Termini Imerese vanta innumerevoli siti d’interesse storico e artistico, ma soprattutto si onora di aver dato i natali a personaggi illustri del Risorgimento italiano. Abbiamo chiesto al Generale Mario Piraino, storico termitano, se ancora oggi, Termini Imerese può rilanciare le sue attrazioni turistiche puntando sulle proprie radici storiche, e soprattutto nelle vicende del proprio Risorgimento.
«Innanzitutto, devo chiarire, che io non mi ritengo e/o definisco uno storico. A Termini Imerese il vocabolo è molto inflazionato, tra storici autoproclamati e sprovveduti praticanti “tuttologi” delle antichità e belle arti. Io preferisco essere, semplicemente, un termitano che non rinnega le sue origini e che, certamente ha il difetto di amare la Città nella quale sono orgoglioso di essere nato. La gloriosa storia di Termini non si può certo cancellare, ma, a giudicare di quello che ancora oggi si legge sul web, e precisamente nel sito istituzionale del Comune di Termini Imerese, indubbiamente bisognerebbe riscriverla. Mi spiego, di recente un ignoto e improvvisato storico, nella grossolana e maldestra trattazione del periodo borbonico, e quindi del fantastico Risorgimento termitano, non fa nessun cenno dei termitani illustri che tanto hanno fatto e dato alla Patria, come: Paolo Balsamo, Nicolò Palmeri, Gregorio Ugdulena, Calcedonio Geraci, Rosario Salvo, Liborio Arrigo, Agostino Quattrocchi, Enrico Jannelli, Vincenzo Caruso, Antonio Battaglia, Giacinto Lo Faso, Giovanni Marsala, Mariano Giuffré, Salvatore Pirrone, Stefano Sceusa, Girolamo Enrile, Salvatore Cardosi, Francesco Dominici Longo, Giuseppe Coppola, Rosario Salvo, Bernardino Milon, e non ultimo gli ottocento volontari che combatterono nella liberazione di Palermo e di tanti altri giovani, tra cui gli studenti del Liceo, che si sono distinti nel periodo risorgimentale.
Sempre lo stesso pseudo storico, oltre a questa “dimenticanza”, ha scritto inoltre, e con dovizia di particolari che, il 5 giugno 1860: “Termini venne attaccata per mare e dal Castello. I Termitani fronteggiarono con eroismo i Borbone che furono costretti ad abbandonare il Castello e si imbarcarono sulla fregata Archimede, ma, prima di allontanarsi, fecero saltare le polveriere distruggendo una delle più antiche e munite fortezze della Sicilia”. Ma è proprio vero che i borbonici (e non i Borbone), che furono costretti ad abbandonare il Castello, sotto la spinta delle forze rivoluzionarie garibaldine, fecero saltare le polveriere distruggendo una delle più antiche e munite fortezze della Sicilia? Certamente no! Basterebbe fare una veloce “capatina” alla Biblioteca Liciniana e chiedere di consultare il libro: “Rapidi cenni, i documenti storici, della Rivoluzione del 1860 riguardante la Città di Termini, estratti dagli atti di quel Comitato Distrettuale”, edito dalla Stamperia di G. B. Lorsnaider – Palermo, 1861, (112 pagine), (ne esistono due copie), e leggere, iniziando da pag. 87, la corrispondenza per la consegna del Forte, intercorsa tra il Barone Enrico Jannelli e il Dottor Liborio Arrigo da una parte, e il borbonico Tenente Colonnello Carlo Flores, Comandante della Real Fregata a Vapore “Archimede”, per capire e scrivere come andarono realmente le cose».
Allora signor Generale, può dirci lei come andarono i fatti?
