In questi anni ho avuto modo di raccogliere e studiare una rilevante mole di materiale storico riguardante l’antico Carnevale di Palermo, manifestazione viva e pulsante, un tempo presente nel capoluogo siciliano, che nel corso dei secoli, per varie vicissitudini, andò man mano dissolvendosi fino a cadere nell’assoluto oblio.
Tra queste numerose documentazioni, frutto di studi o semplici osservazioni, condotte da esimi cronisti o valenti storici del folclore, spicca in particolar modo quella dello storico Giuseppe Pitrè (1841-1916).
Gli studi del Pitré, considerato a buon diritto il padre della demopsicologia in Sicilia, e di cui quest’anno ricorre il centesimo anniversario della morte, fanno emergere delle peculiarità folcloristiche uniche in una Palermo cosmopolita, crocevia di genti, nonché la grande genialità e fantasia organizzativa del popolo palermitano.
Il Carnevale di Palermo dunque, dopo aver avuto un apice di popolarità nel periodo vicereale, perdurando ancora nel primo Ottocento, proprio al tempo del Pitré, si avviava progressivamente ad uscire di scena.
L’Ottocento, peraltro, fu contraddistinto dalla nascita in Italia dei comitati organizzatori per la gestione delle feste carnascialesche.
La ricerca sul Carnevale della Sicilia occidentale evidenzia un importante binomio, cioè l’esistenza di due Società carnevalesche, sia a Palermo che a Termini Imerese.
Il risultato è stato veramente sorprendente. In realtà la “Società del Carnovale” di Termini Imerese che operò nella cittadina sin dal 1876, e presente con alterne vicende, almeno sino al 1911, conteneva nel suo repertorio folcloristico (di cui anche oggi sussistono antichi retaggi) una forte analogia, o meglio una chiara “fotografia” della cerimonia che si svolgeva un tempo a Palermo lungo il Corso Vittorio Emanuele.
Da una relazione datata 1963 e sottoscritta dal Sindaco di Termini Imerese, dott. Francesco Candioto (1923-1998), e dal Presidente della neonata Pro Termini Imerese Vito Salvo (1896-1983) si evince che le due maschere simbolo del Carnevale termitano, furono realizzate nella seconda metà dell’Ottocento per «opera di un appassionato creatore di maschere carnevalesche.
Il quale, dopo avere ultimate due teste di vecchi, rivolgendosi alla moglie ed ai parenti che curiosavano, esclamò: “Taliati parinu u Nannu ca’Nanna”» (guardate, sembrano il Nonno e la Nonna di Carnevale). Evidentemente l’abile artigiano voleva paragonare i suoi manufatti, alle due maschere palermitane esistenti già nel capoluogo sin dall’Ottocento.
Ritornando all’antico Carnevale di Palermo, mi preme dare qui, una valida risposta ai molti lettori che mi seguono, circa la scomparsa dell’importante festa carnascialesca palermitana.
Quindi, per loro comodità, riporto integralmente quanto scrisse lo storico Rosario La Duca (1923-2008) nelle colonne del “Giornale di Sicilia” in data 16 febbraio 1972. Come chiosa finale, mi piace riportare, inoltre, anche una sua puntuale e tuttora valida considerazione sulla città di Palermo, che egli tanto amò e studiò per una vita intera.
«Semel in anno licet insanire: così dicevano gli antichi: il che – tradotto in volgare, e cioè in linguaggio del nostro tempo – praticamente vuol significare che una volta l’anno è lecito esser pazzi o far cose da pazzi. E cose da pazzi facevano i nostri antenati, o cose che tali erano considerate in quei tempi austeri e, perché no, anche un po’ noiosi; e ciò avveniva una volta l’anno – come prescriveva l’antico adagio – in occasione del Carnevale e cioè nelle prime settimane del mese di febbraio. Oreste Lo Valvo, nella rievocazione dell’ultimo Ottocento palermitano, scriveva nel 1937: «Allora non era sempre carnevale e la vita si svolgeva attraverso un succedersi di feste e di avvenimenti, che la tradizione rispettosamente manteneva, secondo gli usi e i costumi, con l’avvicendarsi delle stagioni e le ricadenze del calendario».
E se il Lo Valvo riteneva un «sempre carnevale» la vita in Palermo negli anni Trenta, figuriamo cosa avrebbe detto se avesse fatto riferimento a quella odierna della nostra felice città.
Nei secoli passati il Carnevale fu uno dei principali ingredienti dell’arte del buon governo che si compendiava nel trinomio: feste, farina e forche: e ciò in quanto delle feste era proprio quella in cui il popolo fungeva più da protagonista che da spettatore: gli era lecito dire come la pensasse dei signori e dei potenti (sia pure con prudenza, s’intende), pazziare per le strade.
Assistere a spettacoli diversi dal solito che non fossero le frequenti processioni in occasione di festività religiose, le esecuzioni capitali nel piano della Marina o gli atti di fede, con arrosto umano finale, celebrati dal tribunale della santa Inquisizione. Era in sostanza, il Carnevale una specie di valvola di sfogo di una realtà grigia e compressa.
