La rivincita della “vera” storia del Carnevale Termitano

A Termini Imerese, come ci racconta il Professore e Giornalista Giuseppe Navarra (1893-1991), il Carnevale non finiva più. Cominciava il giorno dopo l’Epifania e terminava col Martedì grasso. In realtà, lo stesso giorno dell’Epifania, nella parte bassa della città termitana, si sentiva il suono della brogna ed era il segnale dell’inizio della grande festa carnascialesca.

Nel corso di questo gioioso, innocente e lieto periodo, vi erano e sono tuttora inframmezzati anche i famosi quattro giovedì che precedono il Carnevale: “lu iòviri ddi li cummari”, “lu iòviri ddi li parenti”, “lu iòviri du’zzuppiddu” e il “lu iòviri rassu” (N.d.r. il giovedì delle comari, il giovedì dei parenti, il giovedì del diavolo e il giovedì grasso), ossia, in riferimento al quarto giorno della settimana, per l’appunto il giovedì, e con chiara ed esplicita allusione alla consumazione delle variate squisitezze della cucina siciliana e alla pappatoria.

Infatti, in questo lasso di tempo si dava l’avvio al libero sfogo degli istinti mangerecci, per il consumo dei piatti prelibati che comprensibilmente erano vietati durante i quaranta giorni della Quaresima.

Il calendario folcloristico variava a seconda dei luoghi, tuttavia i festeggiamenti dell’intera collettività, si concentravano nei giorni clou, vale a dire: il Giovedì Grasso, domenica, lunedì e il martedì grasso, quest’ultimo giorno, decretava la conclusione dei “sette giorni grassi di Carnevale”, anticipando così il mercoledì delle Ceneri, dal momento che nella liturgia cattolica, segnava l’inizio della penitenza, ovvero della Quaresima.

Nello stesso modo, ma con usi diversificati anche nella parte sud-orientale della Sicilia, ovvero, nella Contea di Modica, nel XVII sec. il Carnevale (denominato anche carnasciale oppure carruvali), veniva festeggiato non prima del dodici gennaio, proprio per rispetto delle numerosissime vittime del terremoto che colpì la Val di Noto nei giorni nove e undici del 1693, e che devastò gran parte la zona orientale del Regno di Sicilia.

I giorni più noti dei festeggiamenti, erano e sono tuttora i tre ultimi, e vengono denominati dalla parola sdirri, un’alterazione del vocabolo francese dernier (ultimo), sdirrumìnica, sdirriluni, sdirrimarti, mentre in riferimento alla sera del martedì, veniva e vien detto sdirrisira.

Nella Palermo degli inizi del Novecento del secolo scorso oltre ai costumi carnascialeschi dell’Oca, del “Barone di Carnevale”, di “mamma Cucchiara”, di “l’ammucca baddottuli”, del “dottore”, dello “zanni”, del “barone”, della “morte”, della “vecchia”, dello “spagnuolo”, del “turco”, dell’“inglese”, e della “Maschera dello Scalittaru”, ed altre ancora descritte da Francesco Maria Emanuele e Gaetani, (1720-1802), Marchese di Villabianca, ci fu anche quella del Nannu e della Nanna (del Nonno e della Nonna).

Tuttavia, oggi, la figura della Nanna è rimasta in auge solamente a Termini Imerese, infatti, le due maschere termitane ossia del Nannu e Nanna, costruite nella seconda metà dell’Ottocento da un ignoto artigiano locale, sono in realtà gli eredi diretti dell’antico carnevale di Palermo.

Dei costumi e delle maschere palermitane ed altre tradizionali usanze popolari ce ne parla, abbondantemente nel suo “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” l’antropologo Giuseppe Pitrè (1), e dobbiamo tanto a quest’uomo per averle amorevolmente e sistematicamente raccolte, custodite e tramandate a tutt’oggi.

Il Pitrè, si avvalse di diversi collaboratori per la stesura del suo “capolavoro” di antropologia, e “…come era sua abitudine prima di richiedere una collaborazione ai sui corrispondenti, li sottoponeva ad un accurato controllo…” (2).

In realtà, una prova tangibile di cotanta autorevolezza fuori cortina, la troviamo nella figura del paletnologo ed etnologo termitano, Giuseppe Patiri, il quale per natura fu, come ce lo descrive la pronipote Vilma Scaffidi: «Un uomo meticoloso e preciso fino al parossismo, sia nella vita privata e sia nel suo lavoro, specialmente durante le fasi delle sue ricerche storiche ed antropologiche», quindi, chi più di lui poteva essere il candidato prescelto a corrispondente di Termini Imerese per la monumentale opera di Giuseppe Pitrè, allora in nuce?

Quest’ultimo, che rammentiamo, fu il più importante raccoglitore e studioso europeo di tradizioni popolari del XIX secolo e, in Italia, il fondatore della scienza folcloristica.

Il Pitré, fu un assiduo corrispondente con i maggiori studiosi del mondo dell’antropologia. Come ebbe a dire l’antropologo, sociologo, filosofo e accademico Carlo Tullio Altan (1916-2005): “Il Pitrè era uno studioso dotato di uno spirito scientifico aggiornato e rigoroso, sia per quanto riguardava la precisione filologica dei documenti scritti, sia per quanto riguardava l’esattezza delle osservazioni sui dati empirici. Si può dire che il Pitrè manifestò nella sua opera il meglio della tradizione positivistica, cui l’ambito scientifico derivatogli dalla sua preparazione medica lo legava, senza lasciarsi influenzare dalle nuove mode metafisiche dell’evoluzionismo”.

Purtroppo, in questi ultimi venti anni la figura di Giuseppe Patiri è stata a Termini Imerese, relegata nei meandri impercorribili dell’oblio, quasi a nascondere il suo operato nel campo dell’etnoantropologia termitana, contribuendo a far conoscere le tradizioni popolari di Termini Imerese, attraverso le monumentali opere di Pitré.

Ventuno anni fa, come un fulmine a ciel sereno, si ebbe la scoperta dei certificati di pagamento della Società del Carnevale e da quel momento si ebbe l’inizio della riscoperta del Patiri etnoantropologo.

Negli ultimi due anni, grazie alla dedizione della pronipote Vilma Scaffidi, è stato un susseguirsi di scoperte documentarie che hanno permesso di mettere in evidenza il ruolo che ebbe il Patiri nella storia del carnevale termitano e, nello specifico, della nascita del primo comitato organizzatore (1876).

Nonostante ciò (o forse proprio per questo), curiosamente, abbiamo potuto notare una forma di ripulsa ad accettare il dato di fatto che era supportato dalle evidenze documentarie e l’aggrapparsi tenacemente alle dicerie presumibilmente tramandate, ma mai avallate da un minimo di riscontro oggettivo.

Ci sembra quasi che le nuove scoperte documentarie abbiamo generato una sorta di paura nei confronti delle novità archivistiche che venivano a gettare lo scompiglio nel mare placido delle tradizioni (o presunte tali). Nonostante ciò, credo che ogni benpensante non può essere d’accordo con noi nell’avallare la fondatezza del dato documentario, che non può che trionfare sulle storie farlocche e prive di fondamento scientifico che, purtroppo, sono state spesso propinate al colto e medio pubblico.

Tali leggende metropolitane farebbero sicuramente sorridere (o ridere?) i rappresentanti del mondo accademico e gli studiosi della storia dell’etnoantropologia. Oggi, più che mai, facciamo appello ai nostri dirigenti locali, per attivare tutte le procedure possibili affinché finalmente sia inserito nelle scuole di ogni ordine e grado lo studio dei “classici dell’etnoantropologia”.

Infatti, la conoscenza approfondita delle nostre tradizioni evita la loro scomparsa nella memoria storica del siciliano e, quindi, scongiura la scomparsa di un intero popolo (che nella storia fu una “nazione” vera e propria).

Tutto ciò, a mio avviso, scongiurerebbe la diffusione e perpetuazione di mere leggende metropolitane che vorrebbero avallare un eccessivo campanilismo, ormai desueto. E la scomparsa (finalmente!) di tali leggende metropolitane e degli epigoni che le hanno sinora sbandierato, tentando inutilmente di oscurare ciò che i “grandi” antropologi hanno rigorosamente analizzato e prodotto editorialmente, mediante validi e inconfutabili strumenti di ricerca.

 

(1) Giuseppe Pitrè, folclorista italiano, fu il più importante raccoglitore e studioso europeo di tradizioni popolari del XIX secolo e, in Italia, il fondatore della scienza folcloristica.

Medico di professione, e folclorista per vocazione, sin dagli anni giovanili intraprese un’intensa attività di raccolta di ogni possibile materiale: canti, proverbi, giochi, usanze, indovinelli e soprattutto fiabe. Questo immane sforzo cominciò a concretizzarsi, a partire dal 1870, nella realizzazione di una monumentale opera in 25 volumi, la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane.

Di questa serie fanno parte anche i quattro volumi di Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, editi nel 1875 (con lo stesso titolo, per i tipi della Donzelli, è stata pubblicata nel 2013 la traduzione integrale italiana con il testo originale a fronte), cui si aggiunge, nel 1888, un quinto volume di Fiabe e leggende popolari siciliane, anch’esso ora ripubblicato da Donzelli con la traduzione integrale e il testo siciliano a fronte, e da cui il presente volume deriva.

Assiduo corrispondente dei maggiori studiosi del mondo, e, nel 1910, l’Università di Palermo, su proposta di Giovanni Gentile, gli affidò la prima cattedra di Demopsicologia, disciplina di cui fu il riconosciuto fondatore.

Nel 1914, fu nominato senatore del Regno per i suoi meriti scientifici. Fu presidente della Società siciliana per la Storia patria, dal 1915 fino al giorno del suo trapasso.

(2) Alessandro D’Amato, Dialoghi Mediterranei, n.28, novembre 2017.

 

Bibliografia:

Brafa Misicoro Giorgio (a cura di), 2003, Lettere di Serafino Amabile Guastella a Giuseppe Pitrè, Biblioteca Civica “G. Verga” di Ragusa – Museo Etnografico  “G. Pitrè”  di Palermo, Ragusa-Palermo.

Carlo Tullio Altan, “La sagra degli ossessi. Il patrimonio delle tradizioni popolari italiane nella società  settentrionale”, Sansoni Editore 1972.

Serafino Amabile Guastella “L’antico Carnevale della Contea di Modica”, introduzione di Natale Tedesco, Edizioni della Regione Siciliana, Palermo, 1973.

Giuseppe Navarra “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000”.

G. Longo, 2017 – “Il Carnevale di Termini Imerese non è il più antico di Sicilia”.

G. Longo, 2018 – “Il quartiere fuori Porta Palermo e l’infondata “leggenda” dell’origine del Carnevale di Termini Imerese”.

G. Longo, 2018 – “Il binomio Palermo-Termini, tra porte civiche, manifestazioni carnascialesche e “gustose” leggende metropolitane”.

Foto a corredo dell’articolo: Carnevale di Termini Imerese 2006 Ph.  P. Vincenzo

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

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