Seconda Guerra Mondiale. Nella tragedia dell’affondamento della corazzata Roma anche due termitani

Il 9 settembre del 1943, il giorno dopo la proclamazione dell’Armistizio di Cassibile, la corazzata Roma, salpata dal porto di La Spezia e diretta a Malta per consegnarsi agli Alleati, veniva affondata al largo dell’isola dell’Asinara, colpita da due bombe radioguidate antinave Ruhrstahl SD 1400, sganciate da bimotori Dornier della Luftwaffe. Nell’attacco aereo tedesco fu coinvolta anche la nave da battaglia “Italia” (ex Littorio) che venne danneggiata dal medesimo ordigno, conosciuto anche col come di PC1400X o FX 1400, oppure chiamato familiarmente Fritz X.

Nei giorni antecedenti all’8 settembre le unità navali italiane ormeggiate nei porti di La Spezia e Genova, stavano approntandosi per una missione nelle acque di Salerno, poiché gli anglo-americani dopo aver conquistato la Sicilia, erano in procinto di occupare anche la penisola. Infatti, lo avevamo già fatto con l’Operazione Baytown, sbarcando all’alba del 3 settembre in Calabria, sulle spiagge di Catona, Gallico e Pentimele, muovendo poi su Villa San Giovanni e Reggio Calabria (Cfr. “La Campagna d’Italia 1943: dall’Operazione Husky all’Operazione Achse”, Madonielive.com); e si accingevano a sbarcare a Salerno, con un’azione militare anfibia chiamata in codice “Operazione Avalanche” (9-18 settembre).

Pertanto, la flotta della Regia Marina, si dispose a salpare per raggiungere la base militare de la Maddalena, essendo la più vicina al teatro delle operazioni in quel di Salerno.

Regia Nave Roma da Corazzata Roma, Gruppo Facebook

In realtà, alla vigilia dell’annuncio ufficiale dell’armistizio dell’8 settembre l’Ammiraglio Carlo Bergamini (1888-1943), comandante supremo delle forze navali da battaglia si trovava a Roma per una riunione di emergenza con i vertici della marina e dello stato maggiore. Egli, dopo un breve colloquio con il Ministro e capo di stato maggiore della Regia Marina Raffaele De Courten (1888 – 1978), entrambi ignari di quanto era accaduto a Cassibile il 3 settembre (soltanto pochissimi erano al corrente dell’armistizio), di comune accordo decisero che “La Flotta entro il 9 settembre si sarebbe trasferita a La Maddalena per motivi prudenziali e per essere più vicina al teatro della battaglia”.

Carlo Bergamini, comandante supremo delle forze navali da battaglia

Tuttavia, per Bergamini, al suo rientro a La Spezia si presenteranno una escalation di avvenimenti drammatici che segneranno in modo indelebile le sorti dell’Italia; ma, soprattutto, lo vedranno coinvolto in prima persona nelle concitate direttive emanate dal Comando operativo centrale della Marina (Supermarina), tramite l’ammiraglio Luigi Sansonetti (1888 – 1959) e De Courten.

Raffaele De Courten, Ministro e capo di stato maggiore della Regia Marina

Gli avvenimenti a cui l’Ammiraglio di Squadra Bergamini assisterà attonito e sbigottito, saranno di certo i preludi del tramonto della grande Marina del Regno d’Italia. Infatti, le tappe salienti delle vicende che si svolgeranno dopo il suo arrivo a La Spezia (una delle grandi basi navali della Regia Marina), ne determineranno l’esito degli eventi italiani. Tali avvenimenti si concentreranno nei giorni tra l’8 e il 9 settembre, e saranno:

8 Settembre:

La comunicazione del Re Vittorio Emanuele III di Savoia (1869 – 1947) ai vertici della Marina e dello Stato maggiore dell’armistizio;

Il proclama del Generale Pietro Badoglio (1871 – 1956), che rendeva pubblico dai microfoni dell’Ente italiano per le audizioni radiofoniche (EIAR), l’armistizio di Cassibile che faceva seguito all’annuncio del Generale americano Dwight Eisenhower (1890 – 1969), lanciato da Radio Algeri;

La direttiva di Supermarina (secondo quanto veniva precisato nel Promemoria Dick) del trasferimento delle navi da guerra italiane nel porto inglese di Malta. Il documento compilato dal commodoro della Royal Navy, Royer Mylius Dick (1916 – 2001) precisava di contrassegnare le navi sia militari che mercantili con i segnali di resa prescritti: un pennello nero alzato sull’albero maestro e due cerchi neri, una a prora e uno a poppa.

9 settembre

Il precipitoso abbandono della capitale da parte del Re Vittorio Emanuele III di Savoia, alla volta di Ancona per essere poi trasferito via mare a Brindisi, avvenuto all’alba del 9 settembre.

