Dal cibo nelle relazioni, … alle relazioni con il cibo

Fin dalle prime esperienze alimentari e di nutrimento, la relazione tra il neonato e l’adulto che se ne prende cura, si permea di significati che vanno al di là della sopravvivenza fisica per riguardare soprattutto la dimensione emotiva. Nei primi mesi di vita e prima dell’acquisizione del linguaggio, tutto il mondo comunicativo e relazionale del bambino può dirsi “pre-verbale” e consiste di sensorialità; sono le percezioni e i sensi che lo orientano in un mondo nuovo e pieno di stimoli. Così durante l’allattamento, il bambino sperimenta sensazioni tattili (provenienti dalla propria bocca, dal contatto col corpo materno, dalla temperatura), visive (sguardo, espressione dei volti), uditive (tono, modulazione della voce), propriocettive (postura e movimenti corporei), che si convogliano in un’esperienza dai tratti piacevoli, se tutte le percezioni “sanno di buono”, o al contrario sgradevole. In altri termini, egli prova vissuti di soddisfazione o al contrario di frustrazione, cioè due polarità emotive la cui espressione e gestione è fondamentale  nella nostra vita psichica.

In seguito e durante la crescita, il cibo continua a mediare significativi aspetti relazionali che dipendono dal bambino quanto dall’adulto; ci sono bimbi considerati “difficili” nel loro approccio al cibo o che hanno ritrosie per alcuni sapori, e ci sono adulti “in ansia” che concentrano tutta la loro attenzione sugli aspetti nutrizionali degli alimenti. Così può accadere che nel momento dei pasti, vengano seguiti schemi inflessibili -relativi alla quantità/qualità dei cibi e agli orari di “somministrazione”- di cui è convinto l’adulto, ma non corrispondenti alle naturali esigenze del bambino; ancora può capitare che i bisogni alimentari vengano “anticipati”, cioè gratificati prima che il piccolo li abbia percepiti ed espressi.  

Quando e se tutto questo persiste nel tempo, diventando la modalità consueta, è possibile che il bambino non si orienti più a partire dalle proprie esigenze fisiologiche, ma le confonda o sostituisca con gli stimoli e i segnali provenienti dall’esterno. Così “salta” il naturale passaggio che dalla percezione di un bisogno, porta alla possibilità di gratificazione dello stesso e il cibo può diventare qualcosa da cui “dipendere” per gestire i propri bisogni emotivi o interiori.  

Un tratto comunemente riscontrato in chi soffre di disturbi della condotta alimentare, è proprio il mancato riconoscimento dei segnali di fame e di sazietà, il mangiare per esigenza emotiva e non fisica, ancora la mancanza di controllo sui propri impulsi o bisogni come se si fosse governati da qualcosa di esterno.

Tuttavia, è doveroso chiarire che nei fattori predisponenti ai disturbi alimentari, sono presenti variabili fortemente individuali e le prime esperienze infantili possono avere esiti problematici, se le relazioni sono state gravemente disfunzionali o contraddittorie, e ciò in modo reiterato e permanente.

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