Lettera del Vescovo agli Innamorati

Carissimi,
la vita ha un suo calendario scandito da giorni, mesi e anni. Ne fa da padrone assoluto il tempo che scorre. Anche l’amore ha un suo “calendario” con le sue “stagioni”: la cotta adolescenziale, l’innamoramento, l’amore. In tanti hanno definito l’innamoramento come la “primavera” dell’amore. Inoltre, quando si è innamorati, si crede all’amore eterno. Come se a governare l’innamoramento fosse il per sempre: una briciola di “eternità”. Quando ero parroco a Roma diverse volte, mi sono fermato a osservare l’infinito numero dei lucchetti collocati sul ponte Milvio. Ogni lucchetto appeso era simbolo dell’amore eterno. Ogni lucchetto portava la firma degli innamorati: un sigillo visibile. Più volte ho dato valore al “potere” dei simboli. Ecco perché ho fatto fatica a definire questo fenomeno che nel tempo è diventato internazionale come una semplice moda o una banale credenza. Ogni simbolo ci interroga, ci rimanda a “altro”. A quei lucchetti ho legato “il sogno-bisogno” degli innamorati di sicurezza, di fedeltà. Di amore eterno. La festa degli innamorati, pertanto, ci sia da faro nel non assolutizzare qualche scenario apocalittico che definisce i nostri giovani “generazione sdraiata” o “del tutto iniziato e niente concluso”. Questa lettera scritta alle porte della festa di San Valentino è per tutti gli innamorati che credono nell’amore eterno. Di voi, di “noi” si parla nel Cantico dei Cantici, uno dei libri più belli della nostra Bibbia. L’autore del Cantico mette sulle labbra dell’amato il termine “giardino” per esprimere l’intimità segreta della sua compagna. «Giardino chiuso tu sei» (Ct 4,12). Più avanti questo giardino sarà anche il luogo dello stupore, della meraviglia. Vi sarà il miracolo dei germogli. Dello sbocciare tipico della primavera. Addirittura gli innamorati arriveranno a vedere nella fioritura degli alberi del giardino quella del loro amore. La Parola di Dio ci insegna che ogni coppia è un giardino. Per essere sempre bello un giardino ha bisogno di essere costantemente coltivato. Non solo. È importante che vi si piantino sempre nuovi alberi. A tal proposito, mi viene in mente un racconto allegorico L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono. L’ho letto tanti anni fa. Vi si narra la storia di un pastore Elzeard Bouffier che con impegno costante riesce a riforestare un’arida vallata piantandovi continuamente alberi. Con una testardaggine sorprendente. Quella “testardaggine” dei sapienti che sanno declinare con le azioni i verbi custodire e rinascere. Quelle azioni che consentono all’amore di non perdere mai i colori e i profumi dell’innamoramento. Nel nostro contesto storico, sociale e culturale si assiste a una “deforestazione” silenziosa e violenta di ogni giardino abitato dall’amore di una coppia. C’è una lunga lista di virus che ne uccidono le piante, dalle radici: edonismo, infantilismo, spinte narcisistiche, infedeltà on line, trionfo dell’ambiguità. Da poco ne è giunto un altro: la qualipatia. Un virus ancora tutto da studiare. Difficile da isolare. Ha generato una nuova patologia sociale che archivia l’essere e santifica l’apparire. Sintomi immediati sono: l’avversione, il rifiuto per tutto ciò che richiama la qualità e, di riflesso, il “per sempre”. A qualsiasi età gli innamorati, se credono nel “sogno-bisogno” dell’amore eterno, come Elzeard devono essere ostinati nella piantagione continua, senza tregua nel loro “giardino” dell’albero, “dell’ascolto” e dell’albero del “dialogo”. Sono due alberi distinti. Prima va piantato e coltivato l’albero “dell’ascolto”. Perché si è maestri del dialogo a partire dall’ascolto. Quest’ultimo ci educa a rispettare l’altro, a credere nella libertà dell’altro che va ascoltato senza interruzioni, senza visualizzare orologi, sgranare gli occhi sui cellulari. Nel giardino dell’amore si impara ad ascoltare l’altro mettendogli a disposizione non solo il tempo, ma anche il cuore. È il luogo dove si lascia parlare chi si ama, guardandolo in faccia. L’albero “dell’ascolto” ha i suoi rami: pazienza, fiducia, rispetto, empatia. Ci aiuta a risvegliare la passione a dialogare bene. Chi riesce ad ascoltare l’altro sa dialogare anche con se stesso e con Dio. Gli alberi “dell’ascolto” e gli alberi “del dialogo” producono il loro frutto. È un imperativo: «Raccontatevi». Non abbiate paura a confessare le vostre povertà, i vostri limiti. Mi ha tanto colpito il testo della canzone di Diodato Fai rumore che ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo. Quel “fai rumore”, trasformiamolo in “facciamo rumore”, in altre parole: «Raccontiamoci». «Non si può sopportare» prosegue il cantautore: «Questo silenzio innaturale tra me e te». Ascolto e dialogo trasformano gli innamorati in “farmacisti” dell’anima e del corpo dell’amore. Possono renderlo eterno. Limitiamo l’uso delle emoticon che costellano le nostre comunicazioni nel mondo dei social network. Tutti noi che siamo innamorati della vita, dell’altro e della relazione sostituiamo alle faccine arrabbiate, che piangono o che sorridono il nostro sguardo, la nostra carezza, le nostre lacrime. A tutti gli innamorati voglio lanciare alcuni appelli. Soprattutto agli adolescenti e ai giovani. Con la freschezza e bellezza del vostro amore aiutate le nostre comunità cristiane a prendere le distanze da quel: «Grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità». (Francesco, Evangelii Gaudium, 83). Aiutateci a non essere cristiani meschini. Fate in modo che la dinamicità e lo stupore che danno ossigeno al vostro essere innamorati ci siano da scudo di fronte allo: «Sviluppo della psicologia della tomba, che a poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo» (Francesco, Evangelii Gaudium, 83). Chiedeteci di incontrarvi con il Vangelo. Di rispondere alle vostre domande, alle vostre attese, alle vostre coscienze a partire dalla Parola del Signore. Perdonateci se abbiamo un po’ confuso la crescita della fede con l’indottrinamento. Se ci siamo posti come comunità per certi aspetti perfette che vi hanno giudicato. Come ha affermato Suor Alessandra Smerilli, innamorata di Dio e dei giovani: «Abbiamo bisogno di stare insieme ai giovani per imparare da loro. Dobbiamo chiedere la loro ospitalità». Io, come vostro Vescovo, con questa lettera voglio anche chiedere a tutti gli innamorati di imparare da voi il linguaggio dell’amore. Anche io sono chiamato, diventando vostro ospite, a cambiare. Per amare Dio, tutta la Chiesa e ogni uomo di buona volontà come un dono del nostro Dio che è Amore. E vorrei riuscire a farlo come un vero “innamorato”. Vi benedico di cuore. ✠ Giuseppe Marciante Vescovo di Cefalù

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