Un aspetto con cui spesso mi confronto in ambito clinico attiene alla presenza di atteggiamenti unilaterali con cui le persone tendono a vivere o a stare nel mondo; mi spiego meglio riferendomi a chi ad es. appare sempre “forte” o sicuro, “razionale” e metodico, “mite” o pacato, “responsabile” e maturo.
Per formazione ed esperienza non solo professionale, so che questo non è possibile o meglio non è credibile in quanto in ognuno di noi coesistono parti opposte eppure complementari di cui però ad una sola tendiamo a dare priorità rinnegando o rinunciando all’altra.
Siamo abituati a cogliere nelle opposizioni e nei dualismi un’essenza di incompatibilità e una dinamica di antagonismo, tendiamo ad attribuire giudizi di valore ai tratti della nostra personalità così da accoglierne alcuni (quelli socialmente accettabili) non riconoscendo o reprimendone altri in quanto contrari o disapprovati.
Il tema introdotto -un cardine per noi psicoterapeuti della Gestalt- riguarda le POLARITA’, cioè aspetti del sé opposti ma non per questo in contraddizione.
Il concetto ha una lunga tradizione cui posso solo accennare: antichissime origini lo fanno risalire alle nozioni di yin e yang (femminile e maschile); è rintracciabile negli archetipi junghiani di anima (parte femminile nella psiche degli uomini) e animus (componente maschile in quella delle donne); può rimandare ai miti greci di Apollo e di Dioniso (dicotomia tra la ragione e il caos); dalla filosofia lo rintracciamo in “Indifferenza creativa” di Friedlander (da un punto zero ha origine una differenziazione di punti opposti che devono ricongiungersi al centro per raggiungere l’equilibrio, superando una visione unilaterale).
Pensando ad alcune diadi, proviamo a chiederci: possiamo essere sempre forti ignorando o non accettando le nostre fragilità? Possiamo fare sempre appello alla razionalità sconoscendo la nostra parte emotiva? Possiamo essere inflessibili e non lasciarci andare mai? Ancora possiamo ostentare una perenne sicurezza a scapito delle nostre quote di incertezza? Se rispondessimo di “sì” saremmo persone “divise” e non “integrate”; già, “divise” tra una parte e l’altra o peggio in continuo conflitto con quella negata che pure ha una sua forza e vuole emergere.
Quando una persona abiura una parte di sé, quando si ostina a non legittimarla o a non mostrarla, vive come “scissa” e perde di completezza ma soprattutto di armonia e di quel movimento vitale che è a fondamento del nostro benessere psichico.
Cosa fare allora? Per primo accettare che siamo fatti di contrasti (non contraddizioni insane come quelle di Dott. Jekyll e Mr. Hyde), poi essere consapevoli che ci sono in noi aspetti che non ci piacciono forse perché ci hanno “insegnato” a vederli come meno “belli”, meno opportuni o meno funzionali e infine dare spazio a ogni nostra parte provando a farle incontrare; del resto … non si danza sempre con lo stesso passo né una melodia si compone di una sola nota.