E’ noto che tra le nostre emozioni e il cibo vi sono rapporti biunivoci, per cui i nostri stati d’animo possono influenzare lo stimolo e la motivazione a mangiare o meno, così come alcuni alimenti possono incidere sulla qualità del nostro umore.
I rapporti tra cibo e psiche, le dinamiche che riguardano il nostro modo di approcciare gli alimenti e di nutrirci, non sempre si riferiscono ad aspetti patologici, potendo indicare piuttosto, una risposta dell’individuo a certi eventi della sua vita; allora è possibile che in alcune circostanze, il nostro appetito cambi, riducendosi o aumentando.
Un trasferimento, la perdita del lavoro, una delusione sentimentale, un viaggio, l’innamoramento, sono alcuni esempi di situazioni che pongono l’individuo di fronte a un cambiamento, allora la fame o l’inappetenza possono rappresentare una reazione fisica, concreta e visibile, conforme al cambiamento che l’individuo sta sperimentando anche emotivamente e dentro di sé. Così una variazione nelle proprie abitudini alimentari, può indicare una risposta alla novità e all’aggiustamento/adattamento che essa comporta. Tale modificazione degli stimoli verso il cibo, può essere fisiologica cioè naturale, ma ciò, solo se la sua durata è transitoria o limitata nel tempo, ovvero se non configura un automatismo inconsapevole, né uno schema che si ripete sempre rispetto al riconoscimento e alla gestione delle proprie emozioni.
Un altro esempio degli aspetti psicologici legati al cibo, riguarda quello percepito come “consolatorio” e che desideriamo mangiare per “coccolarci” quando ci sentiamo giù, quando magari andati via di casa ci prende la malinconia dei nostri affetti o se la nostra giornata è stata troppo lunga, pesante e faticosa.
Ci sono ricette in cui al di là dei cibi, adoperiamo altri ingredienti come i sentimenti e le sensazioni; ci sono pietanze cariche di valenze affettive o dal “sapore emotivo” la cui bontà non è solo un piacere per il palato, ma soprattutto un “nutrimento” per l’animo.
Spesso si tratta di qualcosa di genuino, di un piatto della tradizione familiare che ci ricorda la nostra infanzia e che ci rassicura, perché rievoca momenti felici e ci riporta alla relazione con una persona cara, importante o speciale del nostro passato, che si dedicava a noi e ci accudiva.
Così, i biscotti che la mamma ci preparava per la colazione, la merenda con pane e marmellata fatta in casa, la pasta al forno dei pranzi domenicali a casa della nonna, si accompagnano a vissuti di “riconoscibilità” e a sensazioni di rasserenante e ritrovata appartenenza.
Il cibo è sempre un tramite per “prendersi cura di”, è un’espressione di affetto e di attenzione verso l’altro, già a partire dall’idea di cosa cucinare e dalla preparazione, fino alla cura del modo in cui viene presentato; l’alimentazione fin dalle prime esperienze, assume e conserva “essenze” e “significati relazionali”, dei cui risvolti …, ci occuperemo la prossima volta.