Le parole che usiamo per descrivere ciò che ci circonda, sono sempre calate in un contesto da cui traggono vita e a cui danno significato; il linguaggio è come un organo vivo, dinamico, che pulsa ed esprime il senso di ciò che una persona prova dentro di sé, come è il riflesso di ciò che un’epoca attraversa.
Eppure il linguaggio in tempo di quarantena, sembra si sia atrofizzato in “tormentoni” ormai ben noti: state a casa; eroi in trincea; bollettino di guerra; andrà tutto bene; stiamo uniti etc. .
In questo momento storico, avremmo bisogno di parole e di espressioni nuove per dare significato a ciò che accade, però facciamo fatica a trovarle, così si abusa soprattutto da parte dei media, di terminologie per lo più belliche e dunque anacronistiche, che risultano non adeguate, inefficaci o peggio controproducenti se calate nel contesto attuale.
In psicoterapia ad es., sono le parole nuove che hanno in sé il germe del far evolvere; non si progredisce rimanendo ancorati ai vecchi significati, ma con un maggiore dispendio mentale, occorre distinguere le esperienze, diversificandole da quelle passate e integrandole nel fluire della vita presente e questo, produce i suoi frutti nel senso di un’accettazione consapevole e del cambiamento, soprattutto in tema di traumi.
I “tormentoni” invece, che per definizione sono sempre uguali a se stessi e ripetitivi, non hanno originalità, creatività o freschezza, ma sono sterili e vuoti; allora, come assorbiamo i concetti che essi veicolano? Quali processi mentali si attivano in noi?
Se oltre al linguaggio si atrofizza anche la mente, il risultato sarà assuefarsi a tali espressioni acriticamente, senza il necessario discernimento e con un pensiero uniforme e monotono.
Al contrario, un pensiero divergente, fluido, vitale, che ha energia, che non si appiattisce nel conformismo, è quello di cui abbiamo bisogno e che serve allenare in questo momento più che mai, per capire, per orientarci responsabilmente, per filtrare tutti gli stimoli inediti cui siamo esposti e per proteggerci dalle loro negative conseguenze psicologiche.
Insomma, dobbiamo masticare un boccone per digerirlo e non inghiottirlo intero, perché altrimenti si sa, resta sullo stomaco!
Ad es. abbiamo digerito la nuova regola del dovere “stare in casa” per proteggerci dal contagio? Come si è tradotta fin dal principio? Il suo essersi tramutata subito in un tormentone, ha snervato e soprattutto non ha aiutato a trasmettere il giusto senso delle cose. Credo che davvero in pochi la abbiano interiorizzata con responsabile consapevolezza, dalla quale tuttavia non può essere esclusa la legittima frustrazione di dover subire un pesante limite e condizionamento alla propria autodeterminazione.
Quanti invece non hanno fatto i conti con la propria frustrazione, sono regrediti ad istinti primordiali di indifferenza verso l’altro e/o di aggressività contro l’altro.
Un esempio può riferirsi alla presunta colpevolezza di chi voleva e vuole custodire il proprio diritto ad andare a correre o a fare una camminata in solitaria e all’aria aperta; la “passeggiata”? Ma che sciocchezza, una stupida voluttà!
Una distorsione cognitiva che propende verso la paranoia, ha reso queste persone dei criminali irresponsabili, agli occhi di molti che hanno seguito l’onda di un pensiero poco strutturato.
Ciò che l’emergenza ha rivelato, credo sia un atteggiamento sempre esistito, la rabbia sociale per cui è più facile puntare il dito, trovare il nemico o un colpevole, anziché fare valutazioni mentalmente più organizzate ed equilibrate.
La reclusione non è una sciocchezza, non evoca affatto lo stare seduti in relax sul divano; in un attimo abbiamo dimenticato ricerche e studi scientifici secondo cui il benessere psico-fisico deriva dal contatto con la natura e dal movimento del corpo; abbiamo annullato l’olismo come imprescindibilità delle interconnessioni mente-corpo-anima e il modello biopsicosociale, che approccia e spiega le fonti della salute e della malattia superando quello biomedico; ancora abbiamo ignorato il senso della dimensione temporale, sottovalutandone gli effetti psicologici a medio e lungo termine, in quanto la durata delle restrizioni si è protratta ben oltre “qualche” giorno.
Nessuno è così ingenuo da non capire che per un male estremo si sia dovuti ricorrere ad un estremo rimedio, tuttavia non è corretto sottostimare il sacrificio imposto, come non è corretto far sconfinare la repressione nella protezione.
Poi che dire dell’esortazione ad “essere e restare uniti”? Una frase fatta, un altro tormentone!
Più che a un’auspicabile promozione di un senso umanitario, assistiamo a molteplici forme di individualismo spesso aggressive; siamo ancora molto lontani dal far nostro e dall’interiorizzare un senso di coesione e, sebbene ci siano esempi e forme di solidarietà, dobbiamo ammettere che predominano ancora quelle logiche autoreferenziali di cui la nostra società, soffriva già prima di tutto questo caos.
Ci vorrà molto tempo e sarà necessario scoprire atteggiamenti nuovi e diversi, per ottenere il cambiamento sperato e per collocare ogni cosa nella sua giusta dimensione, senza ricorrere agli odierni, inutili sensazionalismi.
Infine, l’eroismo: credo che eroi siano anche tutti coloro che in silenzio e senza fare scalpore compiono piccoli, grandi gesti coraggiosi, come coraggioso è andare avanti ogni giorno in questo momento, con la forza e la determinazione di non perdere se stessi, tenendo fede ai propri valori e principi e tentando di superare la sopraffazione dell’angoscia disperante per un futuro che mai è stato così … teorico.