Ma, tornando al quel lontano 8 settembre 1943, la storia ci racconta che il Re, nel pomeriggio, convocò al Quirinale i capi di stato maggiore, comunicando ufficialmente la firma dell’armistizio. Tuttavia, Bergamini venne a conoscenza del proclama di Badoglio solamente attraverso la radio di bordo.

 

Dai microfoni dell’EIAR 8 settembre 1943 ore 19.45

Proclama del Capo del Governo, parla sua Eccellenza il Maresciallo Pietro Badoglio

«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.

Esse però, reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

 

Ciò nonostante, Bergamini si mise in contatto con Supermarina, ed espresse severamente tutto il suo rammarico per non aver ricevuto direttamente la notizia dell’armistizio. Ma, soprattutto, per essere stato messo all’oscuro di quanto si era ordito alle sue spalle.

L’Ammiraglio Luigi Sansonetti, da Storia illustrata n° 190 settembre 1973

Trent’anni dopo quell’evento, l’estratto della conversazione telefonica tra gli ammiragli Sansonetti, Bergamini e De Courten, fu pubblicato nel 1973 sulle pagine del mensile “Storia illustrata”, a cura del giornalista Santi Corvaja (1920 – 1999), il quale, durante la Seconda Guerra Mondiale, rivestì il grado di tenente colonnello della Regia Aeronautica (Cfr. S. Corvaja, L’agonia della Roma, «Storia illustrata», n°190, settembre 1973, pp.)

Pertanto, alla luce di quanto sopra, mi sembra opportuno far conoscere ai lettori questa animata conversazione, avvenuta quel mercoledì di settantasette anni fa, tra i tre ufficiali italiani; riproducendola fedelmente qui di seguito, come comparve nell’edizione di quell’anno.

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«Sansonetti: «È stato firmato l’armistizio. Da Supermarina abbiamo diramato le nuove disposizioni secondo le clausole dell’armistizio. Per evitare equivoci l’ordine viene trasmesso e ripetuto in chiaro. È esclusa la consegna delle navi e l’abbassamento della bandiera. La flotta deve – però – trasferirsi a Malta. Per il riconoscimento occorre alzare il pennello nero sugli alberi maestri e dipingere cerchioni neri sulle prue. Anche Biancheri a Genova è stato avvertito».

Bergamini: «Anzitutto desidero sapere perché sono stato tenuto all’oscuro di quanto si stava tramando alle nostre spalle. Ancora ieri ci sono stati fatti altri discorsi. Lì a Roma vi siete dimenticati quali responsabilità tecniche e morali ha il comandante della Flotta. Qui la situazione è confusa. L’orientamento generale è per l’affondamento».

Sansonetti: «È una soluzione gravissima contro gli interessi della patria la cui responsabilità ricadrà sul comandante della Flotta…»

Bergamini: Per questo motivo chiedo di parlare con il ministro e capo di Stato Maggiore che, ancora a mezzogiorno, mi ha confermato l’ordine di tenermi pronto a partire per l’ultima battaglia».

Sansonetti: «Riferirò».

…Passano pochi minuti, Roma richiama. Questa volta è De Courten il quale ha ormai capito che Bergamini è riluttante ad accettare l’ordine di consegnarsi agli inglesi…

 De Courten: Sansonetti mi riferisce che alla Spezia vi sono difficoltà. Posso comprenderle ed anche giustificarle. Del resto anch’io, che sono il ministro e il capo di S.M. della Marina, solo due ore fa ho appreso per la prima volta che l’armistizio era stato firmato. Non siamo stati mai consultati. Ma ormai, visto come si sono messe le cose, non resta altro da fare che eseguire gli ordini. Sansonetti ha già predisposto tutto. La Flotta deve trasferirsi a Malta. Non è previsto né il disarmo né l’abbassamento della bandiera. Quindi mi pare…»

Bergamini: «Ripeto quanto ho già detto a Sansonetti. Lo stato d’animo degli ammiragli e dei comandanti che ho sentito nel pomeriggio è orientato verso l’affondamento delle navi. E anch’io…»

De Courten: «Ma se il comandante della Flotta non se la sente di eseguire gli ordini, è autorizzato a lasciare il comando, è un modo per risolvere i suoi problemi di coscienza».

Bergamini: Non ci sono precedenti di un comandante che abbandona i propri marinai nel momento del pericolo. Questo è un invito che devo respingere».