La nobiltà lo celebrava con balli al S. Cecilia, aprendo i dorati saloni delle dimore patrizie e talvolta partecipando, sia pure in modo paternalistico, allo sfrenato divertimento popolare organizzando carri allegorici, alberi della cuccagna e simili trovate.
Ma, in definitiva, gli aristocratici disprezzavano il Carnevale che li costringeva a venire a contatto col popolo un po’ «alla pari» e possiamo anche dire che, in fondo, lo subivano.
Nell’Ottocento il Carnevale, oltre che festa del popolo, fu anche festa della nascente piccola e media borghesia. Si aspettava con ansia il programma annuale che veniva predisposto dall’apposito Comitato e Società del Carnevale: le mercerie mettevano in vista maschere di cartapesta e variopinti berretti, coriandoli (i famosi pittiddi) e stelle filanti e, quindi, aveva inizio la «gran pazzia».
Il Carnevale faceva il suo ingresso ufficiale con la famosa trasuta d’ ‘u nannu e d’ ‘a nanna: le due maschere sfilavano su di un cocchio per le principali vie cittadine facendo inchini a destra e a manca e lanciando confetti, mentre dai balconi gremiti di persone piovevano pittiddi e stelle filanti.
Seguivano, nei giorni che andavano dal giovedì grasso al martedì successivo, spettacoli di varia natura che andavano dai pubblici concerti alle famose carrozzate; ne ricordiamo ancora alcune di queste ultime verso gli anni trenta del secolo: tra esse troneggiava una gigantesca riproduzione della statua bronzea di Carlo V in piazza Bologni: l’imperatore, anziché giurare fedeltà ai privilegi del regno, con il braccio teso si divertiva a giocare a jo-jo un noto trastullo tanto in voga, in quel tempo fra grandi e piccini.
Le strade erano letteralmente ricoperte di coriandoli e, al termine della festa, gli addetti alla nettezza urbana avevano da sudar sette camicie per ripulirle in ogni angolino.
Il Carnevale era quindi festa popolare e come tale rimase sempre circoscritto nella vecchia città, raramente trasferendosi nei quartieri nuovi. Dopo l’inevitabile interruzione dovuta all’ultima guerra, si ebbe una modesta e spesso forzata ripresa. Ma ormai i tempi erano cambiati ed il Carnevale non aveva più ragion d’essere in una società lanciata verso una continua ricerca di nuove sensazioni di strani divertimenti.
Rimaneva in parte nei vecchi quartieri del centro storico dove ancora, in case fatiscenti, si annidava una popolazione che ai guai ed alle miserie del passato aveva aggiunto anche quelli dei tempi più recenti. Ed era gente che, semel in anno, pazziava a proprio modo celebrando una specie di carnevale anacronistico e, in ogni caso di serie B.
Negli ultimi tempi il Carnevale si è limitato alla mascherata dei bambini ed oggi anche questa sta per tramontare. Possiamo concludere che il Carnevale è finito. Il motivo è semplice: i tempi sono mutati e certamente anche in quanto ognuno – come il Lo Valvo – pensa che, in definitiva, Carnevale ormai è tutto l’anno».
Infine, concludiamo con l’emblematica citazione di Rosario La Duca, tratta dalla sua prefazione a “Palermo città d’arte”: «Una città non nasce mai per caso. La configurazione del sito le imprime i propri tratti indelebili, ma è il rapporto tra l’ambiente e gli uomini che vi si sono insediati a segnare il destino».
Foto: 1) Carnevale Palermo 1906, Arturo Lancellotti, “Feste tradizionali”, Società Editrice Libraria, 1951. 2) Carnevale di Termini Imerese XX secolo. Collezione privata.
Giuseppe Longo
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@longoredazione
Per un ulteriore approfondimento consultare su questa Testata:
Giuseppe Longo, 2015 – “Il Carnevale di Termini Imerese nel XIX secolo Nuovi contributi documentari ad una storia che si va dipanando”, Cefalùnews, 17 febbraio.
G. Longo 2015, “Una coppia alla moda: U’ Nannu e A’ Nanna, Cefalùnews”, 2 novembre.
G. Longo 2016, “Il Carnevale antico di Termini Imerese 1876”, Cefalùnews, 17 gennaio.
G. Longo 2016, “Il Carnevale di Palermo (sin dal 1874) e di Termini Imerese (sin dal 1876): un binomio da riscoprire”, Cefalùnews, 18 gennaio.
G. Longo 2016, “Le Società carnascialesche di Palermo e di Termini Imerese”, Cefalùnews, 2 febbraio.
G. Longo, 2016, “I “Nanni” dei carnevali di Palermo e Termini Imerese”, Cefalùnews, 5 febbraio.
G. Longo 2016, “Il Carnevale di Palermo: una storia lunga almeno cinquecento anni”, Cefalùnews, 22 giugno.
G. Longo 2016, “Enrico Onufrio ed il Carnevale palermitano tra primo e secondo Ottocento”, Cefalùnews, 18 agosto.