia a colpire forte e duramente.  Anche in questo caso, il passato non insegna, nemmeno a non perdere l’occasione di tacere.

 

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