De Courten: «Il dovere più grave è quello di adempiere a qualunque costo le condizioni di armistizio perché questo sacrificio potrà portare in avvenire grande giovamento al Paese. La Flotta deve assolutamente lasciare La Spezia. Occorre sottrarre le navi al pericolo di un attacco da parte dei tedeschi e gli equipaggi dall’influenza dell’ambiente terrestre, occorre anche evitare le ripercussioni di eventuali discussioni fra marinai, ufficiali e comandanti. Ripeto che la decisione di accettare l’armistizio è stata presa dal re – con il quale ho parlato un’ora fa – che è stato confortato dal parere del grande ammiraglio Thaon di Revel. «Secondo le clausole dell’armistizio, ripeto, le navi non devono ammainare la bandiera né saranno cedute. Devono solo trasferirsi a Malta, poi si vedrà. Tuttavia Ambrosio, il capo di Stato Maggiore generale, mi ha assicurato d’aver chiesto agli anglo-americani che la Flotta per motivi tecnici possa trasferirsi alla Maddalena. Quindi intanto esci dalla Spezia, come avevamo del resto concordato ieri. E fino a questo punto mi pare che non ci siano novità e difficoltà. Poi, una volta in mare, la Flotta riceverà altri ordini con la speranza che nel frattempo gli alleati accolgano la variante della Maddalena al posto di Malta. Alla Maddalena tutto è pronto per l’ormeggio delle navi. Capisco, è un brutto momento, ma tutti dobbiamo fare il proprio dovere. Tutti dobbiamo far qualcosa».

Bergamini: «D’accordo. Esco stanotte con tutte le navi e mi dirigo alla Maddalena in attesa di nuovi ordini».

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Dunque, Bergamini, la sera stessa, dopo aver radunato i propri Ufficiali e commentato quanto era accaduto, diede disposizione di muovere l’indomani per La Maddalena. In realtà il 9 settembre le unità partirono dal porto di La Spezia senza inalberare i segnali previsti dalle clausole dell’armistizio. Durante il tragitto verso Capo Corso, si congiunsero alla formazione italiana, tre incrociatori e quattro torpediniere provenienti da Genova. La squadra navale procedette verso la costa sarda, e appena giunse all’altezza di Punta dello Scorno (l’estremità settentrionale del Golfo dell’Asinara), mosse verso le Bocche di Bonifacio, indi, si predispose per avviarsi verso la base militare della Maddalena.

Corazzata Roma

Durante la navigazione la squadra fu messa in allerta per ben tre volte, però a bordo delle navi le disposizioni erano chiare: reagire solamente se il convoglio italiano fosse stato attaccato.

In queste difficili circostanze e senza la dovuta scorta aerea, le Forze Navali da Battaglia proseguirono in direzione del Golfo della Maddalena, seguendo una navigazione specifica in mare aperto allo scopo di rendere più difficile la mira degli aerei nemici. Tuttavia, durante la traversata, Bergamini ricevette da Supermarina un contrordine. In realtà La Maddalena era stata occupata dai tedeschi, pertanto, l’ordine fu preciso: cambiare rotta e dirigersi a Bona (oggi Annaba in Algeria).

Per i tedeschi, l’inversione di rotta della flotta italiana nelle acque antistanti La Maddalena, fu il segnale esplicito per attaccare la formazione, al fine di impedire che le navi cadessero nelle mani alleate. Per lo svolgimento di tale compito fu incaricata la 2a Divisione Aerea (2a Fliegerdivision), al comando del generale Johannes Fink (1895 – 1981). La 2a Fliegerdivision era alla dipendenza diretta del generale Hugo Sperrle (1885 – 1953), comandante della 3a Luftflotte dislocata in Francia.

«Il compito di attacco fu assegnato ad un reparto di nuova costituzione, ossia al 100° Stormo bombardamento (KG.100) “Wiking” che, comandato dal maggiore pilota Fritz Auffhammer, era stato messo alle dipendenze temporanee del Comando della 2a Luftflotte. Il 100° Stormo Bombardamento aveva disponibili per il pronto impiego il 2° e il 3° Gruppo (II. E III./KG.100), rispettivamente dislocati, fin dal 12 luglio 1943, sugli aeroporti provenzali di Cognac e Istres. Essi erano agli ordini del capitano Franz Hollweck e del maggiore Bernhard Jope, ed erano equipaggiati con i nuovi bombardieri in quota “Do.217 E2/R 10”, che trasportavano, fissate sotto le ali, speciali bombe perforanti, con propulsione a razzo e radiocomandate del tipo “Hs.293”, e a caduta libera, con possibilità di modifica nella traiettoria, del tipo “PC.1400X”, costruite appositamente per la lotta contro obiettivi navali». (Cfr. “La flotta e l’armistizio. L’armistizio dell’8 settembre 1943 e il dramma delle forze navali da battaglia” di Francesco Mattesini).

