E’ rimasto un anno ed otto mesi chiuso in cella. Poi è arrivata la sentenza di assoluzione sia in primo che in secondo grado. Per i giudici della Cassazione di Caserta Andrea Montesanto, palermitano di 51 anni, coinvolto nella maxi inchiesta sulla Paganese trasporti, che ha svelato l’asse tra Cosa Nostra ed il clan dei Casalesi per il controllo del trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli in tutto il Centro sud Italia, non ha diritto ad essere risarcito per i 20 mesi trascorsi in carcere. A rigettare la richiesta per riparare all’ingiusta detenzione è stata la Quarta Sezione della Corte, presieduta dal giudice Giacomo Fumu, che ha ritenuto infondato il ricorso presentato. Al momento del blitz della Dia, il 10 maggio 2010, Montesanto venne arrestato e recluso fino al 27 gennaio 2012. Nel frattempo è stato assolto “per non aver commesso il fatto” sia in primo grado sia in Appello. Ma la sua condotta, per i giudici del Palazzaccio, è stata comunque “colposa” al punto da giustificare l’adozione ed il mantenimento della custodia cautelare. Il giudice, nel motivare il rigetto alla richiesta, ha ribadito le frequentazioni con persone legate agli ambienti malavitosi sottolineando la consapevolezza di Montesanto dell’appartenenza della ditta di autotrasporti La Paganese al clan dei Casalesi. «Tali condotte – scrivono i giudici – sono state puntualmente e diffusamente descritte nel provvedimento impugnato, in cui si è menzionata non solo la presenza del Montesanto alla violenta aggressione, a scopo intimidatorio, nei confronti di un autista dell’impresa La Paganese, desunta da intercettazioni di terzi, ma anche l’accompagnamento, da parte sua, di A.P. negli uffici della Paganese, risultante delle immagini del sistema di video-sorveglianza e la sua presenza ad alcune conversazione riservate da cui emergono le modalità illecite di conquista del mercato, da parte dei soggetti coinvolti. La decisione risulta, dunque, conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti extraprocessuali gravemente colposi quali le frequentazioni ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti».