Perché in Sicilia la pandemia ha colpito meno che altrove: uno studio universitario

In Sicilia e in generale per le regioni del Mezzogiorno si è avuto un impatto più contenuto della diffusione del contagio e dei tassi di letalità. Il perchè è spiegato nel report della Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Palermo e del Laboratorio di Riferimento Regionale per la diagnostica molecolare del virus del Policlinico Universitario «Paolo Giaccone». Un ruolo determinante per i docenti ha avuto l’iniziale diffusione del coronavirus nelle Regioni del Nord Italia «ma di certo le misure del Dpcm dell’8 Marzo 2020 ci hanno permesso di contenere notevolmente i danni e magari, tra qualche settimana di vincere la battaglia». I professori aggiungono: «un vantaggio temporale non indifferente che ci ha permesso di riconvertire per tempo interi reparti all’assistenza dei soggetti covid+ e di non sovraccaricare le terapie intensive che hanno potuto continuare a prendersi cura di altri pazienti. Nonostante la precocità degli interventi siciliani i laboratori reclutati per l’analisi dei tamponi oro-faringei hanno attraversato momenti vicini al collasso.  Ad oggi, grazie all’estensione della rete di laboratori a livello regionale e grazie all’inizio della sorveglianza sierologica non si assiste più anche nei grandi Comuni e Province Siciliani a ritardi nella catena di richiesta, prelievo e analisi dei campioni che in certi momenti, a causa di una domanda a volte nettamente superiore rispetto alle risorse disponibili, erano stati consistenti». Insomma la conclusione per il report è la seguente: «Fin da subito in Sicilia è stata abbracciata una linea più rigida rispetto al resto d’Italia con ulteriori ordinanze emanate dal presidente della Regione e dal Governo Regionale».

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