Quindi, l’ordine esecutivo raggiunse il Terzo Gruppo della Kampfgeschwader 100 di stanza a Istres (Marsiglia). Da lì decollarono i quindici Bimotori Dornier al comando del maggiore Bernhard Jope (1914 – 1995), che dopo circa un’ora di volo raggiunsero la flotta italiana nell’alto Tirreno. Gli aerei tedeschi sorvolarono il convoglio navale con ampi giri, onde studiarne il piano di attacco. Poi Jope ordinò ai bombardieri di puntare sui rispettivi obiettivi.

Ricostruzione grafica del drammatico affondamento della Corazzata Roma. Da Corazzata Roma, Gruppo Facebook

La prima bomba colpì la nave da battaglia “Italia” immobilizzandola, poi venne il turno della corazzata-ammiraglia “Roma”, che fu colpita da due bombe, l’ultima, fu quella fatale. Infatti, il secondo ordigno centrò i depositi prodieri delle munizioni posti accanto alla gigantesca torre soprelevata che conteneva i pezzi da 381, facendola deflagrare. Centinaia di uomini morirono all’istante investiti dal calore rovente, seguirono altre esplosioni e si alzò una colonna di fumo alta 1500 metri. Poi, la nave si capovolse e lo scafo si spaccò in due tronconi inabissandosi con 1393 uomini: marinai e ufficiali, compreso l’ammiraglio Bergamini, il comandante Adone Del Cima (1898 – 1943) e gran parte del suo Stato Maggiore.

Tra quegli uomini sprofondati nell’abisso, c’erano anche due termitani, il cannoniere Agostino Balsamo (08/10/1921) e il marinaio Cusmano Ignazio (18/10/1921), entrambi nati a Termini Imerese (PA) e ambedue dichiarati dispersi il 9 settembre 1943 (1).

I superstiti della Roma furono trasportati nell’ospedale di Port Mahon nelle Baleari, in Spagna, mentre il comando della Flotta venne assunto dall’ammiraglio Romeo Oliva (1889 – 1975). Il 10 settembre 1943 l’armata navale italiana raggiunse Malta e si consegnò formalmente all’ammiraglio inglese Andrew Browne Cunningham (1883 – 1963), da quel giorno terminava la grande e meravigliosa epopea della Regia Marina.

Il comandante della corazzata Roma Adone Del Cima

Nel 1973 il giornalista Mario Lombardo, redattore del periodico “Storia Illustrata”, sempre sullo stesso numero, di settembre, realizzò l’intervista al comandante del 100° Stormo tedesco, l’articolo si intitolava: “IL MAGGIORE JOPE RACCONTA – affondare la Roma? Niente di speciale”. Io dopo averlo letto credo utile cosa riportare su questa testata giornalistica quell’inedita intervista.

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Abbiamo rintracciato in Germania il protagonista dell’episodio. Ha 59 anni, vive a Maibach, di professione è pilota civile. Quando bombardò la Flotta italiana comandava il terzo Gruppo del 100° stormo della Luftwaffe.

D.: Come e da chi fu comunicato l’ordine di bombardare le navi italiane?

Jope: Il 6 o 7 settembre 1943 fui chiamato al Comando di gruppo, e il comandante, che credo fosse il generale Richtofen, mi ordinò di preparare l’azione contro la Flotta Italiana, dandomi tutte le istruzioni del caso. Fu però soltanto due ore prima dell’attacco che, come comandante di gruppo, ricevetti l’ordine di levarmi in volo, e con me gli aerei del gruppo che comandavo.

D.: Che cosa sapeva della bomba fx 1400? l’aveva già usata nel corso di altri bombardamenti?

Jope: Della bomba, che dalle iniziali del suo nome in codice avevamo soprannominata Fritz, conoscevamo soltanto gli effetti teorici e il metodo di puntamento radioguidato mediante un piccolo congegno sistemato nella coda dell’ordigno, che serviva a dirigere la bomba stessa fino al bersaglio, con una certa approssimazione. L’FX 1400 era un’arma segreta, che prima era stata sperimentata in Germania, e che veniva usata per la prima volta contro un nemico proprio in occasione del bombardamento della Flotta Italiana. Il gruppo di aerei che comandavo era il solo ad esserne armato. A Istres-Marsiglia c’era un altro gruppo di bombardieri che aveva in dotazione un’altra arma segreta, una bomba razzo radioguidata chiamata Henschel 293, ma l’FX 1400 era in dotazione solo agli aerei del mio gruppo.

D.: Perché proprio lei con il suo gruppo foste prescelti per quella missione? C’era qualche motivo particolare?

