Cara «arte di comunicare» … dove sei finita?

La comunicazione interpersonale sta male, soffre di una malattia contagiosa che più o meno inavvertitamente tocca un intero modo di guardare ai rapporti umani.

Non si parla quasi più di presenza o guardandosi negli occhi, ma attraverso quelli che sono diventati i nuovi, numerosi canali di scambio quali i social network e i cellulari con le varie applicazioni di cui sono dotati, come il noto whatsApp definito dallo slogan: “messaggistica semplice, personale e in tempo reale”!  

Non sono una retrograda e credo che questi nuovi mezzi siano un modo veloce per comunicare e a volte utile o divertente, tuttavia dipende dall’uso che se ne fa e quando prendono il sopravvento, sostituendo i contatti reali o diretti possono avere esiti  disfunzionali per le relazioni.

Primo fra tutti, subire un certo controllo: di ogni messaggio non può sfuggire il momento in cui è stato recapitato e l’ora in cui è stato visualizzato, questo implica che il ricevente debba rispondere subito o quasi e se non lo fa, deve considerare che l’inviante ne è a conoscenza e non è raro che gli chieda una spiegazione; per alcuni ciò non ha alcuna importanza, ma per altri può essere un condizionamento.

Poi la curiosità, nel senso peggiore del termine cioè quella mania di sbirciare, intrufolarsi nel privato dell’altro per sapere il più possibile (quante congetture vengono fatte sull’orario dell’ultimo collegamento su whatsApp? Quanti “amici” su Fb sanno, vedono tutto e si palesano mai?).

E certo esistono le impostazioni sulla riservatezza, ma direi che sono proprio il minimo rimedio per il danno!

Inoltre questa forma di comunicazione è segnata dalla fretta, sembra che non ci sia mai tempo per “stare” insieme agli altri, né per fare una telefonata o per scrivere interamente le parole, diventate abbreviazioni o sigle da decifrare. Ancora è una modalità non esente da equivoci o fraintendimenti, poiché mancano elementi essenziali come il “tono” e la “mimica”, ovvero due delle “categorie dei segnali analogici” attinenti alle espressioni della voce e del volto che, negli incontri vis-à-vis, evidenziano e chiariscono il senso e l’effetto della comunicazione. Non manca poi un aspetto di dipendenza, che si traduce nella priorità data a questi mezzi, che catturano l’attenzione, l’interesse, il tempo, senza che ci si renda conto. 

Credo che la cosa più triste sia vedere coppie, famiglie, amici, che magari al ristorante non conversano fra di loro, ma con le mani occupatissime sui cellulari, fanno giochi, si collegano ai social, chattano, oppure fotografano i cibi per divulgarne le immagini e “aggiornare” tutti su cosa stiano facendo in quel momento. Se questo diverte, porta un po’ di relax e di leggerezza, ben venga, ma può diventare l’alternativa, nuova forma di condivisione? Spero di no e, sarò “antica”, ma credo che condividere sia consegnare all’altro qualcosa di sé, per riceverne magari uno sguardo attento, un sorriso aperto, un abbraccio intenso e, per questo … non serve il cellulare!

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