Blutec, arrestati gli amministratori, ma a pagare sono sempre i lavoratori

Sono trascorsi oltre sette anni dalla chiusura dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese e, mentre gli amministratori della Blutec sono sottoposti a misure cautelari, gli operai e gli addetti dell’indotto aspettano ancora di riavere un’occupazione stabile

Il presidente del consiglio di amministrazione, Roberto Ginatta, e l’amministratore delegato della Blutec, Cosimo di Cursi, sono stati arrestati per malversazione ai danni dello Stato. Sull’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese è stato emesso un decreto di sequestro preventivo. Analogo provvedimento è stato preso sulle disponibilità finanziarie, immobiliari e mobiliari riconducibili agli indagati per un importo complessivo di 16 milioni e 516 mila euro.
La vicenda dello stabilimento siciliano ha avuto inizio nel 2010, quando il nuovo amministratore delegato della FiatSergio Marchionne, annunciò la chiusura della fabbrica. La dismissione si concretizzerà il 31 dicembre del 2011. Circa 800 operai ed oltre 1.000 addetti dell’indotto rimasero senza lavoro. Il tentativo di accordo per il salvataggio dello stabilimento con il gruppo Dr Motor Company attiva nella costruzione di auto elettriche fallì e dal 2015 la fabbrica è passata alla newco Blutec. L’azienda che si occupa di componentistica per auto è nata nel 2014 all’interno del gruppo Metec. L’intesa, firmata quattro anni fa tra le parti sociali, il Governo e gli Enti locali, destinava 360 milioni di euro (tra fondi statali e regionali) per la riqualificazione dell’area. La società si impegnò a riassumere 50 operai entro il mese di aprile del 2016 ed altri 200 entro la fine di quell’anno. Ma ad oggi il processo di rinascita della fabbrica e del polo industriale di Termine Imerese non si è realizzato. Nello stabilimento ex Fiat ci sono un centinaio di lavoratori impiegati esclusivamente in piani di formazione.
L’inchiesta della Procura di Termini Imerese ha per oggetto la prima tranche del finanziamento di 21 milioni di euro che l’azienda ha ricevuto da Invitalia (l’agenzia per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa partecipata al 100% dal ministero dell’Economia). I magistrati ipotizzano che i soldi percepiti dalla Newco non siano stati utilizzati per il risanamento dell’azienda e per la riapertura della fabbrica. Gli amministratori della Blutec, dopo l’incontro tenutosi al Mise il 4 ottobre scorso, si erano impegnati a restituire il finanziamento (in sei rate trimestrali) e, nello stesso tempo, a riproporre un piano industriale alternativo. Propositi ritenuti non sufficienti dalla Procura e che non hanno impedito l’emissione dei provvedimenti restrittivi e del sequestro patrimoniale.

Insomma, dopo oltre sette anni di tira e molla siamo ancora al punto di partenza. Tutto ciò crea forti preoccupazioni tra i lavoratori ed i sindacati. La Fiom, che nel 2015 espresse forte perplessità sul piano di reindustrializzazione proposto da Blutec, ha chiesto al Governo la ricerca di investitori che siano in grado di realizzare un piano di rioccupazione dei lavoratori. Ma finora nulla di concreto è stato realizzato o prospettato. Al Sud, lo Stato non investe, le aziende private delocalizzano, le infrastrutture sono fatiscenti e le opportunità di iniziare un’attività economica sono pochissime. In questa situazione di degrado e di sottosviluppo ai meridionali non resta che emigrare o continuare a vivere di assistenza.

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