Tra i sei milioni di internati sterminati nei campi di concentramento c’erano i Musulmann, gli ultimi tra gli ultimi, uomini e donne rassegnati alla sorte a cui i nazisti li avevano destinati: le camere a gas
“Häftling: ho imparato che io sono un Häftling. Il mio nome è 174517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro”, così Primo Levi definisce, in ‘Se questo è un uomo’, la sua condizione di deportato ad Auschwitz. I brani che seguono, tratti dalla stessa opera, sono un invito alla lettura ed un monito a non dimenticare la Shoah.
“Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo. Che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore, stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi, ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi”.
ARBEIT MACHT FREI (il lavoro rende liberi): “Siamo scesi, ci hanno fatti entrare in una camera vasta e nuda, debolmente riscaldata. Che sete abbiamo! Il debole fruscio dell’acqua dei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure c’è un rubinetto: sopra un cartello, che dice che è proibito bere perché l’acqua è inquinata. Sciocchezze, a me pare ovvio che il cartello è una beffa, “essi” sanno che noi moriamo di sete,e ci mettono in una camera e c’è un rubinetto, e Wassertrinken verboten. Io bevo, e incito i compagni a farlo; ma devo sputare, l’acqua è tiepida e dolciastra, ha odore di palude. Questo è l’inferno. Oggi, ai nostri giorni, l’inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi di stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pensare? Non si può pensare, è come essere già morti. Qualcuno si siede per terra. Il tempo passa goccia a goccia”.
La selezione: “Il Blockältester ha chiuso la porta Tagesraum-dormitorio e ha aperto le altre due che dal Tagestraum e dal dormitorio danno all’esterno. Qui, davanti alle due porte, sta l’arbitro del nostro destino, che è un sottoufficiale delle SS. Ha a destra il Blockältester, a sinistra il furiere della baracca. Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell’aria di ottobre, deve fare di corsa i pochi passi fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla SS e rientrare per la porta del dormitorio. La SS, nella frazione di secondo fra i due passaggi successivi, con uno sguardo di faccia e di scheda all’uomo alla sua destra e all’uomo alla sua sinistra, e questo è la vita o la morte di ciascuno di noi. In tre o quattro minuti una baracca di duecento uomini è ‘fatta’ e nel pomeriggio l’intero campo di dodicimila uomini. Io confitto nel carnaio del Tagesraum, ho sentito gradualmente allentarsi la pressione umana intorno a me, e in breve è stata la mia volta. Come tutti, sono passato con passo energico ed elastico, cercando di tenere la testa alta, il petto in fuori e i muscoli contratti e rilevati. Con la coda dell’occhio ho cercato di vedere alle mie spalle, e mi è parso che la mia scheda sia finita a destra”.
‘Esistono tra gli uomini due categorie particolarmente distinte: i salvati e i sommersi. Ma in Lager avviene altrimenti: qui la lotta per sopravvivere è senza remissione, perché ognuno è disperatamente, ferocemente solo. Se un qualunque Null Aschtzehn vacilla, non troverà chi gli porga una mano; bensì qualcuno che lo abbatterà a lato, perché nessuno ha interesse a che un ‘mussulmano’ di più si trascini ogni giorno; e se qualcuno, con un miracolo di selvaggia pazienza e astuzia, troverà una nuova combinazione per defilarsi dal lavoro più duro, una nuova arte che gli frutti qualche grammo di pane, cercherà di tenerne segreto il modo, e di questo sarà stimato e rispettato e ne trarrà un suo esclusivo personale giovamento; diventerà più forte, e perciò sarà temuto, e chi è temuto è, ipso facto, un candidato a sopravvivere.
Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona “a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto”. Nel Lager, dove l’uomo è solo e lotta per la vita si riduce al suo meccanismo primordiale, la legge iniqua è apertamente in vigore, è riconosciuta da tutti. Con gli adatti, con gli individui forti e astuti, i capi stessi mantengono volentieri contatti, talora quasi camerateschi, perché sperano di poterne trarre forse più tardi qualche utilità. Ma ai mussulmani, agli uomini in dissolvimento, non vale la pena di rivolgere la parola, poiché già si sa che si lamenterebbero, e racconterebbero quello che mangiavano a casa loro. E infine, si sa che sono di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla fila innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una poca intima solitudine, e in solitudine muoiono e scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.’
Fonte: ‘Se queto è un uomo‘ di Primo Levi