La scorsa volta ho accennato alle “categorie dei segnali analogici”, oggi, vediamo meglio di cosa si tratta.
Il linguaggio verbale o parlato, è la funzione cognitiva di base nei processi comunicativi, eppure la parte più cospicua e significativa degli scambi interpersonali, risiede nel linguaggio non verbale o analogico.
Quando comunichiamo infatti, esprimiamo concetti o pensieri, ma trasmettiamo soprattutto emozioni, sentimenti e intenzioni; il primo aspetto attiene al “contenuto” ossia al “cosa” diciamo, il secondo concerne la “relazione” cioè il “come” e il “modo” in cui ci esprimiamo.
Il linguaggio analogico allora, si compone di segnali espressi dal corpo che identificano alcune categorie: la postura (posizioni, movimenti del corpo); la gestualità (movimenti, azioni degli arti); la mimica (espressioni del viso, degli occhi, direzione dello sguardo, movimenti del capo); il tono (modalità espressive della voce, ritmo, volume, velocità delle parole, silenzi, pause); e la prossemica, forse meno conosciuta (modo di gestire lo spazio esterno e di stabilire distanza o vicinanza tra noi e gli altri).
A tali categorie corrisponde l’emergere dell’aspetto interiore, il linguaggio verbale invece, si collega al mondo razionale; entrambi si intersecano continuamente e si valorizzano l’un l’altro, tuttavia è dal linguaggio non verbale che dipende il senso e l’efficacia della conversazione, l’effetto prodotto sull’interlocutore e la qualità della relazione.
Questo accade perché al di là delle parole, cogliamo l’immediatezza e la spontaneità del comportamento non verbale che è innato, autentico e non censurabile.
In altri termini non possiamo trattenere una certa irrequietezza dei gesti, se ci sentiamo agitati o nervosi, come non ci rendiamo conto di stare alzando il tono della voce se abbiamo perso la pazienza, o ancora non percepiamo un movimento in avanti del nostro corpo se qualcuno o qualcosa ha attratto la nostra attenzione. Ancora, può sembrare che l’altro ci stia ascoltando pazientemente, ma se i suoi movimenti del capo sono dei continui e rapidi cenni di assenso, percepiremo una certa fretta e forse un ascolto disattento. Che dire poi, se la persona con cui stiamo parlando, si colloca a pochi centimetri dal nostro corpo, così vicina da darci quasi fastidio e farci avvertire che la distanza è decisamente poca? Oppure se ci tocca ripetutamente? Percepiremo disagio o invadenza, poiché sono state oltrepassate quelle immaginarie, invisibili linee di confine (prossemica) che pure stabiliamo con l’altro in base al rapporto di maggiore o minore confidenza che si è istaurato.
Attenzione però a non trarre conclusioni affrettate sui segnali del corpo. Non bastano due braccia conserte per dire che l’altro ha assunto una chiusura nei nostri confronti; per decodificare adeguatamente i segnali analogici, occorre tenerne presente più di uno e verificare se c’è congruenza o meno tra le parole dette e il non verbale cui si accompagnano.