E’ morto il vescovo Catarinicchia: ha guidato la diocesi di Cefalù per nove anni

Si è spento oggi, all’età di 97 anni, il vescovo Emanuele Catarinicchia che ha guidato la diocesi di Cefalù per nove anni dal 1978 al 1987. Nei 3.314 giorni che lo vedono vescovo di Cefalù, Catarinicchia percorre quasi un milione di chilometri a bordo di una 127 bianca, prima, e di una Ritmo azzurra dopo. Alla media di 300 chilometri al giorno percorsi in auto, conosce ogni angolo della propria diocesi.

Catarinicchia arriva a Cefalù nel gennaio del 1979. Papa Giovanni Paolo II lo nomina quale presule della cittadina normanna l’11 novembre dell’anno prima. Ad appena 52 anni fa il suo ingresso a Cefalù il 22 gennaio del 1979. Subito apre a tutti la porta dell’Episcopio. Chi vi bussa lo trova sempre disponibile all’ascolto in uno studio che allestisce con due poltrone a ridosso del Salone Sansoni. Rifiuta la macchina lussuosa per andare in giro in utilitaria. Al baciamano della gente preferisce l’abbraccio fraterno. Al filtro della segreteria, nel contatto con le persone, sostituisce il suo rispondere direttamente al telefono ma anche l’aprire con le sue mani la porta di casa a chiunque vi bussa. All’abbondanza di cibo a tavola chiede la sobrietà del mangiare. Beve del latte e mangia un po’ di frutta al mattino, un sobrio piatto di pasta a pranzo e della povera verdura a cena.

Il suo parlare è schietto e semplice anche quando deve intervenire per fermare la religiosità che si trasforma in paganesimo. Piange lacrime di amicizia il 28 novembre del 1985 quando apprende della morte di un suo giovane parroco, Angelo Mazzola, che lui stesso alcuni giorni prima aveva presentato alla comunità parrocchiale di Calcarelli. Le sue giornate in Episcopio cominciano assai presto. Alle sei è già in cappella per la preghiera, la meditazione e la recita dell’ufficio delle Letture. In ginocchio davanti al sacramento racconta le sue attese e chiede aiuto per la sua azione ministeriale. Alle sette si dirige nella cappella del Seminario per celebrare l’Eucaristia e al ritorno si ferma nella sua sobria stanzetta. Un letto, una piccola scrivania, il bagno e la finestra dalla quale riesce a posare lo sguardo sul cortile.

Catarinicchia
Emanuele Catarinicchia al suo arrivo a Cefalù qui nella prima foto ufficiale distrubuita in Diocesi.

Nei nove anni che resta a Cefalù osserva, guarda, ascolta. Partecipa alla vita della città di Cefalù e soffre per tante miserie che vi scorge. Spinge al cambiamento e invoca la partecipazione sociale e politica. Incoraggia le giovani generazioni ad impegnarsi per cambiare il futuro cittadino. Intuisce che la classe dirigente non è all’altezza per far competere Cefalù con le grandi città turistiche. Si confronta con economisti e bravi politici. Per la sua Cefalù ne studia l’economia, la storia, lo sviluppo e persino le prospettive. Chiede consigli ad esperti e vuole conoscere il perché dei tanti problemi irrisolti. Sente la sofferenza di chi non ha voce e si imbatte nei soprusi di chi ne soffoca la libertà.

Catarinicchia si accorge di quanto accade all’interno del Municipio cefaludese. Per lui è sofferenza. «Solo chi non vuol vedere non vede» usa ripetere Catarinicchia a chi gli chiede cosa pensa delle continue crisi politiche della città e a chi vuole conoscere il suo pensiero sui problemi irrisolti della città. Il 1987 in Italia è l’anno che a Sanremo vede vincere Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi con “Si può dare di più”. Proprio così: si può dare di più tranne a Cefalù. A giugno il Napoli di Maradona si laurea campione d’Italia. In autunno Adriano Celentano conduce alla Rai una edizione di fantastico che suscita numerose polemiche e aspre critiche per colpa delle sue lunghe pause di silenzio durante i suoi monologhi. Vengono giudicate fuori luogo per un varietà televisivo. In una puntata il molleggiato invita gli spettatori a spegnere il televisore per cinque minuti: la sua richiesta viene accolta da otto milioni di persone.

E’ il 7 dicembre del 1987 quando a Cefalù ci si appresta a celebrare la festa della Patrona. A mezzogiorno di quella vigilia di Festa arriva la comunicazione ufficiale che Catarinicchia è trasferito a Mazara del Vallo. Ai presenti il suo volto appare pensieroso. A chi in quei giorni lo va a trovare, per capire dalla sua viva voce perché è stato trasferito, lui risponde sempre con un sorriso e con il motto che adesso era diventato anche molto chiaro: «Solo chi non vuol vedere non vede».

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