I comportamenti pro sociali attengono a condotte positive nei confronti degli altri, ad azioni concrete di aiuto, orientate al benessere dei singoli e delle comunità, senza per questo attendersi riconoscimenti o ricompense materiali; l’altruismo, affine all’essere pro sociali, se ne differenzia poiché riguarda la sfera dei sentimenti e dei valori ed è la predisposizione verso il prossimo; l’empatia, è la sensibilità nel sintonizzarsi su stati d’animo e sfumature affettive altrui, cioè la capacità di “sentire” e di saper cogliere l’emotività di un’altra persona. Essa rende possibile l’altruismo e la pro socialità e ne è motivazione di fondo, poiché implica il sapersi “decentrare” da sé, pur mantenendo integra la propria identità.
In ambito filogenetico ed ontogenetico (evoluzione della specie e del singolo), studi scientifici attestano il valore e la precocità dei comportamenti collaborativi, partecipativi ed altruistici: «… a “sopravvivere” e a “evolvere” non è stato l’uomo predatore e competitivo, … ma al contrario l’uomo sociale e cooperativo»*; «… la propensione a donare il proprio aiuto agli altri, osservabile nei bambini molto piccoli, è mediata dalla “partecipazione empatica”. … Si tratta … dell’esteriorizzazione di una propensione spontanea a simpatizzare con qualcuno che si trova in difficoltà».*
Perché affrontare questo tema? Oggi assistiamo costantemente -nel micro come nel macro-, a manifestazioni di esasperato individualismo, a condotte animate da interessi personali, alla competizione non sana ma figlia dell’aggressività, al mancato “riconoscimento” dell’altro e anzi ad azioni violente o distruttive di ciò che è altro e diverso da “me”.
Le conseguenze, deleterie per i singoli e le società, sono visibili a tutti.
Il bisogno di umanità, di sostegno, di comprensione, di partecipazione, la fame di sincerità e autenticità, la voglia di star bene insieme agli altri, la disponibilità, la solidarietà, sono ricercati avidamente e con urgenza ma, sempre più disattesi, alimentano ansie, stress, senso di alienazione e di precarietà, disagi psicologici che hanno radici in una profonda solitudine interiore.
Di fronte ad uno scenario interpersonale così infelice e, fuori da richiami moraleggianti, condivido una riflessione, su ciò che in psicologia riguarda la relazione e l’intersoggettività: oggi, «… l’uomo ha imparato a muoversi liberamente, seguendo la logica dell’autosufficienza e dell’auto affermazione, superando i sensi di colpa verso l’attenuarsi dei legami affettivi. … “nuovi sintomi” hanno dimostrato come l’individuo non può auto realizzarsi né affermando sé contro l’altro, né asserendo sé senza l’altro. … Proprio adesso …, quando l’individuo corre il rischio di ripiegarsi narcisisticamente su se stesso e di diventare “orfano” dell’altro, la psicologia contemporanea riscopre la centralità della mente relazionale: il rapporto con l’altro fonda e dà senso all’identità psichica di ognuno».*
*(Molinari E., Cavaleri P. A., Il dono nel tempo della crisi, R. Cortina, 2015).