Sperare e disperare due condizioni che l’uomo vive nella quotidianità: in questo articolo vorrei occuparmi del primo aspetto, lasciando sullo sfondo il secondo. Non è facile parlare di speranza in termini psicologici poiché non molti si sono occupati di elaborare tale concetto. Eppure capita a tutti di avere almeno una volta sperato in qualcosa; ad esempio, un paziente in psicoterapia spera di guarire, la collettività spera che non ci siano più le guerre, un genitore spera il meglio per il proprio figlio, situazioni queste abbastanza ricorrenti. Ma ci siamo mai chiesti cosa è la speranza? Inoltre, c’è qualcosa che possiamo fare per alimentarla? E infine, si può vivere senza speranza? Non ho la pretesa di rispondere a tali quesiti in modo esaustivo, i quali necessitano di approfondimenti in altre sedi, è mio desiderio però indurre una riflessione su un tema che ciascuno di noi vive intimamente nel profondo della nostra anima. Come sempre, partiamo dalla definizione del concetto “la speranza è la fiduciosa attesa di un bene che quanto più desiderato tanto più colora l’aspettativa di timore o paura per la sua mancata realizzazione” (Wikipedia). Deduciamo che la speranza non è un’emozione, ma una fiduciosa attesa: che vorrà dire? Cerchiamo tra i sinonimi: fiducia, attesa, aspettativa, desiderio, sogno, illusione, miraggio, fantasia, fantasticheria, utopia, chimera, lusinga, augurio, auspicio. Tutti concetti che hanno a che fare con la dimensione futura della vita, dunque la speranza potrebbe riguardare il futuro dell’uomo, il quale è alla continua ricerca di una condizione migliore del presente che vive. Se ci pensiamo bene, l’uomo attraverso i desideri, la fantasia e i sogni immagina di realizzare delle cose che si scontrano con le difficoltà che razionalmente si affrontano, così la speranza può crescere o al contrario lasciare il posto al suo contrario, ossia alla disperazione. Maggiori sono le difficoltà che ci allontanano dal sogno, minore è la capacità di sperare. L’uomo così è costretto a rivedere il proprio sogno, ridimensionandolo a qualcosa di raggiungibile e, così facendo, rinuncia ad un pezzo di felicità pura in favore di una serenità mista a razionalità, venendo a patti con la dura realtà. Esiste allora una speranza pura dal carattere irrazionale e fantasioso, ed una speranza più vicina alla realtà, raggiungibile e quasi palpabile. Ma la fiduciosa attesa ha a che fare anche con le personalità e le strutture psichiche di cui siamo fatti poiché ogni individuo funziona a modo proprio. Ciascuno di noi trova un equilibrio tra la razionalità, l’irrazionalità, il sogno, il sentimento e l’intuizione, facendosi guidare dalla dimensione che prende forma in un determinato momento e portando sullo sfondo le rimanenti. Se fosse così semplice non ci sarebbero problemi né disagi, ma non è così. Se guardiamo alle giovani generazioni non è difficile scoprire che oggi la quasi totalità dei giovani nasce, cresce e vive nella totale assenza di speranza: non c’è speranza per un futuro migliore, i giovani non sognano più o se lo fanno si distaccano così tanto dalla realtà da perderne le coordinate! Si è perso il naturale, autentico e spontaneo emergere dell’entusiasmo per le piccole cose, nel sentire i bisogni e le emozioni. Tutto è affidato alla tecnologia, alla materialità delle cose e all’esteriorità, pensando che questo è benessere. Basta possedere e conformarsi allo stereotipo riconosciuto dalla collettività per percepire uno stato che associamo al benessere, ma che in realtà è illusione o pura finzione. Allora cosi come lo psicoterapeuta lavora con le difficoltà e i disagi attraverso la costruzione di una relazione terapeutica che sia di sostegno, vera, autentica e spontanea, anche gli adulti hanno la responsabilità trasmettere l’entusiasmo per la vita ai figli così da creare in loro la speranza di un mondo migliore.