Palermo vanta un carnevale ufficialmente organizzato ed avallato dalle autorità viceregie, le cui radici risalgono almeno al Cinquecento. Del resto, è impensabile che nell’antica capitale del Regno di Sicilia, non sia sorto il carnevale per eccellenza, veramente degno dell’«Isola del Sole».
Eccovi alcuni esempi. Nel “diario della città di Palermo”, dal 1500 al 1613, opera manoscritta di Filippo Paruta e Niccolò Palmerino, che si conserva della Biblioteca Comunale di Palermo, vi sono alcune interessantissime notizie sul carnevale della «città Felice». Il detto diario fu pubblicato da Monsignor Gioacchino di Marzo nel primo volume della Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia edito nel 1869 e le seguenti notizie sono riportate alle pagine 44 e 45.
Il Giorno 8 febbraio 1572, in occasione della venuta del «Serenissimo prencipe D. Gioanni d’Austria, figlio naturale della Maestà di Carlo V imperatore, fratello del re Filippo II, giovane di età d’anni 22», che fece la sua solenne entrata «ad ore ventuna» con il suo seguito di «550 cavalieri in sua compagnia». Coincidendo la visita dell’illustre personaggio, con il periodo carnascialesco, i consueti festeggiamenti acquistarono uno sfarzo particolare. Ecco cosa scrissero i due cronisti Paruta e Palmerino: «Martedì, l’ultimo di carnevale, la città fece a sue spese una bella e ricca sortita, dove ci foro 13 quatriglie [quadriglie] riccamente vestite, e ci giocò Sua Altezza. E continuarono in festa in vedere Monreale e S. Martino e tutti lochi degni dentro e fuora Palermo».
Un altro riferimento alle feste di carnevale, ed in particolare alle commedie che si tenevano in Palermo, si ritrova il 10 febbraio 1578 (cfr. Di Marzo, op. cit., p. 84).
«A 10 detto, lunedì, ultimo di carnevale. Si fece una comedia in casa dello spett. sig. D. Vincenzo Bongiorno capitano della città; dove, avendoci andato l’ecc.a del sig. Marco Antonio Colonna viceré e l’ecc.a della signora D. Felice sua moglie e diversi signori, fu tanto disonesta, che a menza comedia se ne andò detto viceré con la viceregina e molti signori. E l’indomani disterrò [esiliò] di questa città (che per sei mesi non ci possano entrare) detti recitanti»
Nel manoscritto di Valerio Rosso, «Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia, 1587-1601», relativamente alle feste carnascialesche del 1595 si legge: «Nell’anno 1595, nel tempo di carnevale. In Palermo nel publico teatro s’é recitata una comedia da’ Panormitani, in presenza del marchese di Geraci presidente» (cfr. Di Marzo, op. cit., p. 284).
Potremmo continuare riferendo delle festività carnascialesche del Seicento e del Settecento palermitano, ma ci asteniamo per non tediare il lettore. E senza tema di poter essere smentiti, il carnevale organizzato di Palermo proseguì sotto il Regno borbonico e dopo l’annessione al Regno d’Italia. Questo carnevale palermitano, durato oltre quattrocento anni, è stato indubbiamente fonte di ispirazione e carro trainante, anche per la vicina Termini Imerese, al quale, volente o nolente, dovette attingere linfa vitale per le proprie tradizioni, ereditando o rielaborando costumi e usanze che negli ultimi venti anni, per una distorta mentalità campanilistica si è voluto rivendicare come cosa propria.
Anche Mezzojuso ha preso ispirazione dal carnevale palermitano. Un tipico esempio di importazione tout court è la figura di Mastro di Campo un tempo celebrata nell’antico Carnevale di Palermo. Infatti, è l’incontro tra Pulcinella e “Mastro di Campo”, una sorta di pantomima chiamata “Giuoco del Castello” o “L’ Atto di Castello”, da cui deriva l’attuale festa popolare e che, da oltre due secoli, si svolge nella cittadina in provincia di Palermo.