Jope: Date le caratteristiche del bersaglio, navi da guerra pesantemente corazzate, il comando della Luftwaffe ritenne che solo con l’FX 1400 si avesse buone possibilità di fare centro. Fu scelto il mio gruppo perché era il solo armato con quel tipo di bomba, che doveva essere sganciato da grande altezza. Avrebbe potuto toccare a qualsiasi altro comandante di gruppo, se si fosse trattato di una azione normale, ma in quel caso specifico l’ordine fu invece dato a noi.

D.: Che tipo di aerei c’erano, nel suo gruppo, e quanti?

Jope: Erano bimotori Dornier del tipo 217 k2. A Istres-Marsiglia ogni gruppo era composto da 80-100 aerei, ma all’azione contro la Flotta Italiana, ai miei ordini, non parteciparono che 10-12 aerei in tutto.

D.: Riteneva possibile incontrare aerei italiani a difesa delle navi da guerra?

Jope: Era forse possibile che ci fossero aerei italiani, ma nessuno mi aveva detto nulla in proposito, e personalmente non lo ritenevo probabile.

D.: Ricorda come si svolse l’azione quando furono avvistate le navi, e che cosa fecero gli aerei del gruppo durante l’attacco?

Jope: Ricordo benissimo l’insieme delle navi 4-5 da battaglia, e intorno le altre più piccole, un convoglio di 20-25 navi in tutto. Venivamo da est, volavamo da circa un ora e mezza. Erano le prime ore del pomeriggio quando avvistammo la squadra, e quando fummo sicuri che si trattava proprio della Flotta Italiana ciascuno di noi si preparò a fare quello che gli era stato ordinato. Con tutti gli aerei a poca distanza gli uni dagli altri, sorvolammo l’obbiettivo e cercammo una buona posizione di attacco. Ciascun pilota scelse il proprio bersaglio, ma come avevamo fatto per tutto il volo senza usare troppo le comunicazioni radio, perché altrimenti il nemico, gli italiani dico, avrebbero potuto intercettarle, e sarebbe mancata la sorpresa. Poi il primo che avrebbe iniziato il bombardamento comunicò agli altri che iniziava il bombardamento, e ciascun aereo incominciò a sganciare le bombe, cercando poi di dirigerle con la radioguida sul bersaglio prescelto.

D.: Temeva che qualcuno degli aerei del gruppo potesse essere colpito dalle artiglierie delle navi italiane?

Jope: No. Non conoscevo i calibri della contraerea italiana, ma sapevo che potevano sparare a una distanza di circa 4.000 metri. E il mio aereo, e quelli del mio gruppo, volavano a circa 5.000 metri perché quella era l’altitudine ottimale per poter dirigere via radio la bomba. Quindi avevamo un buon margine di sicurezza. Ricordo di aver visto molti proiettili esplodere al di sotto di noi, ma sempre a una notevole distanza, e naturalmente senza procurarci alcun danno.

D.: Riteneva legittimo il bombardamento?

Jope: Era una normale azione di guerra, non credo di essermi mai posto il problema se fosse giusto o meno. D’altra parte gli italiani erano diventati nostri nemici, e avevamo ricevuto l’ordine di bombardarli. Non c’era nient’altro da fare.

D.: Fu la bomba sganciata dal suo aereo a colpire la Roma o l’Italia?

Jope: No, non sono stato io. Furono altri due piloti del mio gruppo, dei quali adesso non ricordo neppure il nome.

D.: Sapeva che molti uomini sarebbero morti per causa sua, o a causa delle bombe lanciate dagli aerei del suo gruppo. Che cosa ne pensava?

Stemmi e insegne della Luftwaffe, Terzo Gruppo della Kampfgeschwader 100

Jope: Non mi sono mai posto il problema, e credo neanche gli altri piloti. Era un azione di bombardamento, con un bersaglio speciale, per il quale eravamo stati prescelti proprio perché i nostri aerei erano armati di bombe speciali, adatte allo scopo tutto qui.

D.: Che cosa vide, dopo aver sganciato la bomba?

Jope: Non ci accorgemmo subito di aver colpito le due navi italiane. Non potevamo rimanere sul posto molto tempo, né potevamo vedere con esattezza quanto succedeva, data l’altezza a cui volavamo. Dovevamo ritornare immediatamente a Istres-Marsiglia, e poi ciascuno di noi aveva l’impressione d’avere colpito il proprio bersaglio.

D.: Era molto difficile, con i mezzi di puntamento in dotazione alla Luftwaffe, essere sicuri di avere centrato l’obbiettivo?

Jope: Dipendeva dall’altezza da cui era effettuato il bombardamento. E’ vero che avevamo in dotazione delle bombe speciali, un arma segreta che avrebbe dovuto essere radioguidata fino al bersaglio, ma era la prima volta che veniva impiegata in azione, e i risultati non furono quelli che ci eravamo aspettati.

