L’affondamento della corazzata Benedetto Brin

Il 27 settembre di cento anni fa nel porto di Brindisi, una violenta esplosione danneggiava irrimediabilmente la corazzata italiana “Benedetto Brin”. Il violento scoppio avvenuto nella Santa Barbara, aveva distrutto totalmente la poppa di questa nave, che incendiandosi, ne aveva provocato l’affondamento. Nella sciagura perirono 456 marinai, tra cui il Capitano di Vascello Gino Fara Forni e il Contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin; rispettivamente comandante della corazzata, e comandante della Divisione Navale Navi Scuola. La corazzata Benedetto Brin apparteneva alla Classe Regina Margherita e quel fatidico giorno, faceva parte della poderosa squadra navale ormeggiata nello scalo marittimo. La Brin fu impostata nel 1899 e varata nel 1901, ricevette la bandiera di guerra nel 1906. Partecipò alla guerra italo – turca, e nelle operazioni militari dell’Egeo. Abbiamo rivolto allo storico navale Virginio Trucco (1) le seguenti domande: Che cosa avvenne nel porto di Brindisi il 27 settembre del 1915, e quali cause portarono all’affondamento della corazzata “Benedetto Brin”.

«Il 27 settembre 1915, affondava all’interno del porto di Brindisi la nave da battaglia “Benedetto Brin”. La guerra era iniziata da quattro mesi e anche se alcune località della costa pugliese erano state bombardate dalle navi austriache, queste non osavano avvicinarsi alla città, in quanto in quel porto, vi era una forte concentrazione di navi militari italiane, inglesi e francesi, impegnate nel blocco del Canale d’Otranto, al fine di evitare il passaggio della flotta nemica in Mediterraneo. Quella mattina, verso le 8.00, mentre chi era libero da impegni, si portava sul lungomare cittadino, per assistere al rito suggestivo dell’alzabandiera; rito suggestivo, poiché dalle navi ammiraglie delle rispettive flotte intonavano i rispettivi inni nazionali a cui seguivano le marce d’ordinanza. Mentre questo rito aveva inizio, si udì una violenta deflagrazione, con l’innalzarsi di una grossa colonna di fumo. I testimoni, intravidero fra questa, la torre poppiera scaraventata in aria e ricadere in acqua, mentre altri pezzi della nave, ricaddero tutto intorno. Al dissiparsi del fumo, si vide la Benedetto Brin, affondare lentamente nelle acque del porto. Data l’ora, tutti i 943 uomini dell’equipaggio si trovavano a bordo. Nell’esplosione ne morirono 456, compresi 23 ufficiali fra cui il comandante della nave, il Capitano di Vascello Gino Fara Forni e il Comandante della Divisione Navale Navi Scuola, Contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin. Subito, iniziarono i soccorsi, i rimorchiatori, e le lance delle navi in porto, si avvicinarono alla Brin e ispezionarono le acque adiacenti per evacuare i feriti e recuperare le salme dei caduti. Le centinaia di feriti, furono trasportati presso il Grande Albergo Internazionale, approntato per l’occasione in ospedale militare. Il comandante della piazzaforte di Brindisi, il Vice Ammiraglio Ettore Presbitero, ordinò l’uscita dei cacciatorpediniere, per cercare l’eventuale sommergibile nemico che aveva provocato la tragedia. La ricerca fu vana, in quanto le ostruzioni retali del porto, risultavano chiuse e a un’ispezione dei palombari le reti risultarono completamente integre. Si avanzò allora la possibilità di un atto di sabotaggio causato dalla rete di spionaggio austriaca, che reclutava civili ripagandoli ampiamente dei servigi resi. Cosa che portò il servizio informazioni della Regia Marina a effettuare il famoso “colpo di Zurigo” che permise di smantellare la centrale di spionaggio austriaca, insediata presso il Consolato austro-ungarico. I caduti, molti dei quali irriconoscibili, furono sepolti presso il cimitero di Brindisi, in un’apposita zona dedicata ai caduti di guerra. La corazzata Benetto Brin, era la seconda unità della classe Regina Margherita, una delle ultime pre-Dreadnuoght, costruite per la Marina Militare italiana e progettate dallo stesso Brin. Fu impostata nel 1899, varata nel 1901 ed entrata in servizio il 1° aprile 1906. Dislocava a pieno carico 14.574 tonnellate, era lunga f.t. (fuori