Diciamo basta allo slogan della pasta inventata a Trabia

Di recente ho avuto modo di leggere in un noto settimanale di cucina una gustosissima ricetta che spiegava come preparare gli spaghetti al sugo con salame e piselli. Ovviamente, è una normale consuetudine sfogliare un magazine di gastronomia per chi vuol scoprire i sapori autentici italiani di una volta; un rendez-vous che per un neofita come me, è sempre alla ricerca di nuovi gustosi “piatti unici” da proporre agli amici durante le pause lavorative.

Tuttavia, nell’introduzione storica dell’esecuzione della squisita portata, si rendeva noto ai lettori che l’antenato del moderno “spaghetto” era stato già prodotto in Sicilia, e precisamente a Trabia, località vicino Palermo, attorno al 1100, secondo la testimonianza del geografo e viaggiatore berbero Idrisi, contenuta nel suo “Libro di Ruggero”.

In realtà la località di Trabia pur essendo vicina alla capitale della Sicilia, la “Palermo bella come l’arcobaleno” è vicinissima a Termini Imerese, e guarda caso nel XII secolo, Trabia era solamente un casale, o meglio un “Ospitium”, secondo quanto ha scritto Francesco Tardia (1732 – 1778), letterato, glottologo, e orientalista, traduttore di Edrisi, nella “Descrizione della Sicilia cavata da un libro arabico di Scherif Elidris. Corredata di Prefazione, e di copiose Annotazioni dal Signor Dottor Francesco Tardia Palermitano”, tomo ottavo degli “Opuscoli di autori siciliani”:

«…dalla parte Orientale della medesima città (N.d.r. Palermo), distante una frazione vi è il Castello Terme dove vi sono due eccellentissimi bagni caldi poco distanti l’uno dall’altro. A questo Castello vi sopraffà un’antichissimo edifizio, e dal suo lato Occidentale si vede un Ospizio chiamato Tarbiaa, il quale è un luogo amenissimo, e di ricreazione…».

Infatti, secondo la testimonianza del noto geografo e viaggiatore arabo Muhammad al-Idrisi (1099 circa – 1165), nel suo “Il sollazzo per chi si diletta di girare il mondo”, ossia l’Italia descritta nel “Kitab Rugiar”, il “Libro del Re Ruggero” in merito alla città di Termini Imerese così la descriveva a pag. 28:

«…A ponente di Termini è un abitato che s’addimanda ‘at tarbì’ah («la quadrata», comune di Trabia): incantevole soggiorno; [lieto] d’acque perenni che [danno moto a] parecchi molini. La Trabia ha una pianura e de’vasti poderi ne’quali si fabbrica tanta [copia di] paste da esportarne in tutte le parti [specialmente nella] Calabria e in altri paesi di Musulmani e di Cristiani: che se ne spediscono moltissimi carichi di navi.

Presso la Trabia è il wadì ‘as sullah (fiume di Termini) largo e copiosissimo d’acque nel quale si trova dalla primavera in poi il pesce chiamato ray (specie di salmone?). Nel porto poi di questo paese si prende quel gran pesce che addimandasi il tonno…»

E ancora:

«…A dodici miglia da [Termini s’incontra] la fortezza di bùrqàd (villaggio di Brucato), alta fortezza che ha grande numero di cólti, un mercato, [varie] industrie, acque, e non pochi molini ed orti, giardini, vaste massarie ed ottime terre da seminato. Brucato giace a due miglia dal mare…».

 

La Sicilia nella Tabula Rogeriana di Muhammad al-Idrisi

 

Pertanto, nel XII secolo, Trabia, esattamente era un casale arabo, ovvero un borgo che apparteneva alla Città di Termini, e per la quale la stessa esercitò in questo luogo la propria pertinenza territoriale.

Ma non solo, l’autorità giurisdizionale di Termini Imerese, in quel tempo capo distretto, si estendeva non esclusivamente a Trabia ma anche sino all’attuale Comune di Altavilla Milicia sempre in provincia di Palermo.

Quindi, mi sembra giusto a questo punto chiarire per scrupolosità storica, che gli “spaghetti” o meglio i “vermicelli” si producevano in Sicilia, a Termini Imerese nel casale di Trabia, poiché questa è la definizione esatta.

Del resto il territorio ferace di Termini Imerese sin dal Medioevo ha vantato la tradizionale lavorazione e produzione della pasta, grazie al favorevole clima e alla peculiare abbondanza di acque sorgive, quali quelle di Brucato (situate alle pendici settentrionali del Monte San Calogero), il “fiume di Termini”, l’odierno San Leonardo e i torrenti Barratina e Calcasacco.

Infatti, nelle varie epoche succedutesi, numerose furono le presenze di mulini nella zona del terminese che praticavano la molitura del grano per la produzione dell’oro bianco: ovvero la farina e il pane.

Altra testimonianza, tangibile del connubio acqua, farina e cereali nel territorio di Termini Imerese, fu la presenza di numerosi magazzini del Regio Caricatore: depositi che contennero prevalentemente granaglie, oltre alle variegate merci da esportare.

In ogni modo, rammentiamo che gli arabi furono presenti in Sicilia, apportando grossi benefici all’economia, e mediante i loro contatti con l’Estremo Oriente, avevano già appreso la lavorazione della pasta. Infatti, la prima documentazione inerente a una forma di impasto a fili con tecniche e materie differenti al frumento, risale a circa 3800 anni fa, nella lontana Cina, dove peraltro lì non conoscevano il grano.