La nostra Termini Imerese fu anch’essa influenzata dalle usanze palermitane, tant’è che, Giuseppe Patiri e compagni, sulle orme dell’antica Società del Carnevale di Palermo (la cui sede era in via Maqueda, al civico 287, nel Palazzo del Barone Grasso, purtroppo demolito nel 1929), la fecero sua istituendola, nel 1876, anche nella cittadina imerese. Successivamente, anche un ignoto artigiano si appropriò dell’idea dei costumi palermitani, realizzando nella seconda metà dell’Ottocento la coppia di maschere del «Nannu» e della «Nanna», a somiglianza di quelle originarie di Palermo che, ricordiamo, circolavano sin dall’Ottocento su un cocchio durante la sfilata carnascialesca lungo Corso Vittorio Emanuele. Sì, perché le maschere del «Nannu» e la «Nanna» sono nate proprio lì, nel capoluogo.
Il Patiri etnoantropologo contribuì, quindi, all’istituzione per la prima volta a Termini Imerese di una “Associazione” per l’organizzazione dell’antico carnevale, mutuandola dalla sua originaria versione palermitana della “Società del Carnevale”. Ma il fatto più rilevante è che il Patiri fu il referente ufficiale di Giuseppe Pitrè, quest’ultimo consacrato tra i grandi studiosi italiani dell’Ottocento e autore della conosciutissima Biblioteca delle tradizioni popolari, composta di ben venticinque volumi. Per la realizzazione di questa monumentale opera, furono setacciate e raccolte mediante una ricerca meticolosa e a cura di illustri ed esimi collaboratori del Pitrè, le tradizioni di svariati centri isolani, descrivendone le usanze e i costumi, dalle più o alle meno conosciute e studiate, coinvolgendo ben 172 Comuni siciliani; quindi anche il nostro Patiri che faceva parte di questa “commissione scientifica” diede il suo prezioso contributo.
Premesso questo, dobbiamo prendere atto di un fatto alquanto curioso. In realtà, da circa 20 anni a questa parte, nelle cronache del Carnevale termitano non è mai emersa l’importante figura del Patiri, quasi ad oscurare volutamente il suo ruolo di etnoantropologo.
Da oltre venti anni, circola una vera e propria “etichetta pubblicitaria” che strombazza per verità sacrosanta che il carnevale termitano sarebbe “il più antico di Sicilia”, slogan che ha rintronato le orecchie dei termitani e non, divenendo una sorta di tormentone, ormai logoro.
E che sia stato un mero slogan, costruito «a tavolino», si evince dall’assoluto silenzio in proposito prima del suo esordio. Del resto, in una relazione sullo svolgimento della kermesse, redatta nel lontano 1963, dai compianti Cav. Vito Salvo e dall’allora Sindaco di Termini Imerese, dott. Francesco Candioto, non vi è ombra di tale presunto primato. Ma i due, erano dei veri galantuomini e giammai si sarebbero sognati di escogitare un simile espediente per pubblicizzare, nel circuito nazionale, il nostro carnevale cittadino.
Per concludere, dato che è iniziata una sorta di «caccia alle streghe», per tentare di mettere in discussione quanto Giuseppe Patiri relazionò a Giuseppe Pitrè (cioè che il carnevale termitano è una filiazione di quello palermitano), vi esorto a farmi pervenire le vostre proficue «esplorazioni» bibliotecarie, sarei ben lieto di pubblicarle e annoverarvi, se sarà il caso, tra i nuovi personaggi in cerca di notorietà…
Riferimenti bibliografici:
G. Longo, 2016 – I “Nanni” dei carnevali di Palermo e Termini Imerese, Cefalunews.org – 5 febbraio.
G. Longo, 2017 – Il Carnevale di Termini Imerese non è il più antico di Sicilia, Cefalunews.org – 6 marzo.
G. Longo, 2018 – “Il quartiere fuori Porta Palermo e l’infondata “leggenda” dell’origine del Carnevale di Termini Imerese”, Cefalunews.org – 24 agosto.
G. Longo, 2018 – “Il binomio Palermo-Termini, tra porte civiche, manifestazioni carnascialesche e “gustose” leggende metropolitane”, Cefalunews.org – 22 dicembre.
G. Longo, 2019 – “La rivincita della “vera” storia del Carnevale Termitano”, Cefalunews.org – 19 gennaio.
Foto a corredo dell’articolo: “La Tubbiana”. Giuseppe Pitrè “La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano” Forni Editore, 1980.
Giuseppe Longo
[email protected]
@longoredazione