tutto) 138,8 metri, la larghezza a centro nave era di 23,8 metri e aveva un’immersione di 8,9 metri. L’apparato motore era composto da 28 caldaie alimentate a carbone, che fornivano vapore a due motrici alternative a triplice espansione, della potenza di 2000 CV, che tramite le due eliche permettevano una velocità massima di 20 nodi; 1000 tonnellate di carbone, gli assicuravano un’autonomia di 10.000 miglia a 10 nodi. La nave era protetta da una corazzatura di 150 mm sul piano verticale, mentre il torrione era protetto da uno spessore di 80 mm. Le artiglierie erano protette da ben 220 mm di acciaio. L’armamento era composto da 4 cannoni da 305/40 Mod. 1901, alloggiati in torri corazzate, una a prua e una a poppa (armamento principale), 4 cannoni da 203/45 Mod.1897, alloggiati in casematte in coperta, 12 cannoni (sei per lato) da 152/40 Mod. 1892, alloggiati nel ridotto lungo le fiancate. Per la difesa antisiluranti la nave era dotata di 20 pezzi da 76/40 Mod.1897, così disposti: parte nel ridotto e parte in coperta, 2 pezzi da 47/40 modello Hotchkiss, due pezzi da 37mm QF1 e due mitragliere. Completavano l’armamento 4 tubi lanci siluri da 450 mm, due sopra e due sotto la linea di galleggiamento. L’equipaggio era formato da 797 uomini, ma poteva arrivare a superare i 900, nel caso la nave fosse impiegata come comando complesso. La nave partecipò alla guerra italo-turca, come ammiraglia della 2^ squadra navale, partecipò ai bombardamenti di Tripoli, Dardanelli, Tobruch. Squadre da sbarco formate dai suoi marinai, concorsero all’occupazione di Rodi e Tobruch e Bengasi. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’unità venne inviata a Brindisi, come ammiraglia della Squadra delle navi scuola. Dopo l’esplosione, la nave, venne riportata a galleggiare, ma gli eccessivi danni ne sconsigliarono la rimessa in servizio. La campana della corazzata, recuperata nelle acque del porto, fu posta nel Monumento Nazionale ai marinai di Brindisi, assieme ad una targa che ricorda i caduti della nave. Benetto Brin fu un’importante figura per la marina post unitaria. Nacque a Torino il 17 maggio 1833, laureatosi in ingegneria, non ancora ventenne, entrò nella Marina Sarda nel 1853, con il grado di allievo ingegnere, su interessamento di Cavour, venne inviato per due anni a Parigi, presso la scuola di applicazione del genio marittimo. Dal 1863 al 1876, lavorò come consulente delle costruzioni navali presso i vari ministri della Marina. In questo periodo, progettò le corazzate della classe Duilio, Italia e Lepanto. Dal 1876, fino alla sua morte 24 maggio 1898, ricoprì ripetutamente il ruolo di Ministro della Marina. In questi anni, il Brin, unì i due istituti di formazione degli ufficiali della Regia Marina, facendo nascere l’Accademia di Livorno. Si adoperò per l’affrancamento dalle industrie private estere, sviluppando l’industria nazionale, prima con le acciaierie di Terni e poi con lo stabilimento Armstrong di Pozzuoli, per la fabbricazione dei cannoni, sviluppò inoltre i cantieri Navali presenti sul territorio nazionale, e l’Ansaldo per la costruzione delle caldaie. Quindi, ben si capisce perché la Marina gli rese omaggio, intitolandogli la seconda corazzata da lui progettata, impostata a un anno dalla sua morte».

(1) Virginio Trucco è nato a Roma, ha frequentato l’Istituto Tecnico Nautico “Marcantonio Colonna”, conseguendo il Diploma di Aspirante al comando di navi della Marina Mercantile. Nel 1979, frequenta il corso AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) presso l’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio come Ufficiale dal 1979 al 1981. Dal 1981 è dipendente di Trenitalia S.p.A. Lo storico navale Virginio Trucco è membro dell’Associazione Culturale BETASOM (www.betasom.it).

Testi consultati da Virginio Trucco: Navi e Mariani, Storia della Marina (Fabbri Editori), notiziario Centro Studi Tradizioni Nautiche N°37 (settembre 2015), sito Marina Militare italiana.

Foto a corredo dell’articolo: Corazzata Benedetto Brin

Giuseppe Longo
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@longoredazione

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