Vincenzo: padre e marito che ha intrecciato i fili di un mestiere scomparso

Quarto di cinque figli, Vincenzo Garbo nasce a Cefalù l’8 Gennaio 1930 in una famiglia di contadini. Sin da piccolo lavora nei campi aiutando il padre a coltivare il proprio terreno in contrada Ferla. Dopo la terza elementare abbandona la scuola dedicandosi alla campagna. Nel 1965 conosce Caterina Cucco di cinque anni più giovane, appartenente ad una famiglia di contadini del borgo di Sant’Ambrogio, grande lavoratrice anche lei amante della terra e brava ricamatrice. Vincenzo e Caterina convolano a nozze ma vivono di stenti e di dolore il primo periodo matrimoniale  per la mancanza di un lavoro sicuro e la perdita del loro primo figlio morto di polmonite dopo 15 giorni dalla nascita .

Nel 1967 nasce Salvatore. Vincenzo non avendo trovato lavoro stabile decide di emigrare in Germania. In questo paese inizia a fare diversi lavori e nel 1969 trova finalmente un lavoro presso le ferrovie tedesche. Vi rimane per ben 25 anni.  In Germania, lontano dalla sua amata Cefalù e dai suoi affetti più cari, Vincenzo incontra tanti altri siciliani e con loro condivide anni di solidarietà. La nostalgia è forte ed inizia a lavorare un terreno abbandonato vendendo il suo raccolto per poter vivere. Lo stipendio dell’azienda dove lavora lo spedisce a Cefalù alla moglie che, intanto, cresce con amore i due figli , Salvatore e Mariapia.

Oltre a coltivare il terreno Vincenzo nei ritagli di tempo libero si dedica alla sua passione: l’intreccio. Inizia ad intrecciare cestini con i fili della luce che trovava abbandonati. Realizza cestini porta pinze per il bucato che a distanza di tantissimi anni esistono ancora nei balconi del vicinato. Nel 1992, dopo 25 anni di emigrazione in terra tedesca, torna finalmente a casa nella sua amata Cefalù. I figli sono ormai cresciuti e proprio quell’anno il figlio Salvatore vince un concorso nella Guardia di Finanza e lascia Cefalù. La figlia, invece, grazie ai sacrifici dei genitori che le hanno permesso il proseguimento negli studi, diventa una docente specializzata nel sostegno. A Cefalù nel periodo di pensionamento Vincenzo dedica parte della sua giornata a lavorare la terra insieme alla moglie. Ama la sua terra più di se stesso e anche con il brutto tempo andava a lavorare.

Vincenzo continua a vivere la sua passione per l’intreccio anche quando ritorna a Cefalù. Se in Germania usava i fili della luce per fare cestini, a Cefalù per confezionare i “cartieddi, i cuffini,i panara e fascieddi” usa i giunchi vimini d’ulivo e canne. Realizza cesti di diverse dimensioni. Il periodo più adatto era il mese di luglio perché i materiali erano più lavorabili. Per lavorarli doveva farli essiccare prima per un mese circa. La lavorazione cominciava con il creare la base del cestino do “panaru” incrociando i vimini d’ ulivo e formando una sorta di croce. Successivamente intrecciava giunchi con la base. Stabilita la grandezza della base, proseguiva intrecciando i vimini d’ulivo con i giunchi. Quando il lavoro arrivava a una certa altezza bisognava costruire il manico. Se poi era una cesta andava rifinito anche il contorno. In base alla necessità Vincenzo ne stabiliva altezza e grandezza. Per realizzare un cesto di media grandezza impiegava circa cinque ore. Da giovane Vincenzo realizzava i “panara” e i “ciesti” che venivano utilizzati nella raccolta delle olive, dei fichi e dell’uva. In quegli anni non esistevano utensili di plastica e si dovevano realizzare con le proprie mani i recipienti per svolgere i vari lavori agricoli.

La realizzazione dei panieri e delle ceste richiedeva una lavorazione particolare insieme a tanta pazienza.   Negli ultimi anni Vincenzo oltre in campagna trascorreva le sue domeniche facendo lunghe passeggiate fino alla Figurella, “a Fiuriedda”, dove trovava materiale per creare un paniere. Si portava sempre i suoi attrezzi e spesso ritornava con un’opera fatta. Durante il tragitto di ritorno capitava d’incontrare un turista che voleva comprare il suo “capolavoro ” e tornava con 5 euro o 10 euro in base alle dimensioni del cesto. Tanti i cesti regalati ad amici e parenti. Questo suo passatempo anticamente era un vero e proprio lavoro chiamato Cestaio, Canestraio , Panieraio oppure in cefalutano: “U Cistaru ”

Anche durante la sua convalescenza nella casa di riposo, la figlia gli portava del materiale o fili elettrici non più usati o vimini di ulivo per ricordare la sua passione. Nonostante la malattia Vincenzo provava ancora ad intrecciare. Vincenzo “u Cistaru” muore il 16 dicembre 2019 amorevolmente accudito dal personale della casa di riposo “Genchi Collotti” di San Pasquale e dalla sua famiglia.

Con gli innumerevoli ” panara e ciesti” da lui realizzati, e le lenzuola ricamate dalla moglie, lasciano un bel ricordo di mestieri antichi che stanno scomparendo.

Vincenzo Garbo u cistaru -inizia il lavoro d’intreccio
Vincenzo Garbo ed il lavoro d’intreccio
Vincenzo inizia a intrecciare
Il lavoro d’intreccio inizia a prendere forma
Il lavoro d’intreccio
Vincenzo lavora l’inreccio
L’intreccio fatto da Vincenzo u cistaru prende forma
Vincenzo Garbo con un “panaru” realizzato con il suo intreccio (f.to di Emanuele Miceli)
Vincenzo u cistaru con un panaru realizzato da lui
Vincenzo mostra orgogliuoso una cesta realizzato
Lungomare di Cefalù-Vincenzo con in mano un “panaru”
Vincenzo garbo fa l’intreccio con i fili
L’intreccio con i fili prende forma
cestino fatto con i fili
Vincenzo con un cesto realizzato con fili
Vincenzo Garbo mentre lavora nel suo amato terreno della Ferla
Vincenzo Garbo e la moglie Caterina Cucco nella loro casa di Via Giovanni Amendola
Vincenzo e Caterina  con i 4 nipoti, nella casa di riposo di S Pasquale
Vincenzo e Caterina con i dipendenti della casa di riposo di S Pasquale
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