Nino Cirrito: il poeta che contempla con la nostalgia del passato

Ha ricevuto un premio alla carriera nel corso del primo raduno poetico di Cefalù che si è tenuto sabato. «Tale riconoscimento lo hanno determinato altri. Io lo intendo come il volere sancire oggi, in bellezza, quello che è stato fatto prima. Potrebbe interpetrarsi come il riconoscimento di un traguardo raggiunto, ma io non lo considero tale. La vita è essere e divenire, e questo fino all’ultimo respiro» afferma il poeta Nino Cirrito che abbiamo intervistato.

Perchè scrivi poesie?
Scrivo poesie fin da quando non ero ventenne, e scrivo ancora oggi, per me stesso. Mi è sempre piaciuto cristallizzare nello scritto alcuni momenti salienti della mia vita sia quelli più nefasti che quelli che mi hanno dato serenità e qualunque altro, quando il mio stato d’animo, senza alcun appuntamento prefissato, mi porta a scrivere ciò che sento. Per me è uno scritto in bellezza, come ha detto Pino Riggio nella presentazione del mio libro, nel quale trasudano i miei studi classici, la conoscenza della metrica, per cui mi è naturale esprimermi in endecasillabi, senza alcuna ricerca forzata del vocabolo appropriato per chiudere un verso o una rima. Il tutto avviene in maniera spontanea ed immediata. Alcuni scritti si completano in pochissimo tempo, nell’arco di un’ora o anche meno. Altri restano incompleti per parecchio tempo, perchè distratto dal lavoro o per altra causa.

Cosa si nasconde dietro le tue poesie?
Nei miei scritti non si nasconde nulla. Io sono un uomo che ha la speranza nel domani, la capacità di affrontare l’oggi con tutti i risvolti, positivi o negativi che esso comporta, che ha tanta nostalgia del passato e la costante ricerca del bene sociale, l’attaccamento al lavoro che deve essere svolto nel migliore dei modi, che è intransigente con se stesso anche fino all’estremo sacrificio, che non ammette deroghe ai propri doveri di uomo e di padre, dotato di una sensibilità tale da commuoversi per un nonnulla e dotato della capacità di scendere nei minimi particolari e di fare un’analisi profonda di quanto mi circonda, specialmente nell’ambiente naturale.

Come hai scoperto di essere un poeta?
Me lo hanno detto gli altri, chi ha letto i miei scritti. Io non mi sono mai considerato un poeta, se mi fossi considerato tale, sarei uscito autonomamente allo scoperto prima e non per volontà di mia moglie al compimento del mio settantesimo anno. Quel giorno, quando ho trovato il primo volume sotto il piatto a pranzo, mi sono sentito male. Non mi piaceva che altri potessero leggere le mie confessioni, mi sono sentito defraudato della mia intimità, della mia solitudine, della ricerca di me stesso, della mia malinconia, del mio restare solo nella notte, del mio contemplare ciò che mi circonda, delle mie preghiere, del mio piangere.

 

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