«La vera storia della fine infausta del Castello, si può leggere a pagina 91 dello stesso libro, in sintesi, furono i termitani a smantellarlo, pietra dopo pietra, nel timore del ritorno della tirannide borbonica, com’era avvenuto in passato: “all’alba del giorno 5 andante la forza nazionale si spiazzava tutta sparsa in tutti i punti della Città e della spiaggia ad impedire le scorrerie dei borbonici, se mai ne venisse loro la voglia. Eglino però sul far dell’alba cominciarono a gettare dagli spalti delle batterie già sfornite di cannoni, ogni sorta di viveri, munizioni da guerra, fucili contorti, masserizie, per averne in cambio qualche mazzo di sicari dalla plebaglia che colà stava a curiosare. ll Comitato, mandava a bordo della fregata, tutti gli oggetti e la roba che s’apparteneva agli ex Sotto intendente ed Ispettore inviando loro ben anco i ritratti degli ex reali consorti borbonici. Era il meriggio e le chiavi non comparivano, si videro negli spalti i carcerati. Il popolo si slanciò di repente sull’opere avanzate cominciò una baruffa pei fucili contorti e spezzati, lasciati colà a bella posta per far nascere un cittadino conflitto, restarono però delusi perché nulla accadde di sinistro. Il Comitato mandava il Dr. Quattrocchi a mettere la tricolore bandiera su quell’albero stesso dove momenti prima sventolava la napoletana. Allora le campane suonarono a stormo ed i musicali strumenti salutarono in mezzo alle fragorose evviva il sospirato vessillo tricolore. La Fregata non era partita e nel Castello tutto fu messo in soqquadro”. Se poi si vuole approfondire l’argomento, si può consultare un dettagliato resoconto scritto da Michele Amari a pagina 172 della Rivista sicula di scienze, letteratura e arti Volume Primo Fascicolo tre, anno 1869 – Stampata a Palermo da Luigi Pedone Laurini.
In tale resoconto si legge: “Garibaldi vincea per ogni luogo, il popolo di Termini sollevato di maggio 1860, irrompe nel castello; ponea mano a smantellarlo. Generosi e colti cittadini, tra i quali posso nominare il barone Enrico Jannelli, accorsero allora al castello per salvare ciò che si potesse dalla distruzione. La mercé loro, tutte le pietre, comprese le due che si scoprirono nel demolire, furono tolte con diligenza e trasportate alla casa comunale; dove serbansi tuttavia, con altri pregevoli frammenti di antichità greche, romane e del medio evo. Io le studiai a mio bell’agio, andato apposta in Termini, nell’ottobre dello stesso anno 1860. Seppi allora dal Jannelli e da signori Ignazio de Michele e cancelliere Romano che, altre pietre con iscrizioni non si fossero trovale: e vidi insieme con quei gentili uomini gli avanzi, o piuttosto lo scheletro del castello, che tuttavia lavoravano ad abbattere, e in oggi non ne resta nulla”».
Generale, allora perché si continua a raccontare una storia diversa ed inesorabilmente non vera?
«Questo bisognerebbe chiederlo a chi, a suo tempo, l’ha scritto, e a chi, ancora oggi, continua ad avallare questa verità nel sito ufficiale del Comune di Termini Imerese. Forse, giocando con la fantasia più che con la storia, si potrebbe ipotizzare una motivazione, tutta da verificare: l’area di sedime dove sorgeva il Castello era demanio borbonico, tale proprietà demaniale, inalienabile, come tutti i beni dell’esercito borbonico, è transitata allo Stato italiano».
Generale, come si spiega la presenza di tutti questi insediamenti moderni, sorti dopo il 1860 a ridosso di quel che resta del Castello e delle sue mura?
«Per dare una risposta, forse, bisognerebbe effettuare un’approfondita ricerca tra le carte dell’archivio di Stato, prima che lo trasferiscano. Ma questa è un’altra storia!»
In questa situazione, secondo Lei, cosa bisogna fare?
«In questo scenario non certo edificante, ritengo utile rivolgere un appello al “nuovo” Sindaco di Termini Imerese, illustre primo cittadino, è vero: #ceancoradafare, ma perché non iniziare con il rivisitare la nostra storia antica e recente, in chiave di promozione delle attività turistiche? Ovviamente, questo deve essere fatto con un’intelligente promozione dell’attività mediatica. Ci sono fior di uomini e donne di buona volontà e di provata esperienza, che amano la Città, e che sono disposti a lavorare, per il bene della nostra Termini, e a eseguire, quello che alcuni funzionari comunali, pagati profumatamente con pubblici denari, non sono in grado o non vogliono fare! Tuttavia, voglio annunciare una buona notizia da poco comunicatami: la Soprintendenza ha autorizzato che l’esposizione delle armi di epoca risorgimentale, ospitata presso il Museo Civico “Baldassare Romano” sia permanente. E allora, ricordando le gesta dei nostri antenati, auspichiamo un #risorgimentotermitano».
Foto: per gentile concessione del Gen. Mario Piraino
Giuseppe Longo
@longoredazione