Durante le mie ricerche storiche sulla Grande Guerra e il coinvolgimento nelle operazioni belliche dei “ragazzi” siciliani, avvalendomi dell’ausilio di fonti reperibili, alcuni di essi con il “beneficio di verifica”, mi sono imbattuto in un interessante fatto di cronaca avvenuto a Palermo, inerente a un bombardamento navale per opera di un sommergibile tedesco, – i famosi U-Boot, noti per avere affondato parecchie navi nel Mediterraneo durante il primo conflitto mondiale. L’episodio, avvenne nel capoluogo siciliano il 31 dicembre di cento anni fa, e che – a quanto si dice – causò 10 vittime tra gli operai della fabbrica “Chimica Arenella” di Palermo. La vicenda, peraltro non conosciuta è sicuramente degna di essere menzionata e merita senz’altro un approfondito studio. A tal proposito abbiamo chiesto al Generale Mario Piraino di raccontarci questa interessante vicenda, di certo parte integrante della nostra storia militare.
“Questo avvenimento accaduto a Palermo il pomeriggio del 31 gennaio 1918 è stato tramandato a noi da un affascinante e documentato racconto del professore Rosario La Duca, che, per la prima volta, ne parla in un suo articolo inserito nella rubrica del Giornale di Sicilia: “La città perduta” pubblicata 26 gennaio 1972, a pagina 5 dal titolo: Il pescatore che salvò l’Arenella. Il La Duca, eminente e appassionato storico palermitano, nel suo racconto, riferisce di un fatto vero, accaduto durante la Grande Guerra, che ha visto, una delle più importanti fabbriche di prodotti chimici di Palermo, la “Chimica Arenella”, cannoneggiata da un sommergibile tedesco, in un uggioso pomeriggio. Si tratta di una storia vera, a oggi verificabile, che, al grande studioso palermitano, gli è stata raccontata da un vecchio marittimo della borgata dell’Arenella”. Rosario La Duca nel suo articolo scrive:
«A differenza di quella di «S. Antonio dei pescatori», che ha in parte aspetti di leggenda e della quale abbiamo già parlato in una precedente nota, questa è reale anche se potrebbe sembrare dettata dalla fantasia. Ce l’ha narrata Salvatore Parisi, che oggi ha 72 anni e che il 31 gennaio del 1918, giorno in cui si svolsero gli avvenimenti che stiamo per riferire, era un robusto giovanotto. I fatti li ricordano tutti gli abitanti della borgata, anche se alcuni particolari risultano controversi. Il 31 gennaio del 1918 era una giornata piovigginosa ed una sottile foschia limitava la visibilità lungo la costa. Verso le quattro del pomeriggio, molte delle barche della borgata si trovavano in mare a pesca di sardine.
Il tempo non accennava a migliorare, sicché i pescatori, issate le vele, decisero di rientrare a terra. Fu proprio in quel momento che, improvvisamente, a circa mezzo miglio dalla costa e proprio di fronte alla Fabbrica Chimica dell’Arenella, emerse un sottomarino tedesco. Subito due uomini, aperto il boccaporto, issarono anche loro una vela sul periscopio in modo da mimetizzare il loro sottomarino tra le barche della borgata. Altri uomini, messo in azione il pezzo d’artiglieria del sottomarino stesso, iniziarono un cannoneggiamento verso la fabbrica chimica.
Dapprima tiri lunghi, e le bombe caddero nel costone di Monte Pellegrino proprio sotto il Pizzo Volo dell’Aquila: poi tiri più precisi. Venne colpito all’inizio il corpo di fabbrica dell’industria prospiciente sulla via Cardinale Massaia, e successivamente alcune bombe caddero anche sul padiglione allora destinato alla produzione della anidride solforosa; infine, fu centrata in pieno la base della grande ciminiera che ancor oggi esiste. Risultava evidente l’intenzione del nemico di voler abbattere il grande comignolo che con il suo crollo, oltre ad arrecare gravi danni a vari reparti, avrebbe paralizzato per un certo tempo il funzionamento della fabbrica (1).
E certamente ci sarebbero riusciti se Giuseppe Sileno, un giovane pescatore della borgata che prestava servizio militare su navi da guerra e che si trovava in licenza, nell’udire i primi scoppi, affacciatosi dal balcone della casa della fidanzata, non si fosse subito reso conto che si trattava di un sottomarino tedesco e non avesse quindi valutato il pericolo che correvano gli abitanti dell’Arenella, i quali, già in preda al panico, avevano cominciato a fuggire verso la montagna.
