La paura: da emozione adattiva … a vissuto paralizzante

La paura è un sentimento primordiale connesso all’istinto innato di sopravvivenza e ha un ruolo conservativo, essendo segno dell’ignoto che ci spaventa e monito di un pericolo. Quando abbiamo paura ci fermiamo immobilizzati, lì per lì assecondandola, tuttavia il suo compito è portarci ben oltre questo stato di impedimento, che dovrebbe essere temporaneo.
Eppure, in preda alle emozioni possiamo perdere la ragionevolezza e l’esame di realtà che ci guidano nell’approcciare le circostanze della vita. Vivere nella morsa di un’ansia paralizzante, non è e non ha funzione adattiva, infatti non c’è cambiamento-adattamento nel fermarsi, ma un blocco sterile e dannoso che impedisce ogni movimento attivo e vitale, sia esso intellettuale che comportamentale.
Il cambiamento che ha in sé l’incognita e il rischio può spaventare, ma è connaturato al vivere stesso e non può essere a lungo rimandato o evitato; la specie che si adatta ai cambiamenti, ci insegna Darwin, sopravvive. In questo periodo di ripresa post quarantena, che tipo di paura emerge? Poiché l’esperienza della pandemia ha avuto i tratti inequivocabili del trauma, essa assume la forma di uno stato di allerta eccessiva e generalizzata denominato arousal, che porta a percepire come allarmanti anche situazioni prima neutre o sperimentate con serenità.
Inoltre, rimanere ancorati a pensieri e azioni del passato non motivati da condizioni del qui e ora, significa agire secondo schemi anacronistici, non più creativi ma disfunzionali e tale è il nucleo dell’esperienza nevrotica; così, un rischio attuale è far confluire inconsapevolmente nella prudenza, un controllo nevrotico che impedisce di ripristinare il fluire della vita. Ciò vuol dire rimanere vittime e prigionieri delle proprie emozioni; ma … sono davvero le nostre emozioni? Oppure le sta veicolando e imprimendo dentro di noi, un indottrinamento comunicativo del terrore?
Il linguaggio ha un valore imprescindibile nelle nostre vite, la sua tipica caratteristica è di farci provare sensazioni, infatti le parole verbali e/o scritte, evocano immagini da cui si attivano percezioni nel corpo e il modo in cui ci raccontiamo le cose ha un ruolo significativo rispetto al modo in cui le viviamo.
Allora trasmettere chiarezza o confusione, sicurezza o indefinitezza, speranza o senso di aleggiante minaccia, in definitiva voglia di vivere o paura di morire, fa una grande differenza.
Essere bombardati da informazioni scoraggianti peraltro non sempre attendibili e distorte, si traduce nell’indurre immagini disastrose e nel plasmare scenari infelici e desolanti; aprire questi cassetti della mente senza poi poterli chiudere, vuol dire perdere il sostegno della propria flessibilità psicologica, quella che permette di restare in contatto con il momento presente, come esseri umani consapevoli.
Invece, essere centrati sulle emozioni negative, non consente di “normalizzare” le situazioni e di investire le energie sui propri autentici scopi, subendo il fermo di una paura che assale.
Quando una persona è fusa con il proprio pensiero pauroso, è compromessa la sua capacità di sentire il coraggio, quel guizzo proattivo che spingerà per portare da tutt’altra parte e che non sarà incoscienza, se terrà conto della paura in modo consapevole e razionale.
Equilibrare paura e coraggio, rende entrambi necessari per farci evolvere.
Chi è assoggettato alla paura, sperimenta un sentire intrusivo di cui non riesce a cogliere i contorni ed esprime ciò che prova con termini tanto assoluti quanto indefiniti; in preda all’ansia le persone dicono di avere paura di tutto e di riuscire a fare niente, ma il tutto e il niente hanno confini imprecisi, confondono la conoscenza e la possibilità di circoscrivere ambiti, su cui poi poter intervenire.
Allora “stare” consapevolmente nella paura, vuol dire ascoltarla, imparare a conoscerla, percepire da cosa è fatta e di cosa si nutre, significa anche sapere che si può celare dietro emozioni di ostilità e aggressività verso gli altri; solo avendone contezza, essa diventa affrontabile.
E’ un lavoro di auto osservazione e di profonda conoscenza di se stessi sicuramente faticoso, ma troppo prezioso per rinunciarvi, perché non possiamo difenderci da ciò di cui non siamo consapevoli.
Inoltre chi è bloccato nella paura è necessariamente ripiegato su se stesso, vede nulla intorno a sé che possa distrarre o attrarre i sensi, non prova interesse né empatia verso gli altri, ma soprattutto chi ha paura è facilmente dominabile; unite questi due aspetti e avrete un quadro del dissesto sociale e del fallimento umano che si stanno consumando ai nostri giorni.
Oggi, il grande pericolo o la vera minaccia che si è insinuata, è perdere la speranza, non percepire più quel sano, inesausto sentire, che è all’origine della vita e di ogni sentimento fiducioso verso se stessi e verso il mondo.

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