D.: Che cosa fece al suo ritorno a Istres-Marsiglia, e quando seppe che aveva affondato la Roma?

Jope: Prima impiegammo un altra ora e mezza di volo per raggiungere la base, e immediatamente una parte degli aerei del gruppo ripartì per un altra azione di bombardamento sulla Flotta Italiana. Non c’ero più io, con questo secondo gruppo, io partecipai soltanto al primo bombardamento. Non mi pare di ricordare che ci fosse uno speciale nome in codice per l’azione, e non ricordo nemmeno il nome di chi guidava questo secondo gruppo di aerei. Quando anche i piloti di questo gruppo furono ritornati a Istres-Marsiglia dissero che dallo schieramento mancavano due navi, e così sapemmo che le avevamo colpite, ma senza sapere che navi fossero, e neppure senza essere sicuri di averle affondate.

D.: Quanti erano gli aerei del secondo gruppo, e che cosa ottennero con il loro bombardamento?

Jope: Mi pare che vi abbiano partecipato soltanto 5 aerei. I piloti sganciarono le loro bombe, una per ciascun aereo come tutti quelli del gruppo, ma non colpirono nessuna nave.

D.: Ha mai avuto contatti con i sopravissuti della Roma e dell’Italia?

Jope: No, mai. Né durante la guerra, né che al termine della guerra.

D.: Aveva già compiuto bombardamenti del genere?

Jope: Nel febbraio del 1940 avevo affondato una nave da trasporto inglese, di circa 42.000 tonnellate, senza naturalmente impiegare bombe come l’FX 1400. Quello fu il mio miglior successo personale, per il quale fui decorato con la croce di ferro di prima classe.

D.: E per l’affondamento della Roma ricevette un altra decorazione?

Jope: No. Ottenni la croce di ferro di seconda classe con le fronde di quercia verso la fine della guerra, nel 44, per i successi che avevo ottenuto personalmente e per tutti quelli conseguiti dal gruppo che comandavo. Per tutta la durata della guerra ho partecipato, con il grado di Maggiore, a circa 300 azioni di bombardamento contro il nemico.

D.: Ha ricevuto lettere di congratulazioni dai comandanti della Luftwaffe che si riferiscano al bombardamento della Roma, o documenti ufficiali che ne parlino?

Jope: No, non ho nulla,e non ricordo di averne mai ricevuto. Si era trattato di un azione del tutto normale, e come tale fu sempre considerata da tutti.

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Affondamento della corazzata Roma. Da Corazzata Roma, Gruppo Facebook

Per concludere, abbiamo chiesto allo Storico navale Virginio Trucco (2) di parlarci dell’affondamento della corazzata Roma, che insieme alle gemelle Vittorio Veneto e Italia (ex Littorio) furono le più grandi navi da battaglia che la Marina italiana abbia mai avuto.

«Il 7 settembre 1943, l’ammiraglio De Courten, capo di stato maggiore della Regia Marina, convocò a Roma l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante delle forze da battaglia. I servizi informazioni davano per prossimo uno sbarco anglo-americano sul territorio nazionale, probabilmente in Campania.

I due ammiragli all’oscuro della firma dell’armistizio programmarono l’uscita delle forze da battaglia per attaccare le forze nemiche nel delicato momento dello sbarco. Il giorno stesso Bergamini rientrò a Spezia per programmare con il suo stato maggiore la missione, missione difficile da realizzare vista la superiorità aerea nemica.

L’8 settembre alle ore 10.00 venne ordinato a tutte le navi che si trovavano a Spezia di prepararsi a muovere. Alle 18.00 il Re e Badoglio informarono i capi di stato maggiore della firma dell’armistizio e delle relative clausole, alle 18.30 gli anglo-americani diffusero radiofonicamente l’annuncio dell’armistizio, seguito alle 19.30 dalla conferma del maresciallo Badoglio.

La corazzata Italia (ex Littorio) in primo piano e il Roma fotografate dal Vittorio Veneto. Mar Ligure, tardo pomeriggio del 26 agosto 1943

Bergamini contattò immediatamente De Courten per telefono, presentando le proprie rimostranze per il mancato avviso, chiedendo la sua sostituzione, comunicò inoltre che sia lui che tutti gli ufficiali comandanti erano decisi ad autoaffondare le navi.

