“La terra protesta per il male che le provochiamo”. Mentre la Sicilia ancora piange le vittime del maltempo e cerca chi è ancora disperso, mentre si fa la conta dei danni alle città e al territorio, mons. Giuseppe Marciante, vescovo di Cefalù e delegato CESi per i Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia, la Pace e la Salvaguardia del Creato, cita Papa Francesco e propone una riflessione ad alta voce su quanto avvenuto “di nuovo”, dopo Giampilieri e Scaletta Zanclea, su quanto non abbiamo imparato da quelle tragedie e su “quanti morti, quante altre vittime, quante altre tragedie annunciate o da evitare, dovranno ancora accadere prima che si comprenda che la prima opera pubblica che è necessaria alla Sicilia e a tutta l’Italia è la messa in sicurezza del territorio”. Chiede l’impegno di tutti, in primo luogo dei cattolici, degli amministratori e dei responsabili, per “trasformare questi disagi in progetti”, perché tutti dobbiamo “identificarci tra i colpevoli” di quanto è avvenuto.
Ecco il testo del suo intervento.
Nell’autunno del 2009 mi trovavo a Roma. Attraverso la radio appresi la notizia di un evento disastroso. Si parlò di vite spezzate. A Giampilieri e a Scaletta Zanclea, località fino a quel giorno forse sconosciute, per un diluvio di fango perdettero la vita 37 persone. Si gridò ad alta voce che questa ennesima tragedia, figlia dell’incuria e del mancato rispetto delle norme, poteva essere evitata. Seguirono diverse analisi che condussero ad una conclusione da tutti condivisa: non è colpa della natura. Le responsabilità sono terrene. Bisogna identificare i colpevoli. Poi si dava voce alla speranza: mai più tragedie come questa. Negli anni a seguire, purtroppo, non sono mancati altri simili eventi disastrosi. Al dire il vero, ogni tragedia, oltre al dolore e alle lacrime, è stata sempre accompagnata dalla solidarietà e da una rete di aiuti e di soccorsi preziosa e commovente.
Autunno del 2018. Mi trovo a Cefalù. Sul mio telefonino trovo un link: strage a Casteldaccia, nove vittime, due bambini. Attivo una ricerca. Si parla di un’ondata di maltempo che colpisce la Sicilia. Il bilancio è tragico: dodici vittime. Una villa è travolta dal fango. Continuo a leggere altri titoli. Si è scatenato l’inferno in pochissimo tempo. Non c’è stato il tempo per salvarsi. E’ stata aperta un’inchiesta. Al momento il fascicolo è contro ignoti e senza ipotesi di reato. Durante l’intera giornata il mio ricordo nella preghiera vuole raggiungere i familiari delle vittime. Cerco anche con fatica di memorizzare i loro nomi. Tra questi: Rachele, un anno; Francesco, tre anni; Federico, quindici anni; Stefania e Marco, trentadue anni. A seguire tutti gli altri.
Dopo pranzo ritorno a leggere la Lettera Enciclica Laudato Si di Papa Francesco sulla cura della Casa Comune. E’ veramente profetica. Va letta e riletta. Al n° 2, in riferimento alla terra, Francesco scrive: “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori autorizzati a saccheggiarla”. Ancora, al n° 8 Bergoglio, citando il Patriarca Bartolomeo, ci invita ad un pentimento personale sul nostro modo di maltrattare il pianeta, perché “nella misura in cui noi tutti causiamo piccoli danni ecologici” siamo chiamati a riconoscere “il nostro apporto piccolo o grande, allo stravolgimento o alla distruzione dell’ambiente”. Purtroppo, ci dimentichiamo che noi tutti contribuiamo al compiersi di tragedie come quella di Casteldaccia. E’ sotto i nostri occhi una atroce verità. Il nostro è un territorio devastato dall’abusivismo. Non si contano gli edifici, le ville e le villette costruite in aree franose o nei letti dei torrenti le cui fognature scaricano anche sui fiumi. Quando si parla di Sicilia viene in mente il dramma della cementazione selvaggia. Si parla di un abusivismo edilizio che sfiora il 49%. L’edilizia abusiva è una nostra emergenza; il nostro territorio ne è fortemente devastato. L’abusivismo edilizio va combattuto. Bisogna tempestivamente attivare una campagna di informazione e formazione sulle conseguenze che sulla sicurezza delle nostre vite sono legate all’abusivismo edilizio. Tanti cittadini ne sono purtroppo incoscienti; c’è una sorta di cecità che va curata sui pericoli che incombono sulle nostre vite. Chiediamoci tutti: quanti morti, quante altre vittime, quante altre tragedie annunciate o da evitare, dovranno ancora accadere prima che si comprenda che la prima opera pubblica che è necessaria alla Sicilia e a tutta l’Italia è la messa in sicurezza del territorio? Non riduciamo quest’opera soltanto ad una padulosa e lenta pratica burocratica. Il solo iter burocratico può arrestare tutto, per anni e anni. Così succede quasi sempre. Nella nostra Sicilia, in tutto il Mezzogiorno.
Saltiamo insieme il pungente e arrugginito filo spinato del ritardo. Ritorno ad affermarlo, e in questo contesto, con più forza: nei nostri paesi la lentezza e la cifra che vedo dovunque presente. Riprendiamo tra le mani le relazioni geologiche che ci descrivono le situazioni del nostro territorio; le mappature che ci indicano le zone a rischio idraulico di esondazione; i cambiamenti climatici impongono nuove e aggiornate strategie di pianificazione legate alle caratteristiche geomorfologiche dei nostri territori che spesso sono geologicamente fragili oltre che segnati dall’abusivismo edilizio. Pensiamo anche ai terribili disagi che vive il nostro territorio per la situazione precaria della rete viaria, ai nostri comuni delle Madonie spesso in situazioni di quasi isolamento. Trasformiamo questi disagi in progetti. In questi territori fragili il ripristino immediato della rete viaria sia un nostro fronte di battaglia. Attiviamoci per la manutenzione e la cura dei corsi d’acqua, anche dei più piccoli. L’esperienza ci insegna che basta “una bomba d’acqua” per trasformare un ruscello in “un oceano”. Ridare sicurezza ai nostri territori significa custodire la vita di ogni cittadino.
Ricordiamocelo sempre e vicendevolmente: un crimine contro la natura non è solo un peccato contro Dio, ma è un crimine contro noi stessi. Identifichiamoci tra i colpevoli di queste stragi. Non lasciamoci anche noi inghiottire dal fangoso scorrere del tempo. Negli anni sessanta Bob Dylan, a proposito di violenze e stragi che uccidevano l’uomo, cantava: la risposta soffia nel vento. Io invito me stesso e tutti a riprendere tra le mani il Cantico delle creature di San Francesco; continua a insegnarci che: “la terra ne sustenta et governa”. La terra ci ricorda Papa Francesco in Laudato Si:” E’ come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”. Ritorniamo come figli tra le sue braccia.
Cefalù, 07 novembre 2018
+ Mons. Giuseppe Marciante
Vescovo di Cefalù