Le due batterie della costa, invece, inspiegabilmente tacevano. Una di esse si trovava proprio sotto la torre della tonnara, l’altra una cinquantina di metri più in là, verso Vergine Maria. Giuseppe Sileno immediatamente corse verso le batterie dove trovò gli uomini addetti ai pezzi, perfettamente tranquilli in quanto ritenevano che si trattasse di una nostra unità da guerra che effettuava dei tiri per esercitazione. Proprio quella mattina, infatti, un cacciatorpediniere aveva eseguito lunghe evoluzioni nello specchio d’acqua antistante la costa dell’Arenella e, quindi, gli uomini a servizio delle due batterie facilmente erano stati tratti in inganno. E Giuseppe Sileno dovette sudare sette camicie, urlando ed imprecando, per convincere gli addetti ai pezzi che si trattava invece di un sottomarino tedesco. Finalmente le batterie della costa aprirono il fuoco.
Il sottomarino indirizzò allora qualche colpo verso di esse, poi, ammainata la vela e richiuso il boccaporto, scomparve nelle profondità. Di Giuseppe Sileno – ormai morto da alcuni anni – nessuno allora si occupò. Si era in tempo di guerra e non si parlava facilmente di azioni militari che per noi avevano comportato uno smacco; ed un sottomarino tedesco che impunemente raggiungeva e bombardava la costa siciliana lo era. Il fatto venne quindi messo a tacere ed a poco a poco fu dimenticato perfino nella stessa borgata».
Tuttavia in base alla lettura del testo, devo ritenere che il Professor La Duca non fa nessun riferimento al numero dei morti. Pertanto da una mia semplice ricerca, svolta sulla base della bibliografia pubblicata in un validissimo saggio di Orazio Cancila (Storia dell’industria in Sicilia, Laterza, Bari, 1995. Pag. 305-306) ripubblicata e reperibile sul web digitando: studi storici dedicati a Orazio Cancila – Storia Mediterranea (che cita lo stesso episodio), siamo risaliti all’origine documentata della notizia: giusto per fare chiarezza e aiutare il lettore a capire.
Da un’attenta lettura del citato testo del Cancilla, si scopre che, il primo a parlarne è l’ingegner Carlo Rodanò. Ingegnere, cui si deve nel 1932 una storia della fabbrica “Chimica Arenella”, redatta per la “Banca Commerciale Italiana” (il cui dattiloscritto è oggi custodito nell’archivio storico della stessa banca), che a pagina 3 narra: … “E quando la sera del 31 gennaio 1918 un sommergibile tedesco bombardò lo stabilimento, a Palermo ci si convinse che i tedeschi avessero voluto creare un alibi al loro amico Lecerf” (2). La responsabilità dell’accaduto fu attribuita all’ex direttore tedesco, che avrebbe fornito ai suoi connazionali le indicazioni per bombardare lo stabilimento, grazie a riprese fotografiche del litorale palermitano fino a Balestrate, (sviluppate a fine gennaio 1915, presso lo studio Melendez, un noto fotografo del tempo con moglie e cameriere tedesche) prima di abbandonare improvvisamente Palermo.
In realtà, il bombardamento fu frutto di un errore: i tedeschi proprietari dell’Arenella erano riusciti a ottenere dal loro governo che la fabbrica fosse rispettata e in tal senso fu ordinato ai sommergibili di non bombardarla; ma un comandante cui l’ordine non era pervenuto poiché lontano dalla base, non esitò ad attaccarla (per la semplice ragione che era il bersaglio più comodo fra quanti ne aveva visto fuori del porto di Palermo). A scanso di equivoci questa è la documentazione storica a noi pervenutaci.
In realtà, al fine di chiarire ogni cosa e accertare la verità, bisogna dire che, effettivamente, all’interno del perimetro di quella che fu la “Chimica Arenella” entrando a destra, esiste ancora oggi una lapide di bronzo, opera dello scultore palermitano Tommaso Bertolino, collocata nel 1922, in ricordo di nove operai della Fabbrica partiti per il fronte durante la grande guerra e mai più tornati. Nove e non dieci, perché, osservando bene la lapide, ci si accorge che un nome risulta cancellato, la qual cosa lascia supporre che tale nominativo, era riferito a un operaio, dato per morto alla fine della guerra e poi improvvisamente ricomparso, e per questo cancellato (con la fiamma ossidrica) dall’elenco degli operai morti da ricordare nella lapide. Per rendere il giusto onore a questi valorosi operai, morti sui vari fronti di guerra, riportiamo in fondo alla pagina la tabella con i nomi e i dati anagrafici”.
Note del Generale Piraino
(1) che invero stava per essere requisita dalle autorità militari, perché vi era il sospetto, anche su segnalazione dei servizi segreti Alleati, che fornisse, attraverso la Svizzera, materiali chimici alla Germania.
(2) a quel tempo, Direttore della fabbrica.
Ph. U- Boot tedesco con cannone da 8.8 cm/45 SK C/35
Giuseppe Longo
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