Lettera del Vescovo: In viaggio verso Betlemme

Carissimi,
la mappa del navigatore che guida il nostro cammino verso il santo Natale ci conduce anche quest’anno a Betlemme. La raggiungiamo insieme: lo facciamo percorrendo le pagine del Vangelo dove le vie sono quasi sempre in salita. Come Giuseppe, anche noi sentiamoci invitati dalla voce di Dio e dalla voce della storia a uscire dalla nostra città, dal nostro nido, dal nostro io.
Il carpentiere di Nazaret lascia la Galilea per “salire” in Giudea: lo fa insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Entrambi obbediscono prontamente al decreto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutta la terra. Giuseppe e Maria ci insegnano così che le vie della fede devono attraversare quelle della storia. La Parola di Dio ci “consegna” questi due sposi anche come cittadini del mondo. Restano l’icona della storia della salvezza che si incarna nella storia del tempo, quella impastata e cementata dai secondi, minuti, ore, mesi, anni, secoli, millenni. Quella al cui censimento che, utilizza l’invisibile registro della misericordia di Dio, non sfugge nessun uomo di ogni tempo e di ogni angolo della terra.
Maria e Giuseppe nel dirigersi verso Betlemme speravano nel silenzio dei loro cuori di vivere l’esperienza dell’accoglienza, di una fraternità aperta; lo avranno desiderato ardentemente soprattutto quando si è compiuta l’ora del parto.
Desiderio che, l’Evangelista Luca in un versetto del suo Vangelo, prontamente registra soffocato tra le onde delle violente acque di una disumana e inaccettabile verità: «Per loro non c’era posto nell’alloggio».
Maria è costretta a dare alla luce il suo figlio primogenito ai piedi di una mangiatoia: ad avvolgerlo e a custodirlo subito tra le fasce della sua maternità e della paternità di Dio, della quale Giuseppe ne è il magnifico custode.
Il Verbo fatto carne “sbarca” in una mangiatoia. Come tutti quei figli di Dio che sbarcano ogni giorno sui “fazzoletti” di spiaggia dei nostri mari. Spesso però senza qualcuno che tempestivamente apra le mani e avvolga e riscaldi i loro corpi infreddoliti con le bende dell’accoglienza.
A Betlemme, Maria e Giuseppe con la nascita di Gesù, creano il primo “hub vaccinale” della storia. Non sappiamo bene se in una stalla o in una grotta: l’hanno allestita per fronteggiare le numerose pandemie che uccidono tanti nostri fratelli. Molti di noi, purtroppo, siamo stati contagiati dalla pericolosissima variante dello scarto che chiude le porte all’accoglienza del fratello, di ogni nostro fratello.
Intanto, è già partita l’inarrestabile alluvione mediale di auguri: ci distrae e ci è di intralcio nel nostro andare verso Betlemme: è simile alla pioggia battente di questi mesi.
I nostri telefonini iniziano ad ospitare un assembramento di musiche e suoni, di immagini, di colori, gif ed emoticon.
Una festosa movida virtuale natalizia di messaggi da leggere, di link da aprire. Fatta di presepi, alberi, luminarie, tavole imbandite con piatti fumanti e dolci appena sfornati. Il tutto incapsulato, o meglio, infiocchettato col nastro dorato del presente.
Il Natale pare confondersi con una ordinata raccolta di cortometraggi che immortalano il nostro io.
Siamo tanto distanti da Betlemme. Da quel Natale vero che vogliamo celebrare.
I nostri social hanno favorito un oceanico distanziamento sociale con la “Casa del pane”.
Dobbiamo ritornare a riabitarla per imparare, contemplando il volto di Maria, Giuseppe e del Bambino, a riscaldare la vita col fuoco delle relazioni. Comprendiamo, pertanto, che dobbiamo spegnerli, almeno nell’ultima parte di questo percorso.
Ci stiamo dirigendo verso “la mangiatoia della vita” perché bisognosi di relazioni e non di contatti; abbiamo fame di relazioni. Vogliamo dare una battuta d’arresto al collezionismo sterminato dei nostri gruppi whatsApp, al tempo e alla trappola della clausura digitale, al tempo della socializzazione leggera, flessibile.
Il muoverci verso Betlemme deve spingerci ad aprire il cantiere di una attiva e visibile dinamica fiduciaria: le nostre relazioni trovino nel dialogo il loro cemento.
Siamo arrivati nel cuore della notte. Maria e Giuseppe ci accolgono e ci narrano in mezzo al “Silenzio” il valore prezioso e insostituibile della cura educativa.
La tenerezza irenica del Bambino ci addita il bisogno di una Chiesa che si riveli prima di tutto come casa e che si proponga in termini educativi, affettivi, intimi.
I genitori di Gesù restano il simbolo dell’eccellenza degli educatori.
È il loro amore a trafiggere i cuori di quanti si fermano a guardarli. Siamo rapiti dal loro amore; presi come i pastori da grande timore.
Nella mia memoria si riscrive d’improvviso una frase di Romano Guardini: «L’adesione alla fede avviene per conoscenza affettiva». Avviene nella storia. Dai nostri “eterni” educatori dei cuori ci giunge un sofferto richiamo.
L’assenza della storia proibisce ai giovani di “respirare” la chiesa. Di respirare l’aria di Betlemme. Come ha affermato Don Armando Matteo: «I nostri giovani non sono una generazione senza Dio e senza la Chiesa, ma una generazione che non conosce Dio e la chiesa». Non conoscono Betlemme. Il nostro viaggio è giunto al termine. Ci congediamo con l’impegno di essere educatori dei cuori, ognuno nella propria Betlemme.
Auguri di un Santo Natale!
✠ Giuseppe Marciante
Vescovo di Cefalù

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