Alcune credenze sui sogni, come accade per altri temi della cultura psicologica, sono erronee e denotano stereotipi che offuscano le numerose teorie evolutesi nel tempo nonché i riscontri tratti dalle esperienze.
Ad es. molte persone sono convinte di non sognare mai; in realtà tutti sogniamo e sempre, solo non riusciamo a ricordare i nostri sogni. Essi infatti vengono prodotti durante le fasi del sonno dette REM (Rapid Eye Movement), che segnano un’alternanza con le fasi non-REM in cui non si sogna e che occupano la parte più cospicua del sonno. Risvegliarsi durante una fase REM rende possibile il ricordo del sogno che invece si perde, se ci svegliamo durante una fase di sonno non-REM; inoltre, pare che la presenza dei sogni durante il sonno, abbia una funzione migliorativa rispetto alla qualità del nostro riposo.
Al di là di questo accenno alla neurofisiologia, scientifico e affascinante, il cliché su cui voglio soffermarmi si riferisce al modo di interpretare i sogni; l’idea dominante è quella di “consegnare” il proprio sogno all’altro, quasi fosse un “pacchetto da aprire” con l’implicita richiesta o aspettativa che ne possa scoprire il significato. Tale atteggiamento ereditato dall’abusato concetto di “analisi” delle teorie freudiane, sostanzia un’idea di “passività” dell’individuo non più credibile né presente nei moderni orientamenti psicoterapeutici; noi della Gestalt lavoriamo sui sogni come “esperienza”, così essi vengono “rivissuti” in seduta e l’interpretazione non è fornita dallo psicoterapeuta, come fosse detentore di verità assolute, ma si co-costruisce con la partecipazione e il coinvolgimento del sognatore.
Noto spesso e non solo nei miei pazienti, che le più frequenti domande sui sogni, sono: «perché ho fatto questo sogno? Da dove mi è venuto? Che senso può avere?», quesiti che legittimano il bisogno di chiarezza e di rassicurazione, laddove il sogno sorprende o impaurisce per le sue incongruenze e stravaganze.
Il sogno può avere poco o nulla a che fare con il buon senso, eppure proprio per questo credo che rappresenti quella quota di assurdità, di eccesso, di imprudenza e al contempo di evasione che l’individuo si consente di sperimentare. Come diceva Foucault «Se nel sonno la coscienza si addormenta, nel sogno l’esistenza si sveglia», suggestiva espressione che ricondotta all’ambito psicologico, fa intravedere come nel processo onirico si compongano temi, vissuti, emozioni di un mondo interiore, cui difficilmente accederemmo se non ci fosse il sogno; forse allora, siamo più “svegli” proprio quando dormiamo, perché siamo senza filtri, senza censure e senza correzioni.
Importante è non solo comprendere il sogno, quanto riconoscere, accettare con responsabilità e integrare alla propria personalità (F. Perls, 1969), quelle parti di sé che il sogno svela, tanto autentiche e vere quanto forse altrimenti insondabili.