De Courten lo informò dello scarso preavviso dato anche a lui e cercò di calmarlo, inoltre lo portò a conoscenza che secondo le clausole, la flotta doveva dirigere verso un porto sotto controllo alleato, probabilmente quello di Bona, Bergamini non voleva accettare le clausole, ma De Courten lo richiamò al dovere, dichiarando che l’autoaffondamento delle navi avrebbe prodotto gravi conseguenze per la Nazione, ricordò che l’ordine proveniva direttamente dal Re e che lui personalmente si era consultato con il Grande Ammiraglio Thaon di Revel, che si trovava d’accordo con l’obbedienza alle clausole dell’armistizio. Infine, gli ricordò che le navi non avrebbero ammainato la Bandiera e non era previsto la consegna all’ex nemico.

Alla fine accettò di eseguire gli ordini, preparò il suo discorso per gli ufficiali e marinai, ordinò di sbarcare gli ufficiali di collegamento tedeschi e di prendere misure atte ad evitare colpi di mano tedeschi per impadronirsi delle navi. Diversamente che nelle caserme in quelle ore tutti gli ufficiali rimasero al posto, così che i marinai stringendosi intorno alla catena di comando si prepararono agli eventi.

Insegna di ammiraglio di squadra

Alle 03.00 la squadra navale lasciò Spezia. La formazione comprendeva: le corazzate Roma, Vittorio Veneto e Italia (ex Littorio); gli incrociatori Montecuccoli, Eugenio di Savoia e Attilio Regolo; i cacciatorpediniere Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere, Velite, Legionario, Oriani, Artigliere e Grecale; le torpediniere Pegaso, Orsa, Orione, Ardimentoso e Impetuoso, le navi non atte a prendere il mare furono pesantemente sabotate dagli equipaggi. Dopo circa tre ore si congiunse alla formazione la VIII Divisione proveniente da Genova formata dagli incrociatori Garibaldi, Duca d’Aosta e Duca degli Abruzzi preceduti dalla torpediniera Libra.

Nessuna delle 23 unità della formazione aveva issato i segnali previsti dall’armistizio (un pennello nero sull’albero di Maestra e due cerchi neri dipinti sul ponte, uno a prua ed uno a poppa), la formazione dopo aver doppiato Capo Corso, prese rotta Sud tenendosi a circa 20 mg dalla Corsica, l’intenzione di Bergamini era di raggiungere la base di La Maddalena e lì attendere un chiarimento della situazione, durante la navigazione verso sud la formazione venne sorvolata da due ricognitori inglesi la prima volta alle 09.45, la seconda alle 10.30, nonostante tutti fossero ai posti di combattimento nel rispetto degli ordini ricevuti nessuno aprì il fuoco.

Emblema della Regia Marina

Alle ore 10.56 fu avvistato un terzo aereo che si mantenne lontano dalla formazione non permettendone il riconoscimento ma probabilmente tedesco, giunta all’altezza delle Bocche di Bonifacio la flotta prese rotta Est, per dirigere su La Maddalena, mentre stava per imboccare il punto più stretto, Bergamini venne informato da Supermarina che i tedeschi avevano occupato la base ed attendevano l’arrivo delle navi per catturarle. L’ammiraglio trovandosi ad alta velocità in acque ristrette, per di più fra i campi minati, ordinò un’ accostata ad un tempo di 180°, cosa che tutta la flotta effettuò perfettamente.

Ora, però, la formazione era invertita, con le corazzate in coda ed il naviglio minore in testa. All’uscita delle Bocche, Bergamini ordinò una riduzione di velocità a 19 nodi per riprendere la formazione. Intanto dall’aeroporto di Istres erano decollati 28 bimotori Dornier DO217K della Luftwaffe, questi aerei erano armati con le nuove bombe razzo teleguidate Ruhrstahl SD1400X conosciute come Fritz X.

Regia Marina. Bandiera nazionale delle navi da guerra

Le bombe per avere maggiore effetto perforante dovevano essere da una quota non inferiore ai 5000m, la bomba montava un radio comando che permetteva al puntatore di dirigerla sul bersaglio con un rudimentale joystick la squadriglia era stata addestrata all’uso delle bombe su simulacri nella base di Peenemünde.

Gli aerei della prima ondata avvistarono le navi verso le 15.30 e si portarono all’attacco, dato che gli aerei sorpassarono l’angolo di lancio senza sganciare bombe, nessuna delle navi della formazione aprì il fuoco, quando furono quasi sulla perpendicolare delle navi fu vista una fiammata staccarsi dall’aereo, si pensò ad un razzo da segnalazione, ma appena si riconobbe che era una bomba tutte le navi aprirono il fuoco, ma dovendo sparare alla massima elevazione il tiro non risultò preciso.

