Cefalù: fra attesa e speranza come si vive la quarantena nella città di Ruggero

Per una città abituata a vedere le strade affollate di turisti, accorgersi che sono vuote e deserte spinge a tanti interrogativi. Un po’ come accade nelle altre città, fra i cefaludesi c’è chi pensa che presto si tornerà a vivere come prima e chi, invece, col passare dei giorni capisce che nulla sarà più come prima. C’è chi già pensa che dal 4 maggio si riprenderà a vivere da dove si era lasciato tutto e chi, invece, informandosi si convince sempre di più che dai primi di marzo ad oggi sono cambiate tantissime cose. C’è chi pensa che tutto si risolverà con qualche piccolo adattamento nella vita di ogni giorni e chi, invece, capisce che la vita non si dovrà solo adattare ma cambiare e trasformare in tante situazioni alle quali prima nemmeno si pensava. In questa situazione c’è, e sono tantissime persone, chi attende di uscire di casa per riprendere a vivere dal punto dove tutto si è interrotto tutto e chi, pochissime persone, riflette su cosa cambiare nel lavoro, nello svago e nel sociale per riprendere a vivere nella nuova società del post coronavirus.
Con i primi due mesi del 2020 si è chiusa l’era della “comunicazione senza frontiere” e si è aperta quella della “comunicazione a distanza”. Per vivere fra le persone, infatti, oggi bisogna mantenere alcune distanze. Ci dicono che questa distanza si aggiri fra uno e due metri. E così lentamente tante situazioni stanno cambiando all’insegna della distanza. Oggi per insegnare ci si deve trasformare in docente a distanza. Per fare il medico ci si deve inventare la medicina dell’essere ad una certa distanza. C’è chi pensa che queste situazioni sono solo transitorie. E invece non sarà così. Sono situazioni nuove che presto dobbiamo fare nostre.
In questi giorni che ci vedono chiusi in casa si dovrebbe pensare e progettare la società di domani. Ci si dovrebbe impegnare a tutti i livelli per mettere in piedi la società della comunicazione a distanza. Non sappiamo quanto sarà lunga, in fatto di tempo, questa nuova “società della comunicazione a distanza”. Di certo sarà una società che ci aprirà ad una nuova cultura mondiale della quale oggi riusciamo a intravedere poco sul come sarà. E allora più che chiedere di aprire tutto e tornare ai primi due mesi di quest’anno, con il rischio di vedere tornare nuovi focolai di coronavirus, si abbia il coraggio di proporre nuove forme di lavoro a distanza, nuovi modi di educare nella distanza, nuovi luoghi turistici da fare vivere arte e cultura nella distanza, nuove infrastrutture sociali dove trascorrere il tempo libero in distanza e persino nuovi luoghi liturgici dove celebrare la fede a distanza. La società senza barriere è morta per sempre. Ne sta nascendo una nuova dove la parola d’ordine è: “distanza”. E’ finita la società delle grandi folle. Prima ne comprendiamo il senso e prima usciamo dalla situazione di emergenza.

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