E sempre gli arabi furono per primi a essiccare le paste alimentari, poiché durante i loro viaggi non avevano sufficiente acqua per produrre giornalmente la pasta fresca.

Il più antico documento che attesta la lavorazione di tale impasto (che poi sarebbero i nostri attuali tipi di pasta cava: maccheroncini, oppure i bucatini e derivati) è un libro di cucina del IX sec. a cura di Ibran’al Mibrad.

Ricordiamo che i maccheroncini già conosciuti presso le tribù beduine e berbere sono attualmente in uso nella cucina Siriana e Libanese.

In ogni modo, uno dei più antichi procedimenti d’impasto, la “itrya” (dalla voce araba “itryah” ossia “impasto fresco”), fu citato nel Talmud babilonese (III e il V secolo d.C.). Quindi, un’affine pietanza la troveremo poi in Sicilia, intorno all’anno Mille, come precedentemente detto, sotto la dominazione normanna, e precisamente a Termini Imerese, nel casale di Trabia, a menzionarcela fu lo studioso e viaggiatore arabo al-Idrisi nel suo “Libro di Ruggero” nel 1152. Esso ci parla di un: “un cibo di farina in forma di fili”, denominato triya che si esportava in tutta la penisola.

Ebbene, Muhammad al-Idrisi, descrisse questo particolare filato “triyah” del tutto simile al nostro (vermicello) durante il suo viaggio da Palermo verso Messina.

Di certo, non posso che essere d’accordo con Andrea Sansone, autore del libro: “Mulini e Pastifici a Termini Imerese dall’Unità d’Italia ai nostri giorni” (con la sapiente presentazione e introduzione, rispettivamente del Dott. Enzo Giunta e del Dott. Geologo Antonio Contino), quando egli scrive:

«Se la pasta descritta da Al-Idrisi, si fabbricava a Trabia, quindi fuori Città (N.d.r. Termini Imerese), pensate voi che non se ne “fabbricasse” dentro le mura, dove la cultura araba, ormai presente da circa duecento anni aveva apportato tante trasformazioni sia in campo urbanistico-architettonico che culturale».

E’ con molta probabilità che l’invenzione dello spaghetto fu creato attraverso un lento processo di elaborazione, mediante una nuova formula, la cui fonte di ispirazione furono proprio gli l’itrya di derivazione araba.

Tuttavia, alla luce degli eventi, ci sembra giusto effettuare una ulteriore rilettura storica della produzione della pasta in Sicilia. Infatti, l’insufficienza della documentazione storiografica, porta spesso a confrontarsi con notizie senza fondamento; soprattutto quando a mancare sono le basilari nozioni storiche.

Di conseguenza, valorizzare i temi storico-folcloristici e storico-sociali, non deve significare distorcere la verità, per fini utilitaristici e/o propagandistici, anche attraverso slogan inconsistenti.

Un fatto del tutto analogo, a nostro avviso, è la storia del “Carnevale di Termini Imerese”, che si reputa “il più antico di Sicilia” non essendolo mai stato, il quale peraltro è gemellato con quello di Trabia.

Bibliografia e sitografia:

Descrizione della Sicilia cavata da un libro arabico di Scherif Elidris. Corredata di Prefazione, e di copiose Annotazioni dal Signor Dottor Francesco Tardia Palermitano”, tomo ottavo degli “Opuscoli di autori siciliani” MDCCLXIV. Palermo, 1754. 408 pp.

Atti della Reale Accademia dei Lincei Anno CCLXXIV 1876-77 Serie Seconda – Volume VIII, ROMA COI TIPI DEL SALVIUCCI 1883. L’Italia descritta nel «Libro del Re Ruggero» compilato da EDRISI. Testo arabo pubblicato con versione e note da M. Amari e C. Schiaparelli. Memoria letta nella seduta del 17 dicembre 1876.

P. Salvatore Lanza di Trabia, Notizie storiche sul castello e sul territorio di Trabia. Estratto dall’Archivio Storico Siciliano N.S. Anno III 1878.

Giuseppe Navarra “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000.

Massimo Fabio, Export e tutela dei prodotti agroalimentari del Made in Italy, Ipsoa 2015, XVII-627 pp.

Maria Ivana Tanga, Il grano e la dea (cereali e pane del “mare nostrum”), Aletti 2018, 300 pp.

Andrea Sansone, Mulini e Pastifici a Termini Imerese dall’Unità d’Italia ai nostri giorni” Tipografia Zangara, Bagheria, 2018, 218 pp.

Giuseppe Longo, 2018 – “Il quartiere fuori Porta Palermo e l’infondata “leggenda” dell’origine del Carnevale di Termini Imerese”, Cefalunews.org – 24 agosto.

Giuseppe Longo – 2019 – “La rivincita della “vera” storia del Carnevale Termitano”, Cefalunews.org.

Giuseppe Longo – 2019 – “Riflessioni sulla festa carnascialesca di Termini Imerese l’erede indiscussa dell’antico Carnevale di Palermo”, Cefalunews.org.

Antonio ContinoAqua Himerae idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale)” Giambra Editori, 300 pp. 2019.

Foto a corredo dell’articolo: Una copia della fine del medioevo della Tabula Rogeriana, con il nord in basso. La Sicilia nella Tabula Rogeriana di Muhammad al-Idrisi

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

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