La prima bomba cadde a 50m dall’Eugenio di Savoia, una seconda vicinissima alla poppa dell’Italia causando un temporaneo black-out che costrinse a passare alla stazione ausiliaria di governo. Alle 15.42 una prima bomba cadde fra le torri antiaeree da 90mm del Roma attraversò lo scafo ed esplose in mare provocando un allagamento, ma nessun grave danno, alle 15.50 una seconda bomba cadde a sinistra fra il torrione di comando e la torretta da 152mm, penetrò lo scafo e raggiunse il deposito munizioni della torre N°2 da 381 l’esplosione scardinò la torre scagliandola in aria.

La vampata che salì a più di 500m investì il torrione di comando deformandolo, gli occupanti e buona parte dell’equipaggio morirono quasi istantaneamente.

Alle 16.11 la nave si capovolse e spezzandosi in due tronconi affondò. 1352 uomini dell’equipaggio persero la vita solo 622 si salvarono grazie al tempestivo intervento dei cacciatorpediniere Mitragliere, Carabiniere, Fuciliere e dell’incrociatore Attilio Regolo che senza attendere ordini invertirono la rotta e si portarono sul luogo dell’affondamento seguiti dalle torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso, il recupero dei naufraghi si concluse intorno alle 18.00.

Dopo l’affondamento, l’ammiraglio Oliva, il più anziano degli ammiragli, prese il comando e informò Supermarina dell’accaduto e ricevette l’ordine di dirigere su Malta. Alle 18.00 il Capitano di vascello Giuseppe Mariani comandante del Mitragliere avendo perso il contatto con la formazione principale, essendo il comandante più anziano decise di dirigere su Livorno per sbarcare i feriti gravi del Roma, durante la navigazione intercettò i messaggi di Supermarina che sconsigliavano di avvicinarsi ai porti italiani.

Ammiraglio Romeo Oliva

Mariani viste le gravi condizioni dei feriti e la scarsità di carburante decise di dirigere sulle isole Baleari, pensando che la Spagna, stato neutrale, avrebbe consentito lo sbarco dei feriti e rifornito le navi senza internarle (cosa che non accadde), quindi fece rotta su Port-Mahon nell’isola di Minorca dove giunse alle ore 09.00 del 10 settembre, durante la navigazione morirono a bordo 9 marinai recuperati ed altri 16 decedettero nell’ospedale di Mahon.

Il 17 giugno dal 2012 l’ingegnere Guido Gay con l’ausilio del ROV Plutopalla da lui concepito e costruito, individuò il relitto del Roma nelle acque di Castelsardo (Golfo dell’Asinara) a 16 mg dalla costa ad una profondità di più di 1000m spezzato in 4 tronconi. Personale della Marina Militare confermò il ritrovamento il 28 giugno del 2012 in quell’occasione tramite il Rov è stata posta una targa commemorativa sul relitto».

(1) Banca Dati dei Caduti e Dispersi 2ª guerra Mondiale – www.difesa.it

(2) Virginio Trucco è nato a Roma, ha frequentato l’Istituto Tecnico Nautico “Marcantonio Colonna”, conseguendo il Diploma di Aspirante al comando di navi della Marina Mercantile. Nel 1979,frequenta il corso AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) presso l’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio come Ufficiale dal 1979 al 1981. Già dipendente di Trenitalia S.p.A. lo storico navale Virginio Trucco è membro dell’Associazione Culturale BETASOM (www.betasom.it).

 

Bibliografia, sitografia

www.marina.difesa.it

www.regianaveroma.org

wikipedia.org

www.sanfelicecirceo.info

Angelo Iachino: Tramonto di una grande Marina (Mondadori 1960)

Marc’Antonio Bragadin: Il dramma della Marina italiana (Mondadori, 1968)

Alfred Price: Luftwaffe (Ballantines, New York, 1970)

Santi Corvaja, L’agonia della Roma, Storia illustrata, n°190, settembre, pp. 52-61, 1973

Mario Lombardo, Affondare la Roma? Niente di speciale, Storia illustrata, n°190, settembre, pp. 62-64, 1973

Di Giuliano Marenco “Le navi da guerra italiane internate alle Baleari dopo l’8 settembre” Lampi di stampa, 2009

Giuseppe Longo “La Campagna d’Italia 1943: dall’Operazione Husky all’Operazione Achse”, MadonieLive, 2013

Francesco Mattesini, “La flotta e l’armistizio. L’armistizio dell’8 settembre 1943 e il dramma delle forze navali da battaglia”, Collana Sism, 2015

Alessandro Bellomo, “Bombe su Palermo: Cronaca degli attacchi aerei 1940-1943” Soldiershop Publishing, 2016

Ugo Gerini, “Corazzata Roma – Una storia per immagini”, Luglio Editore, 2017

Si ringrazia Aldo Bacino (conoscitore della storia di Termini Imerese), per averci segnalato i nomi dei due marinai termitani imbarcati sulla Regia nave Roma.

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

 

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