Omelia nell’ordinazione diaconale di Don Luigi Natale Volante

La Chiesa di Cefalù accoglie il neo ordinato diacono, Don Luigi Natale Volante.

Intercedano per lui i Santi diaconi Stefano e Lorenzo.

Richiamo brevemente il contesto del capitolo 15 del Vangelo di Luca: i giusti (gli scribi e i farisei) mormorano contro Gesù perché fa festa e mangia con i peccatori. Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola”[1].

E in un’unica parabola narra le tre della misericordia. Tutte e tre le parabole hanno in comune la festa: Il pastore fa festa perché ha trovato la pecora smarrita, la donna fa festa, perché ha trovato il suo tesoro, ora il padre fa festa per il figlio minore, quello che chiamiamo il perduto, perché è stato ritrovato. Il senso di questo testo è la conversione più radicale che ci sia, che non è la conversione del peccatore, ma è la conversione del giusto che è chiamato a convertirsi dalla sua giustizia alla misericordia. In fondo due fratelli, fuori dalla parabola, hanno la stessa falsa immagine di Dio, sia chi fa il religioso osservante, sia chi si ribella: Dio è un padrone, è legislatore, è un giudice spietato, è un boia, cioè ti condanna alla morte eterna se non fai quello che Lui ha stabilito! L’ateo in fondo rifiuta questa visione di Dio: se Lui è così io voglio la mia libertà e fare una vita autonoma, non da schiavo.

Il Vangelo, invece, ci presenta il vero volto del Padre; richiamo brevemente il colloquio tra Filippo e Gesù: Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?[2]

Il testo vorrebbe essere la rivelazione a entrambi i figli che il padre non è come loro pensano, ma è un’altra cosa. Dio non è come lo pensiamo noi, ma è esattamente il contrario: non è il Dio della legge, delle religioni che gli atei negano, ma quel Dio che è amore e libertà e misericordia assoluta; che non è l’antagonista dell’uomo, ma tutt’altro, è un alleato della sua felicità. Da notare che il testo per dodici volte parla del padre e così lo chiamano il figlio minore e i servi, mentre il maggiore non lo chiama mai padre come non chiamerà il minore fratello, ma “questo tuo figlio, costui che […]”.

Tra le prime due parabole – la pecorella smarrita e la dracma perduta – e questa del figlio perduto e ritrovato si può notare però una differenza abbastanza vistosa: nelle prime due, sia il pastore sia la donna casalinga, si muovono per cercare ciò che hanno smarrito; qui il padre non si muove per cercare il figlio, ma con ansia e trepidazione lo aspetta, perché rispetta fino in fondo la libertà del figlio. Mi viene il sospetto che l’evangelista Luca vuole darci un messaggio nascosto nella parabola. Ma non doveva il figlio maggiore, il fratello, condividere la preoccupazione del Padre e mettersi alla ricerca del fratello? Vorrei leggere in filigrana la presenza di un altro fratello maggiore, uno di cui ci parla l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani «il primogenito di molti fratelli»[3] che riceve dal Padre la missione di fare un lungo viaggio per cercare Adamo, il fratello perduto che ha dissipato l’eredità filiale e ora si trova nel punto più lontano dal Padre: è disceso negli inferi della morte.

E allora si può riscrivere la parabola e incontrare questo figlio maggiore che non considerò un tesoro geloso tutto ciò che il padre gli ha dato, ma spogliò se stesso, spese l’eredità per comprarci e riscattarci a prezzo del suo sangue e della sua vita fino a scendere negli abissi della morte e liberare il fratello rimasto schiavo a servizio del guardiano dei porci e così ci ha ricondotti alla casa paterna per gioire col Padre e far festa per il fratello che era morto ed è tornato in vita. Mi chiedo ancora: chi sono i servi che preparano la festa? Vedo in essi i sacri ministri e tra questi specialmente i diaconi, annunciatori del lieto evento a coloro che si credono giusti e giudicano chi si è perduto: Tuo fratello è tornato e tuo padre ha ucciso per lui il vitello ingrassato, poiché lo ha riacquistato salvo.

I servi sono i diaconi che rivestono della veste bianca il figlio sporco e sudicio dopo l’immersione nel bagno rigeneratore del battesimo.

I servi sono i diaconi che mettono al dito del prodigo l’anello del sigillo dell’appartenenza piena alla casa paterna. I servi sono i diaconi che provvedono di calzari colui che ha consumato i suoi sandali nel deserto della lontananza da Dio.

I servi sono i diaconi che preparano la mensa dove viene immolato il sacrificio della nostra riconciliazione. Mi piace vedere nei diaconi i servi che il padrone dinanzi al rifiuto dei primi manda ai crocicchi delle strade per chiamare altri invitati, buoni e cattivi, alle nozze del figlio e così riempire la sala di commensali. Mi piace oggi vedere nel diacono il servo che annuncia la misericordia di Dio, accompagna i penitenti al sacramento della riconciliazione e li presenta all’altare per partecipare al banchetto delle nozze dell’Agnello. Mi piace vedere nel diacono il messaggero di pace, che si adopera per ricucire situazioni di conflitto tra fratelli, tra parenti e soprattutto tra i coniugi o tra padri e figli. Il diacono proprio perché ha sperimentato la gioia della misericordia di Dio nella sua vita, può dire agli altri: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia»[4] e, col profeta Isaia, benedico i passi di chi annuncia la misericordia: Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza[5] Carissimo Luigi, oggi ricevi il primo grado dell’ordine, quello del diaconato per il servizio; ricordati che, anche se accederai al sacerdozio, rimarrà per sempre impressa in te l’impronta, il carattere diaconale, lo stile del servizio, ecco perché viene dato per primo.

Ti auguro di vivere questo tempo di grazia diaconale con umiltà e semplicità a servizio specialmente dei sofferenti, dei poveri, accompagna con mitezza e tenerezza quanti si sono allontanati dalla casa paterna che è la Chiesa e annuncia la misericordia del Padre. Amen.

✠ Giuseppe Marciante

[1] Lc 15, 1-3.
[2] Gv 14,6-10.
[3] Rm 8,29.
[4] Sal 33,9.
[5] Is 52,7.

 

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